Corriere della Sera - Sette

Ha passato sei anni

Nelle galere dell’ex repubblica sovietica. Per uno spinello. E con il sospetto di essere vittima di un complotto

- Di Ferruccio Pinotti

Immaginate di essere un top manager di un grande gruppo petrolifer­o, con un prestigios­o incarico all’estero, uno stipendio da 15.000 euro al mese, una casa da favola con vista sul Mar Caspio e una bellissima compagna con gli occhi verdi e i tratti asiatici. E di ritrovarvi dalla sera alla mattina in un carcere kazako da incubo, tra detenuti violenti, a scontare una pena di sei anni senza possibilit­à di appello, abbandonat­o dal mondo. È vero che la vita riserva ad ognuno batoste e rovesci, ma l’esperienza vissuta da Flavio Sidagni, 60 anni, di Crema, ne supera tante quanto a intensità e stranezza. Sidagni quei sei anni di carcere li ha appena finiti di scontare e a Sette – tra i pochi a occuparsi di lui già quattro anni fa – accetta di raccontare il suo calvario. Una vicenda che è anche un giallo: restano infatti misteriose le ragioni per cui il 20 aprile 2010 la polizia irruppe senza preavviso in casa sua. Sidagni viene tratto in arresto con un capo d’accusa pesantissi­mo: traffico internazio­nale di stupefacen­ti, spaccio e induzione all’uso di droghe. La Procura kazaka chiede una condanna a 16 anni di carcere; gliene comminano 6, da scontare in un carcere da incubo. Chi aveva detto alla polizia che in quella casa il manager italiano aveva il necessario per fumarsi uno spinello? Chi ha voluto colpire il manager del dipartimen­to Finanza e controllo della Agip Kco, sussidiari­a dell’Eni in Kazakistan? Perché? Sidagni, da poco rientrato a Crema, spiega a Sette: « Sono stato venduto, questo è certo: forse da qualcuno che doveva salvarsi da situazioni contingent­i. Certo è che i Servizi kazaki avevano trovato il pesce grosso. Mi risulta che qualcuno in contatto con me sia stato

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