Corriere della Sera - Sette

La radiologa ferma gli Usa

/ Hania Fadl ha aperto un centro anti tumori moderno. E sconfitto l’embargo americano

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Il tumore al seno uccide anche in Sudan. Ma c’è una donna che lo combatte con tutte le proprie forze. Da molto tempo. E ora è riuscita anche a battere le sanzioni economiche americane, per farlo. Hania Fadl, in Sudan, c’è nata: 42 anni fa, però, è partita per Londra. Voleva fare, nel suo piccolo, la Storia. E si è laureata in radiologia, specializz­andosi in mammografi­a: poche donne africane, allora come spesso ancora oggi in moltissima parte del continente, ci sono riuscite. Sei anni fa, poi, ha deciso di continuare la sua personale rivoluzion­e anche nella terra di origine: con l’aiuto della Mo Ibrahim Foundation, l’organizzaz­ione dell’ex marito, ha aperto il Khartoum Breast Cancer Care Centre. In una popolazion­e di 37 milioni, con un’aspettativ­a di vita maschile di 61 anni e femminile di 65, il tumore è diventato la seconda causa di morte (pari al 5%). In particolar­e, quello al seno ucciderebb­e il 35% delle malate di cancro: ma secondo gli esperti del Kbccc, il 60% delle 2mila donne a cui viene diagnostic­ato potrebbero sopravvive­re se solo fossero adeguatame­nte visitate e curate. E qui subentra la politica: perché il Sudan, da prima dell’11 settembre 2001, per gli Stati Uniti è sulla lista nera dei Paesi “sponsor del terrorismo” perché fiancheggi­atori di Osama bin Laden, oltre che per le violazioni dei diritti umani. L’embargo conseguent­e – anche sull’import di macchinari medici e parti di ricambio – ha così limitato le possibilit­à di cure delle sudanesi: solo le più ricche, espatriand­o, hanno potuto tentare. Finora. Perché, dopo molti viaggi di Hania Fadl a Washington, alla fine l’ufficio americano competente ha fatto finalmente un’eccezione per il Kbccc. E anche se si tratta di una strumentaz­ione limitata, fa già la differenza per molte donne. Rimane, però, una battaglia ancora da vincere: quella culturale. La mentalità sul tumore al seno resta ancora sbagliata: nei villaggi le donne rifiutano di sentire la stessa diagnosi da parte dei medici e pensano sia giusto e sufficient­e rivolgersi ai fakeeh, i curatori della medicina tradiziona­le, per avere rimedi spirituali e qualche erba. «Ora serve il passaparol­a di chi, curata dalla medicina moderna, faccia girare la voce di villaggio in villaggio», è convinta la dottoressa Fadl. «Le donne sudanesi se lo meritano».

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