Un esame di coscienza
Èfacile commentare la vittoria di Donald Trump a cose fatte. Ed è solo liberatorio recriminare, protestare, paventare catastrofi imminenti, effetti domino, ritorno agli anni bui. È meglio, per chi non applaude la vittoria di Trump, un esame di coscienza. Non ha vinto lui, hanno perso loro. Hanno perso per cecità, presunzione, egoismo. Atteggiamenti così insopportabili da generare la madre di tutti i paradossi: chi si sente escluso ha scelto come proprio vendicatore il teorico dell’esclusione. Mentre la cosiddetta sinistra liberale si ispira a una propria personale scala dei bisogni e decanta il proprio illuminato pensiero solidale, milioni di persone, in balìa degli eventi, faticano a mettere insieme il pranzo con la cena e perdono, giorno dopo giorno, la speranza di un futuro migliore. È lecito elencare i pregi della globalizzazione, le meraviglie della rivoluzione digitale, persino occuparsi dello stato di salute degli scoiattoli nei parchi, ma come insegnano gli studiosi delle dinamiche sociali fin dal Seicento ( ante Rivoluzione francese) i bisogni e i problemi vanno collocati secondo una rigida graduatoria: prima il pane e la dignità, poi i pasticcini e il decoro. Ma la sinistra, certa sinistra, convinta di avere la verità e il senso di giustizia impressi nel proprio Dna, al calduccio dei salotti e tronfia delle proprie buone letture, non riesce a comprendere la realtà e a riflettere su che senso abbia stare dalla parte dei deboli. Anzi, è riuscita a scatenare la guerra dei poveri contro i poveri eleggendo come arbitro un miliardario. Così oggi l’uomo più a sinistra nel mondo è vestito di bianco, abita in Vaticano e fino a ieri benediva la gente da una sedia gestatoria, ovvero un trono che lo rendeva inaccessibile alla gente comune. Allora che senso ha protestare nelle strade o davanti alla Trump Tower? Chi non condivide il modello proposto dal nuovo presidente deve cambiare radicalmente registro. Nessuno può prevedere le mosse di “The Donald”, perché molte sue promesse sono in contraddizione tra di loro. Cercherà di infondere i suoi valori nella società americana ( sappiamo quali sono perché non ne fa mistero), ma non è detto vi riesca: Obama ha addirittura ottenuto l’esatto contrario. L’unica certezza è che non possiamo permetterci di essere pessimisti. Per chi non concepisce un mondo a immagine e somiglianza di un casinò è il tempo dell’umiltà, della comprensione, della ricostruzione. Dimenticati le Hillary e i Clinton, seppelliti sotto i loro castelli di carta, ora tocca ai giovani che si oppongono alla Brexit e ai muri con il Messico. Devono fare esperienza, riflettere sul senso dell’impegno politico e trarre insegnamento dagli errori di chi li ha preceduti.