Corriere della Sera - Sette

Un esame di coscienza

- pvercesi@ corriere. it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA di Pier Luigi Vercesi

Èfacile commentare la vittoria di Donald Trump a cose fatte. Ed è solo liberatori­o recriminar­e, protestare, paventare catastrofi imminenti, effetti domino, ritorno agli anni bui. È meglio, per chi non applaude la vittoria di Trump, un esame di coscienza. Non ha vinto lui, hanno perso loro. Hanno perso per cecità, presunzion­e, egoismo. Atteggiame­nti così insopporta­bili da generare la madre di tutti i paradossi: chi si sente escluso ha scelto come proprio vendicator­e il teorico dell’esclusione. Mentre la cosiddetta sinistra liberale si ispira a una propria personale scala dei bisogni e decanta il proprio illuminato pensiero solidale, milioni di persone, in balìa degli eventi, faticano a mettere insieme il pranzo con la cena e perdono, giorno dopo giorno, la speranza di un futuro migliore. È lecito elencare i pregi della globalizza­zione, le meraviglie della rivoluzion­e digitale, persino occuparsi dello stato di salute degli scoiattoli nei parchi, ma come insegnano gli studiosi delle dinamiche sociali fin dal Seicento ( ante Rivoluzion­e francese) i bisogni e i problemi vanno collocati secondo una rigida graduatori­a: prima il pane e la dignità, poi i pasticcini e il decoro. Ma la sinistra, certa sinistra, convinta di avere la verità e il senso di giustizia impressi nel proprio Dna, al calduccio dei salotti e tronfia delle proprie buone letture, non riesce a comprender­e la realtà e a riflettere su che senso abbia stare dalla parte dei deboli. Anzi, è riuscita a scatenare la guerra dei poveri contro i poveri eleggendo come arbitro un miliardari­o. Così oggi l’uomo più a sinistra nel mondo è vestito di bianco, abita in Vaticano e fino a ieri benediva la gente da una sedia gestatoria, ovvero un trono che lo rendeva inaccessib­ile alla gente comune. Allora che senso ha protestare nelle strade o davanti alla Trump Tower? Chi non condivide il modello proposto dal nuovo presidente deve cambiare radicalmen­te registro. Nessuno può prevedere le mosse di “The Donald”, perché molte sue promesse sono in contraddiz­ione tra di loro. Cercherà di infondere i suoi valori nella società americana ( sappiamo quali sono perché non ne fa mistero), ma non è detto vi riesca: Obama ha addirittur­a ottenuto l’esatto contrario. L’unica certezza è che non possiamo permetterc­i di essere pessimisti. Per chi non concepisce un mondo a immagine e somiglianz­a di un casinò è il tempo dell’umiltà, della comprensio­ne, della ricostruzi­one. Dimenticat­i le Hillary e i Clinton, seppelliti sotto i loro castelli di carta, ora tocca ai giovani che si oppongono alla Brexit e ai muri con il Messico. Devono fare esperienza, riflettere sul senso dell’impegno politico e trarre insegnamen­to dagli errori di chi li ha preceduti.

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