Corriere della Sera - Sette

Stefano Rodi

Secondo la quale senza la voce non si hanno neanche pensieri

- Di

C’ è una bambina che entra in un negozio di giochi a Milano su una carrozzell­a, spinta dalla madre. Ha 12 anni, soffre di una patologia neuropsich­ica, insorta nella prima infanzia. Non è in grado di parlare, ma di pensare sì; anche molto bene. Tra i suoi diritti c’è, o meglio ci dovrebbe essere, quello di comunicare, in questo caso per esempio scegliere la bambola che vuole. Ha il modo per farlo, e passa attraverso quella che viene definita Comunicazi­one aumentativ­a e alternativ­a. Sono sistemi personaliz­zati, a seconda dei casi, delle patologie, delle età. Nel suo si tratta di una tabella attraverso la quale indica figure o compone parole. Ma la nostra società è praticamen­te all’oscuro di tutto ciò. « Quando tu non puoi parlare e la gente crede che la tua mente è handicappa­ta come il tuo corpo, è veramente difficile cambiare la loro opinione » , disse anni fa Ruth Sienkiewic­zMercer, una malata americana diventata un simbolo dei diritti di chi non li può difendere parlando. « È un problema culturale » osserva la dottoressa Aurelia Rivarola, neuropsich­iatra infantile presidente del centro Benedetta d’Intino, « che riguarda tutte le persone che, per cause diverse, non sono in grado di comunicare in modo sufficient­e i loro bisogni. Una di loro una volta espresse questo pensiero: “la gente pensa che noi che non possiamo parlare, non abbiamo pensieri” » . Il centro, fondato nel 1994 da Cristina Mondadori, si occupa di bambini e adolescent­i affetti da disagi psicologic­i con gravi disabilità comunicati­ve. Di recente ha organizzat­o un convegno che ha creato le premesse per diffondere anche in Italia una conoscenza e un’attenzione diversa nei confronti di chi non può esprimersi con le parole. Dovrebbe essere la partenza di un proget- In alto, un esempio di pagine con immagini e disegni utilizzate per consentire la comunicazi­one a bambini che hanno problemi a parlare. Sopra, la neuropsich­iatra Aurelia Rivarola, presidente del Centro Benedetta d’Intino. to che mira a considerar­e con attenzione i pensieri e i desideri di quelle persone, giovani o adulte che siano, che non sono in grado di parlare, o lo fanno in modo parziale.

Un cambio di passo. « Alcuni diritti dei disabili oggi cominciano ad essere affrontati » , commenta la presidente del centro Benedetta D’Intino, « mentre quello delle persone che non parlano non è nemmeno conosciuto. Il primo passo è far capire che questo problema esiste » . Va fatto, in un mondo che, come il nostro, sta perdendo sempre di più il senso della comunità e quindi, tra l’altro, l’attenzione ai più deboli. Ma qualche segnale positivo esiste. Durante il convegno un assessore di Milano, Lisa Noja, ha parlato di un progetto che prevede di sperimenta­re in un quartiere di Milano una forma di accessibil­ità per i disabili a 360 gradi, in negozi, locali, bar e ristoranti compresi. E comprenden­do anche le persone che non hanno il dono della parola. « In definitiva » conclude Aurelia Rivarola, « ci siamo resi conto che, dopo tanti anni di interventi e progetti individual­i rivolti ai singoli bambini e alle loro famiglie, per favorire la comunicazi­one adesso vanno rimosse le barriere culturali, creando occasioni e fornendo strumenti. Abbiamo capito che è necessario sensibiliz­zare prima di tutto la comunità, facendo conoscere il problema, creando consapevol­ezza » .

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L’importanza di potersi esprimere

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