La storia
Il nuovo romanzo di Alberto Ongaro ha per eroe un poliziotto di nobili origini alle prese con un caso che torna dal passato
Damiano Zaguri è un poliziotto famoso a Venezia. Discende da una famiglia aristocratica e può vantare il titolo di conte. È un pronipote d’arte, se così si può dire. Un suo antenato era uno dei Signori di Notte, la potente e segreta polizia della Repubblica di San Marco. Il conte poliziotto conserva in casa un ritratto dell’antenato investigatore e ha l’abitudine di scambiarci due chiacchiere la sera quando torna dal lavoro. Il conte è molto affezionato al predecessore ed è pieno di riguardi e solidarietà verso la memoria del Signore di Notte. L’antico investigatore si ricoprì di gloria nel suo lavoro, ma ci fu un caso in cui sbagliò clamorosamente, un errore che non si è mai perdonato. Era un caso delicatissimo, riguardava un bambino rapito. Perciò quando in piena notte lo squillo del telefono sveglia Damiano Zaguri e uno dei suoi collaboratori gli annuncia che c’è stato un omicidio e un bambino è stato rapito, il poliziotto pensa subito che è venuto il momento tanto atteso, il momento di cancellare la macchia che offusca il blasone nobiliare e professionale della sua illustre dinastia. La storia, è vero, non si ripete, ma se c’è un posto dove è possibile che si ripeta, sicuramente questo luogo è Venezia. Qui giunti vorrei fare un quiz per vedere se siete davvero lettori fedeli di questa rubrica. Considerati gli elementi che vi ho appena fornito, sapete dirmi il nome dello scrittore capace di un’invenzione romanzesca sospesa tra passato e presente, peripezia e mistero, dove si parla con i vecchi quadri e i vecchi quadri parlano e dove l’acqua scura della laguna sembra uno specchio che non riflette la luce del cielo ma il buio delle anime? La risposta è semplice, la risposta è Alberto Ongaro, e non ce ne può essere un’altra. Ongaro è unico, non riproducibile nemmeno nell’epoca della riproducibilità tecnica. È stato, sin dai primi numeri, uno degli scrittori prediletti in queste pagine. Con i suoi romanzi ( La taverna del doge Loredan, Il segreto di Caspar Jacobi, La partita, Il segreto dei Ségonzac) ha riportato al potere la fantasia e l’avventura nella letteratura italiana contemporanea, che è tanto buona e cara ma molto carente nelle materie in oggetto. E non è stato solo questo Ongaro. Nei suoi romanzi l’azione non è mai stata un modo per scacciare o mettere a tacere i cattivi pensieri. Ongaro sa raccontare un duello, un inseguimento, una vendetta, un tradimento, come sanno fare gli scrittori di cappa e spada pura, ma in lui c’è anche uno scrittore di Kafka e spada che fa il filo alle sue lame sulla pietra ( la cote, nel gergo della coltelleria) dell’angoscia. Ho parlato di romanzi di azione, ma il romanzo d’azione è romanzo di personaggi. È la qualità dei personaggi la chiave. Ne cito solo due. Alberto Ongaro, veneziano, ha vissuto in Argentina e in Inghilterra, romanziere, inviato del grande di Tommaso Giglio, sceneggiatore di fumetti. Nell’altra pagina, lo scrittore Paolo Volponi (tra i suoi libri, e