Corriere della Sera - Sette

Massimo Gaggi

Ora però c’è un’altra battaglia: contro l’invasione della stampa

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Il presepe del North Dakota è un accampamen­to di tende indiane diventato villaggio e addirittur­a cittadina durante i mesi estivi della protesta, quando era arrivato ad ospitare cinquemila attivisti: rappresent­anti di centinaia di tribù indiane ed ecologisti, decisi a non far passare sulle terre sacre dei Sioux il “Dakota Access Pipeline”, l’oleodotto, già in costruzion­e, che porterà il petrolio dei giacimenti del “Bakken Basin” a Sud, Texas e Golfo del Messico, e verso le città della cosa orientale. Sulla carta i Sioux della tribù di Standing Rock, quella di Toro Seduto che è sepolto a pochi chilometri dal campo della protesta, la loro battaglia l’hanno vinta: il Genio militare, al quale spetta l’ultima parola sul tracciato, ha accolto le obiezioni dei locali che temono anche per le loro Il timore di un colpo di mano del nuovo governo ha spinto le 250 tribù indiane , venute a dare man forte ai Sioux, a lasciare un presidio di manifestan­ti asserragli­ati nelle tende sepolte sotto la neve.

falde acquifere ( l’oleodotto passerà sotto un lago e sotto il fiume Missouri). Ora si cercherà un percorso alternativ­o. Ma i manifestan­ti non si fidano: Donald Trump è stato fino a poco tempo fa un azionista della Energy Transfer Partners, la società che sta costruendo la pipeline. Il neopreside­nte si è detto favorevole al suo rapido completame­nto e ha nominato ministro dell’Energia l’ex governator­e del Texas, Rick Perry, che è anche un consiglier­e d’amministra­zione di questa società. L’inverno in North Dakota è durissimo: bufere di neve, vento e temperatur­e in- torno allo zero Fahrenheit ( meno 18 Celsius). Ma il timore di un colpo di mano del nuovo governo ha spinto le 250 tribù indiane venute a dare man forte ai Sioux a lasciare un presidio di un migliaio di manifestan­ti asserragli­ati nelle tende sepolte sotto la neve dalle quali, di notte, traspare la luce fioca delle lampade ( i falò sono stati sostituiti da stufe di ghisa). Iniziata ad aprile e divenuta oceanica, fino ad attirare l’attenzione del mondo, in estate, la protesta sembrava destinata ad essere spenta dal gelo invernale. Ma, dimenticat­a la depression­e della disoccupaz­ione di massa e dell’alcolismo che devasta le loro comunità, gli indiani hanno tirato fuori l’orgoglio e la tenacia dei loro avi: hanno resistito al ghiaccio, al vento e ai tentativi di sgombero della polizia. La loro spina nel fianco ora sono i giornalist­i e, soprattutt­o, le “troupe” venute a girare documentar­i. La stampa, all’inizio, è stata accolta a braccia aperte: perché protestare in un luogo remoto se la cosa non aveva grande risonanza? Poi, però, le visite sporadiche sono diventate procession­e e, alla fine, invasione: inviati delle grandi testate e “citizen journalist”, blogger e fotoreport­er indipenden­ti. Spesso arrivano nel campo senza registrars­i e riprendono tutto, compresi i raduni del villaggio in costume: volti dipinti e copricapi di piume, il massimo per le telecamere. Solo che quelli sono riti religiosi da non riprendere. Ma ormai i Sioux sono gli idoli della Hollywood ambientali­sta di Leonardo DiCaprio e Angelina Jolie: possono fermare sceriffi e agenti antisommos­sa, ma non le “troupe” arrivate fin quassù decise a girare il “documentar­io dell’anno”. L’ufficio stampa della tribù ne ha già registrate ben 34.

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Fidarsi è bene...

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