L’antipartito in Italia non muore mai
Rivoluzionari, giustizialisti, peronisti, populisti: il Belpaese ha sempre amato i movimenti anti sistema. Con esiti spesso drammatici
Mussolini, anticipando i tempi, chiamava i suoi fasci di combattimento « l’antipartito dei combattenti » . Di questo antipartito nelle sue infinite varianti ( recenti e remote, di destra e di sinistra) sono ancora piene le cronache del nostro paese. È il partito dell’ « eterno fascismo italiano » , come scriveva Leonardo Sciascia, minimizzando un po’. Più esattamente, infatti, quello evocato dal Dux – che da solo incarnò tutte le anime dell’ « ideologia italiana » , dalla « missione civilizzatrice di Roma » all’internazionalismo proletario, dal mito soreliano dello « sciopero generale » ai salti nel cerchio di fuoco – è il partito dell’eterno estremismo italiano. È il partito dei giusti, dei perfetti e dei puri che incessantemente invocano la rivoluzione, che disprezzano la « riforma » più dello status quo e che vagheggiano « città future » depurate dai nemici del popolo ( ieri la borghesia e gli ebrei, oggi i politici e gli « zombie » ) . Si fonda su « idee semplici » , coltiva « passioni elementari » . Negazione determinata della società e del pensiero liberale, persino il liberalismo italiano ne è stato talvolta infettato, al punto di perdere la propria identità e d’esultare per la rivoluzione leninista e giacobina ( Piero Gobetti editore di Mussolini e ammiratore di Gramsci, il Partito d’azione che vuole realizzare il comunismo con mezzi liberali). Attivo e operante ben prima del fascismo, l’antipartito dei nemici della società aperta sale sul proscenio svariati decenni prima del Ventennio ( garibaldini, mazziniani, anarchici) e sopravvive al regime mussoliniano per altre decine d’anni ( partito comunista, Msi, nuova sinistra, neofascismo stragista, Brigate rosse). Tuttora in piena at- tività – come dimostrano il giustizialismo, la democrazia digitale, il populismo delirante, le psicosi da blog – la compagnia di giro dell’ « ideologia italiana » non mostra segni di stanchezza. Continua ad agitare il suo « jolly roger » nell’aria e a minacciare, come la Tortuga salgariana, di mettere il mondo a ferro e fuoco. Morte al capitalismo con la sua « democrazia formale » , con « la sua politica estera imperialista, con la sua etica consumistica » ! Di questo partito, il partito delle rivoluzioni che restano da operetta anche quando le strade si riempiono di morti e il paese va in malora, illustra la storia e traccia l’identikit lo storico Paolo Buchignani nel suo Ribelli d’Italia. Già autore di Fascisti rossi, sul passaggio nel dopoguerra di molti mussoliniani di sinistra dai ranghi del fascismo repubblicano a quelli del Pci, Buchignani traccia la mappa delle affinità e delle « contaminazioni » dell’ « antipartito dei combattenti » . A cominciare dall’arditismo garibaldino, dall’interventismo socialista e nazionalista, dall’ « impresa fiumana » e dalla Marcia su Roma per arrivare alla Rivoluzione liberale gobettiana, alla Resistenza rossa e subito « tradita » , al fascismo sociale di Salò, all’immoralismo stalinista e all’operaismo sessantottesco, al cattolicesimo guevarista, al terrorismo rosso e nero, poi all’elogio delle manette e all’analfabetismo populista, il partito dell’eterno estremismo italiano è ispirato dagli stessi filosofi, ha per eroi gli stessi eroi, per fantasmi gli stessi fantasmi. Non sarà facile affrancare il paese dal peso dell’ « ideologia italiana » e dal « mito della rivoluzione, col suo carattere messianico e astratto, aristocratico e populistico » . Ma è anche il solo compito che una cultura sobria e liberale possa onestamente assegnarsi.