Caro prof, t’insegno io come si usa la tecnologia
Una ragazza convince due docenti, uno amante del web e l’altro avverso alla Rete, a invertire le loro abitudini. Sarà una scoperta per entrambi...
Ernesto, interpretato da Marco Giallini, e Filippo ( Alessandro Gassmann) sono due professori di un liceo romano. Amici dalla prima infanzia, da adulti hanno litigato per una donna e si sono allontanati. Quando il caso li fa ritrovare perché insegnano alla stessa classe, scoprono l’esistenza di un’altra, marcata linea di demarcazione che si è intromessa negli anni tra loro due, e che il film Beata ignoranza di Massimiliano Bruno ( al cinema dal 23 febbraio) affronta con originalità: la Rete in tutti i suoi aspetti amati e detestati, a partire da app, selfie, like e social media. Filippo “vive” sui so- cial: rimorchia, posta, condivide come un ragazzino cui abbiano appena regalato il primo smartphone. Ernesto, all’opposto, non ha mai mandato un’email in vita sua, disprezza le abitudini connesse dei suoi allievi, vive in una bolla web- free. Fino a qui niente di nuovo, ma è il personaggio di Nina, Teresa Romagnoli, una ragazza che entra nella loro esistenza per sconvolgerla, a permettere alcune riflessioni che non si fanno spesso. Nina è una nativa digitale. Chiede ( non si spiega di più sulle ragioni per non annullare l’effetto sorpresa) a Ernesto e Filippo d’invertire i ruoli, stile Una poltrona per due: Filippo dovrà astenersi dal web per un lungo periodo, lo stesso che Ernesto dedicherà alla scoperta del mondo dei sempre connessi. Con l’aiuto ovviamente recalcitrante dei due adulti, Nina dimostrerà che si possono mettere da parte pregiudizi, infantilismi, astio preventivo, per introdurre nelle relazioni attorno e dentro al web, una grande assenza: l’educazione alle emozioni. Le richieste di Nina spingono Ernesto e Filippo a un uso umano, personale, e finalmente adulto – non finto giovane – della Rete. Comunicare tra generazioni diverse è possibile, basta ricordarsi, appunto, delle emozioni. I due professori non saranno più inquadrati dai loro allievi
come bambinoni o dinosauri: impareranno a stupirli e a ritrovare la loro ammirazione. Il ruolo di Nina è inusuale. Di quanta cattiva stampa hanno goduto i ragazzi per la loro vita online? Sono nulli, dipendenti, ossessionati da loro stessi... e soprattutto peggiori della generazione che li ha preceduti, senza però che ci sia il conforto di qualche dato. Il sociologo americano David Finkelhor ha coniato il termine “Juvenoia” per indicare la paura che gli adulti nutrono nei confronti dei comportamenti considerati a rischio degli adolescenti. E se invece ci si rendesse conto che il nostro scuotere la testa davanti ai misfatti dei ragazzi è lo spavento davanti a nuove tecnologie pervasive, e in cui, per esempio, qualcosa fa sì che ci plachiamo soltanto quando abbiamo ricevuto o dato attenzione? Oppure la sensazione fastidiosa di aver perduto il controllo del nostro rapporto con la tecnologia, perché è questa a controllarci alla perfezione. Poiché i ragazzi sono i primi ad adottare un nuovo strumento tecnologico, diamo loro la “colpa” di un’entità che prima non c’era a scombussolarci. E invece sono soltanto reattivi alle sollecitazioni del tempo prima degli altri. Un dato raccolto dall’Unesco nel 2016: a livello planetario, il 63% degli adolescenti è convinto di saperne più sui social media dei loro genitori. In Europa, la percentuale sale all’ 80%. Il 90% dei giovani intervistati ritiene di sapere come evitare i pericoli online ( bullismo eccetera). Perché non fidarsi? Beata ignoranza fotografa anche un altro fronte importante: quale deve essere il coinvolgimento della scuola nella vita online dei propri studenti. Per Danah Boyd, autrice di It’s complicated. La vita sociale degli adolescenti sul web ( Castelvecchi), non bisogna « Considerare Internet come una dimensione separata. Dobbiamo aiutare i ragazzi a essere membri responsabili della società, ora che non è più limitata dallo spazio fisico. La chiave è il concetto di cittadinanza. Come possiamo aiutarli a capire il mondo che li circonda? E capire concetti come empatia e resilienza? » . Il film di Massimiliano Bruno s’inserisce in questo ten- tativo. Il fatto che sia una commedia non toglie all’efficacia. Fatto un primo passo nel senso di rispetto dell’altro, anche se di un’età diversa, quali altri scambi di consigli, raccomandazioni si potrebbero immaginare tra generazioni? La lista è lunga, e sono tutte improntate a una condivisa riscoperta dei sentimenti. I “grandi” potrebbero, per esempio, ricordare ai ragazzi quanto è pericoloso procedere senza porre limiti nel grande circo dell’economia dell’attenzione, su cui ingrassano a spese loro le grandi corporation. I ragazzi devono però prima fidarsi di come gli adulti usino Internet e social media. Gli adulti, sorpresi nella loro voglia di protagonismo, nell’infantile pensare di potersi comportare diversamente online che nella vita reale, oppure compulsanti la tastiera durante ogni attività quotidiana, devono spesso guadagnarselo il rispetto. Se s’instaura la fiducia, l’adulto potrebbe per esempio ricordare, finché è possibile, ai più giovani, l’importanza di separare, nella marea di contenutiweb, il falso dal vero. Separazione che la manipolazione, la cultura del remake e dello spregio unita a un errato concetto di invisibilità online, tendono ad annullare.
Proposta europea. Occorre riconoscere che sono i giovani i veri esperti delle funzioni, dei pericoli, della natura delle piattaforme online. Oltre questo vantaggio tecnico, l’adulto potrebbe ricordare quanto sia importante e segno di maturità imparare a presentarsi a seconda del contesto, proprio ora che con la proliferazione dei “luoghi” diventa più difficile e gli errori si pagano subito. Forse basterebbe accettare che i famosi bei vecchi tempi non sono mai esistiti. O sono uguali al presente. A fine 2015 l’Unione Europea aveva tentato senza successo di limitare l’uso dei social network ai maggiori di 16 anni. Quasi ovunque è rimasta la soglia dei 13 anni. Forse la questione potrebbe prendere un giorno una piega opposta e spingere a vietare l’accesso agli over 60, perché non sanno come proteggere la propria identità online o perché mettono a rischio quella di altri – per esempio con tutte le foto dei loro figli postate meccanicamente in Rete. L’unica è un’alleanza, per chiedere alle potenti piattaforme di Internet di trattare meglio i nostri dati, di ridurre le zone opache e di non accontentare in modi sempre più raffinati la nostra ricerca di attenzione. E come suggerisce il film, bisogna ripartire più da un’educazione emotiva che digitale.
Occorre riconoscere che sono i giovani i veri esperti delle funzioni, dei pericoli, della natura delle piattaforme online