Corriere della Sera - Sette

BISOGNA FAR USCIRE I MALATI DAL GHETTO

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Il libro di Giovanni F. è nato da un’idea collettiva. Attorno all’unità semplice di Infettivol­ogia pediatrica dell’Ospedale Sacco, dove il ragazzino è in cura, e di cui è responsabi­le la dottoressa Vania Giacomet, è attivo da anni un gruppo di assistenza e sostegno, composto da infermieri, psicologi, medici, volontari col supporto del direttore della clinica pediatrica, professor Zuccotti. «L’idea di scrivere qualcosa di narrativo che rappresent­asse la quotidiani­tà di un sieroposit­ivo era per arrivare alla pancia della gente e per farle aprire gli occhi su ciò che ignorano. Con Giovanni si voleva parlare di vita, non di malattia», spiega la dottoressa Giacomet. Perché se oggi non si muore più di Hiv, la paura è rimasta come nel passato? «Perché la storia dell’Hiv è nata in quello che fu considerat­o un ghetto, e così è rimasta codificata per la cultura italiana», risponde il cardiologo e volontario Angelo Ascari. «Quale personaggi­o famoso ha mai dichiarato di essere sieroposit­ivo, a parte Magic Johnson? Soltanto se costretto, e spesso nemmeno in punto di morte; neanche gli intellettu­ali l’hanno fatto». Dopo la giusta campagna per la prevenzion­e, non è stato fatto qualcosa di analogo per la normalizza­zione della malattia, per i malati. E l’emarginazi­one resta un problema grave. Così, spiega Ascari, «quando un ragazzo che gioca a rugby ha svelato all’allenatore la propria sieroposit­ività, pur corredata di tutti gli esami che dicevano che non aveva carica virale, ha gettato lo scompiglio nell’istituzion­e sportiva». «Un ragazzino che aveva fatto outing è stato subito cacciato dalla squadra di pallacanes­tro dove giocava», aggiunge la dottoressa Giacomet. «Ha fatto causa ed è stato riammesso, ma poi, ovviamente se n’è andato, non se la sentiva più di giocare con chi l’aveva rifiutato». Cosa si può fare? «Campagne capillari nelle scuole», risponde la dottoressa. «La situazione», conclude Ascari, «è simile a quella degli omosessual­i vent’anni fa. Quello che manca è l’outing da parte di qualche personaggi­o famoso, che renda il tutto più normale. In un’altra situazione, quella del cancro, Umberto Veronesi fu lungimiran­te, quando scelse come testimonia­l Lea Pericoli e Delia Scala».

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