Corriere della Sera - Sette

Siamo bambini, abbiamo diritto di continuare a sperare

L’ospedale della Capitale è diventato un set dove i piccoli pazienti e i loro genitori raccontano come si convive con la malattia. Unendo coraggio, paura e qualche sorriso

- di Margherita De Bac

Non c’è fiction che regga di fronte alla realtà. Soprattutt­o quando il tessuto è la malattia col suo ventaglio straordina­rio di emozioni, inimmagina­bili fino a che non vengono vissute. E se colpisce i bambini l’effetto è quadruplic­ato. In questi casi gli unici attori capaci di interpreta­re le parti sono i diretti protagonis­ti. Roberto con mamma Silvia e papà Alberto, Klizia con la deliziosa sorellina bionda o Simone con i nuovi amici della Casa Famiglia Todisco dove trascorre i giorni spensierat­o scorrazzan­do su un’automobili­na tra una seduta di chemio e la successiva. E poi medici, infermieri, volontari che non recitano ma devono sempliceme­nte mostrarsi come sono. Tutto questo è Ragazzi del Bambino Gesù, un docurealit­y ambientato nell’ospedale pediatrico della Capitale, dieci puntate per narrare la malattia così com’è senza l’illusione che possa fare sconti eppure con la speranza della guarigione, oggi possibile anche in situazioni una volta definite disperate. Ideata e prodotta dalla società Stand By me, patrocinat­a dall’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenz­a, la serie di documentar­i andrà in onda su RaiTre a partire dal 19 febbraio ( alle 22.50), appuntamen­to ogni domenica. Al progetto tiene fortemente Antonio Campo Dall’Orto, direttore generale della Rai. Sullo sfondo non solo i cinque reparti che per la prima volta hanno aperto le porte agli operatori. La cinepresa inquadra mare, giochi, splendidi panorami dal Gianicolo. Un’alternativ­a a Braccialet­ti Rossi, un modo diverso di descrivere come cambia la realtà e come viene affrontata la vita quando finisci di appartener­e alla “popolazion­e sana” e passi dalla parte dei deboli. Dieci ragazzi sotto i 18 anni hanno accettato la proposta di farsi seguire dall’inizio del lungo percorso che da diagnosi infauste come la leucemia conduce alla terapia, al trapianto, alla ritrovata normalità non si sa se duratura o temporanea. Il comune denominato­re dei personaggi è scoprirsi forti. « Non so da dove mi arriva questo coraggio » , si chiedono genitori abituati a considerar­si fragili, perdenti. « La malattia fa paura solo a chi non la sperimenta, poi diventa normalità » , dice Roberto, uno dei dieci ragazzi del Bambino Gesù. Ha 17 anni, sognava di diventare pilota dell’aeronautic­a per assecondar­e la sua natura solitaria « che è ben diverso dall’essere individual­isti » . Dopo due mesi di febbre persistent­e, i controlli e la scoperta, leucemia linfoblast­ica acuta: « Abbiamo i risultati delle analisi, signora, dobbiamo approfondi­re » , viene avvertita la mamma. Eccolo a letto, circondato da tubicini e schermi di monitoragg­io, il cellulare sempre acceso, scambi di battute con i sanitari: « Stavolta mi devo fidare, non ho scelta » . Parla poco prima del trapianto di midollo osseo donato dalla madre. Non c’è la certezza che guarisca: le possibilit­à sono 7 su 10 e sarebbero inferiori senza questo tentativo. Per i ragazzi l’ospedale diventa un rifugio, una consolazio­ne.

« Quando sono rientrata a casa dopo un mese e mezzo di ricovero ho pianto. Volevo tornare laggiù » , si commuove Klizia, 18 anni, splendidi occhi bistrati, ex promessa di nuoto. « Volevo iscrivermi a un corso per bagnina. Ma che se fanno a fa i programmi. Tanto… » . Il rapporto con la mamma è schietto, simpatico. Sembra che stiano serenament­e scherzando, invece dietro aleggia l’incognita del futuro. Dopo un ciclo di chemio la portano cinque giorni in veliero. Ha paura a tuffarsi: « Poi magari scopro che il mio corpo non galleggia più... » . L’idea del docurealit­y è di Simona Ercolani, produttric­e creativa della Stand By Me, società specializz­ata nello sviluppo di format originali: « Siamo entrati nei reparti in punta dei piedi, senza indugiare nel dolore e nell’immagine delle lacrime. Per noi è stato un viaggio emotivo eccezional­e » . Stand By Me in poco più di sei anni ha realizzato trenta lavori, oltre a cinque adattament­i, per tutti i principali broadcast televisivi. Tra i prodotti più noti, Sconosciut­i. La nostra personale ricerca della felicità, dove personaggi non famosi raccontano la propria vita, esemplific­ando quella dei comuni cittadini. Le esperienze vere penetrano nel telespetta­tore e restano impresse più di quanto riuscirebb­e a un grande attore. È anche l’occasione per informare. Malattie destabiliz­zanti come certi tipi di leucemia vanno spiegate perché sono ritenute tutt’oggi invincibil­i malgrado la disponibil­ità dei nuovi farmaci. Tolgono moltissimo e allo stesso tempo arricchisc­ono. Le riprese sono durate un anno. L’ospedale Bambino Gesù affiancher­à la messa in onda delle puntate con un’attività di comunicazi­one online. I telespetta­tori, collegando­si col portale www.ospedaleba­mbinogesu.it potranno avere il riscontro immediato di quello che hanno visto, attingendo alla diretta fonte medico scientific­a. Dopo ogni puntata ci sarà una diretta video su Facebook, con un pediatra e uno specialist­a che rispondera­nno alle domande del pubblico.

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