Cari colleghi fotografi, vi seppellirò con una risata
Fornì per caso a Nixon la foto che lo rese popolare. Un equivoco d’autore. Parola del genio dell’obiettivo che fa dello humour e dell’ironia (anche verso gli altri artisti) un’arte di vivere
Nel 1960 Elliott Erwitt e altri 8 membri dell’agenzia Magnum, tra cui Henri Cartier- Bresson, Eve Arnold, Ernst Haas, Dennis Stock e Inge Morath, ottengono l’accesso esclusivo al set di Misfits, Gli Spostati. Sceneggiatura di Arthur Miller, regia di John Huston, starring Marilyn Monroe- Miller, Montgomery Clift, Clark Gable. Il film non ebbe successo, Miller lo definì il punto più basso della sua carriera e il matrimonio con la Monroe, l’autentica spostata del gruppo, giunse al collasso: già nel 1962 proprio Inge Morath l’avrebbe sostituita nel ruolo di Mrs Miller. Fu l’ultimo film portato a termine dalla Monroe e da Gable e forse, a consuntivo, sarebbe stato più interessante girare la cinepresa verso i nove reporter stellati. Erwitt aveva 32 anni e da dieci gravitava nell’Olimpo della professione: a 22 aveva riscosso l’appoggio di Edward Steichen, a 24 era stato ammesso alla Magnum, a 26 aveva ricevuto la benedizione del MoMA. E aveva già scattato una delle fotografie più emblematiche dello
scontro razziale negli Usa: due lavabi a Wilmington, North Carolina, uno per i bianchi ( lindo e in ceramica) accanto a quello per i neri, diverso per fattezze e pulizia. Un uomo di colore si china sul secondo mentre lancia un’occhiata al lavandino proibito. Nel complesso l’obiettivo di Erwitt intrattiene i lettori con fotografie spontanee che incorniciano momenti ordinari resi straordinari dal suo senso dello humour e dalla tecnica impeccabile. L’ironia è la sua specialità. L’ultima volta che lo incontrammo ad Arles aveva sulla testa un cerchietto azzurro con due pupazzetti montati sulla cima di due molle. Tuttavia non ci si lasci sviare. È un uomo sagace e i suoi motti di spirito su pellicola sono il contrario della superficialità: sono piuttosto il balsamo offerto dal suo inconscio all’umanità alle prese con le difficoltà quotidiane. Se gli capitava di lavorare con persone che si sentivano a disagio davanti alla macchina fotografica, non esitava a far uso di clacson il cui suono improvviso e imbarazzante allentava la tensione: « È stupido, ma funziona » .
Elio Romano Erwitz nasce a Parigi nel 1928 da madre russa e padre ucraino. Per dieci anni vivono a Milano. Allarmata dal fascismo ( « Benito Mussolini mi ha dato l’opportunità di diventare americano » ) la famiglia si trasferisce a New York. Il papà, un commesso viaggiatore nel frattempo separato dalla moglie, porta con sé il figlio in California. L’attività già barcollante del padre precipita e il sedicenne Elliott impara ad affittare camere per 6 dollari la settimana. La fotografia aveva già fatto irruzione nella sua vita e nel 1949 parte per New York deciso a farne una professione. Incontra Robert Capa che lo aiuta a procurarsi i primi asse-
gnati e lo introduce nell’accolita della Magnum. Ritrae Jack Kerouac, Humphrey Bogart, Grace Kelly, Marlene Dietrich, Antonioni, Paolo VI, Lyndon Johnson, Che Guevara… Il lavoro lo porta in Nicaragua, Giappone, Messico, Pakistan, Ungheria… La sua quasi patria ( la Russia) gli offre le occasioni che consolidano la sua reputazione. Tra queste lo scatto del 1959 che Nixon usò per le campagne elettorali, quello in cui punta il dito al petto di Krusciov. Come poi rivelò lo stesso Erwitt il successo di quella foto, che fu determinante per la popolarità del futuro presidente degli States, si basava su un grande equivoco. Il Kitchen Debate, così venne denominata la fotografia, fu realizzata al parco Sokolniki durante una fiera di cucine e, secondo la versione del reporter, i due capi di Stato erano alle prese con una conversazione tanto amichevole quanto imbarazzante sulla presunta superiorità dei rispettivi Paesi: la carne rossa contro la zuppa di cavolo. Tra una foto e l’altra, ben quattro matrimoni, il fardello di una montagna di alimenti e il rifiuto di vendere il suo archivio: « Spero di non doverlo fare finché sono perpendicolare » . La fama di Erwitt è associata al bianco e nero, avendo vissuto in un periodo che considerava il colore una deviazione dal rigore. I tempi cambiano, la percezione anche. Il Palazzo Ducale di Genova fino a metà luglio offre un’occasione unica: 135 fotografie a colori selezionate personalmente dall’autore tra mezzo milione di scatti. Tra questi anche le opere firmate dal suo alter ego, André S. Solidor ( l’acronimo ASS significa “sedere”), esilarante parodia dell’artista contemporaneo che con altezzosità confeziona la fuffa.