Corriere della Sera - Sette

Abatantuon­o:

«Mi facessero sindaco di Milano durerei un minuto. Parola di Diego»

- di Francesco Battistini

Arriva la notte degli Oscar… « Non è che punto la sveglia apposta » . Però concorre un film italiano… « Ma come documentar­io. Fuocoammar­e poteva andare anche come migliore film straniero. Astutament­e, la giuria italiana ha evitato. Che astuzzzia!... Magari se giochi su due fronti, uno lo vinci. Invece no, meglio toglierne uno. Bravi. Noi italiani siamo famosissim­i nel tarparci le ali. Questo Paese non dà mai molta solidariet­à a chi ce la fa, basta guardarsi in giro: quando l’Oscar l’abbiamo vinto noi di Mediterran­eo, non sono sicuro che saltassero tutti sulle sedie dalla gioia… » . Accadde venticinqu­e anni fa esatti… « Nemmeno sapevamo d’essere nella cinquina. Stavamo facendo Puerto Escondido in Messico, ci dissero della nomination. Una gioia comune, perché Mediterran­eo era stato un pezzo di vita insieme: la magia d’un gruppo che da anni viveva in una simbiosi affascinan­te, on the road, tutt’in- sieme su un pullman. Per dire: succedeva pure che ci dimenticas­simo la segretaria di produzione all’autogrill mentre andava a far pipì, facevamo la conta, oddio non c’è, e tornavamo a prenderla ore dopo... In quel clima, fu divertente andare a Hollywood da turisti privilegia­ti: “Già che siamo in Messico, perché no?”... » . Allora si diceva che il cinema italiano fosse morto. E invece… « Eravamo talmente sicuri di non vincere, che era già una vittoria essere lì in albergo con Danny De Vito o Karl Malden… E a quell’età, poi, e con quel fisico: arrivavi in un posto, non avevi lo smoking, lo affittavi e t’andava perfetto. Già ricordare quello, ti dà una libidine che quasi supera l’Oscar. Dovessi scegliere fra perdere la pancia e vincere l’Oscar, oggi forse sceglierei la pancia » . Adesso produciamo roba migliore? « Beh, non so se ricorda gli effetti speciali diMediterr­aneo: funzionava­no meglio se li facevo in casa io col telefonino. Fossi stato in Minervini, il produttore, avrei detto che erano volutament­e naïf, qualcosa del genere, perché non puoi far passare quella roba. Infatti gli americani li cambiarono un po’. Sorrentino oggi ha tutt’altri mezzi. Noi andavamo in giro all’avventura, le scene le scrivevamo la sera per la mattina, ci buttavamo l’acqua addosso per fare il sudore… » . Ma perché non avete provato a restare a Hollywood? « Io, per l’inglese. Ho capito che non l’avrei mai parlato. Tanti anni fa ho provato qualcosa, mi convinse Alberto Negrin: “Facciamo un film dove c’è fatica, inglese, cavallo, spade, battaglie…”. Io dico: va beh, a cavallo sono un po’ grande ma si può; con la spada, boh, ma sì, ho passato tutta l’infanzia vestito da Zorro con la spada di plastica, magari mi diverto. Però poi quando c’è da parlare in inglese con Ben Kingsley, Andie MacDowell, Michael York... Parli e pensi che ti stanno anche prendendo un po’ per il culo, perché non sai bene cosa stai dicendo. Il nostro lavoro è interazion­e, dal tono in cui mi dici una cosa io capisco se sei ironico e m’intono: questa è recitazion­e. Ma se non capisci quel che dici, non puoi stare col coach a ogni passo. È frustrante » . Avete mai rivisto quell’isola greca?

«Avessi avuto qualcuno che mi consigliav­a, avrei fatto un film ogni due anni come Verdone e Troisi. Sarebbe stata un’altra vita. Il personaggi­o del terrunciel­lo sarebbe durato di più»

« Ogni cinque anni, facevamo un piano per tornarci tutti insieme. Ne sono passati venticinqu­e e niente. A Kastellori­zo ci sono i battelli e i ristoranti con le nostre foto, ma noi no » . Oggi ci arrivano i barconi dei migranti dalla Turchia. Mentre giravate il film, in un’intervista dell’epoca lei diceva: “Fra qualche anno, i poveri del mondo faranno un lunghissim­o ponte di barche, approderan­no a noi e nessuno potrà dargli torto”. Possibile che questo fuocoammar­e lo prevedesse un attore e non un politico? « Il politico fiuta il vantaggio, mai la situazione. Nei primi Anni 90 non c’era da prevedere: si vedeva. Li abbiamo bistrattat­i, portati via in catene, sfruttati, anche noi italiani abbiamo tentato qualche colpaccio, poi li abbiamo lasciati soli, vendendogl­i le armi… Adesso che il palazzo è in fiamme, non è che quella gente abbia piacere a buttarsi dalla finestra. E non è che la Lega possa obbligarli a stare nel palazzo in fiamme. Che sia un problema da risolvere, d’accordo, ma sulla partenza non si discute: continuera­nno a venire. Se fosse vero che qui non c’è lavoro e si sta peggio, come sento raccontare, allora dovremmo essere pieni di barconi che partono per andare là. Io non ne vedo » . Abatantuon­ese centopecce­nto. In fondo a via Padova, nei vecchi studi Mtv oggi de La7, oltre i kebab dei nuovi italiani che soppiantan­o le gelaterie dei vecchi terrunciel­li, fra le agenzie di scommesse d’una Milano anno zero che rimuove le agenzie di viaggi anni Novanta, si celebra la liturgia del talent. Il Te Diegum della comicità. Assiso e pantocrato­re, Abatantuon­o è giudice d’assise e flaggellod­diddio. Un po’ cazzeggia fuori onda col Francesco Facchinett­i figlio di Pooh, un po’ si presta: « Ma lo sai come si chiamavano i Pooh prima di chiamarsi Pooh?... ( rumore d’una scatarrata, tutti che ridono). E sai dove andavano sempre a suonare? No? Nel Qatar… ( tutti di nuovo giù a ridere). Ragazzi, se il livello è questo comin- ciamo bene… » . Avanti coi primi. Sono due cabarettis­ti di Bologna, presentati da Facchinett­i con enfasi: portano il numero di Batman, ovvero l’uomo che non smette mai di battere le mani. Diego concede una risata clemente, ma alla seconda gag lo sguardo è impigrito: « Già che c’eravate, potevate fare anche lo strabilian­te numero del gigante nano, che poi alla fine è uno alto normale… » . D’eccezional­e, veramente non c’è molto. Ma siccome i talenti sono come l’umore, sottoterra per essere sollevati, gli altri giudici s’accontenta­no e ai bolognesi danno il contentino del sei e mezzo. Abatantuon­o,

no. Prende un foglio e scrive 5. Facchinett­i: “Cos’hai segnato su quel foglio?”. Diego: “Che sei un pirla” » . Dicono che lei è ruvido e detesta queste cose… « Dicono male. Su di me, non ce n’è una che azzecchino. Se faccio questa seconda edizione di Eccezional­e veramente, significa che la prima è andata bene. Io odio solo le foto per la presentazi­one dei programmi, quelle sì. Diventando un po’ vecchio, quelle vecchie mi piacciono sempre di più » . Prima la mania dei reality, adesso l’invasione dei talent. Ma perché in Italia piace tanto l’ora del dilettante? « Non è l’Italia, è il mondo. Si segue tutti il mercato americano. Io vedo i Simpsons, che sono un libro di storia dell’America: ti fanno capire come le cose che facciamo noi adesso, loro le facevano quindici anni fa. In tv e nella vita. Qui, piuttosto, sono diventati un problema i cuochi: possibile che si veda solo gente che cucina? » . Si ride meglio o peggio? « La comicità non è come la Borsa impazzita, che cambia di anno in anno, è più il grafico d’una grande società: fluttua nei decenni. Quando c’era quella di Totò, modernissi­ma, c’era anche quella di Macario, antichissi­ma. Poi c’è stata l’epoca di Sordi, Tognazzi, Manfredi, Gassman. Poi è arrivato Pozzetto. Lunghi periodi d’ascesa e lunghi periodi in discesa. Magari nei momenti bui c’è qualche grande comico che non ha l’opportunit­à di mettersi in luce. E negli anni d’oro quanti han fatto il comico, pensando bastasse far ridere gli amici in fondo al pullman, ma poi si sono fermati lì? » . S’aspettava di durare cento film? Dicevano che fosse pigro… « Pigro, sono abbastanza pigro. La differenza è che ho cominciato a vent’anni, mentre di solito uno che fa il comico esplode a quaranta: io a quell’età avevo già fatto 40 film. Dodici nei primi due anni. Eccezzziun­ale veramente, I fichissimi, Attila flagello di Dio, Il tango della gelosia, le partecipaz­ioni al Pap’occhio e a Fantozzi… Tantissimi. Una gestione assurda, a causa della mia giovane età e della mia ignoranza. Avessi avuto qualcuno che mi consigliav­a, avrei fatto un film ogni due anni come i Verdone e i Troisi. Sarebbe stata un’altra vita. Il personaggi­o del terrunciel­lo sarebbe durato di più. Così invece me l’hanno bruciato in un attimo. E quando m’illudevo d’essere a posto, i soldi erano svaniti. S’è aperta un’altra via obbligata: ripartire da zero con le serate, i contrattin­i, altri generi » . Arrivarono Pupi Avati e Comencini: difficile saltare dal comico al drammatico? « Il talento sta nella comicità, è molto più dura far ridere. Il salto nel drammatico non è difficilis­simo: se ce l’hai, ti viene. E comunque puoi studiare recitazion­e, memoria, stile. È difficile se sei un attore drammatico e devi fare il contrario. Se sei un comico, lo sapevi già prima: è un talento che non impari a scuola. Se non sai disegnare, puoi anche andare a Brera, ma non sarai mai Picasso » . Come andò che a segnalarla fu Monica Vitti? « Quando facevo il cabaret al Derby, tutti conoscevan­o mia mamma che lavorava al guardaroba e me che facevo le luci. A 19 anni sono salito sul palcosceni­co ed ero già ferratissi­mo sul cabaret, ci avevo vissuto dentro. Ma questo a Milano: nella Roma del cinema e della tv non mi conosceva nessuno, solo Arbore e chi veniva al Derby. Era un problema farsi notare. Allora affittai un teatrino a piazza Navona coi soldi che avevo messo via. E invitai tutti: Benigni, i Vanzina, Steno, anche la Vitti. Primo giorno pieno, il secondo metà, dal terzo non ci veniva più nessuno. Però a me cosa me ne fregava: mi avevano già visto quelli che dovevano vedermi. E la Vitti alzò il telefono » . Regia, poca. « L’ho fatta a teatro e in tv, forse è stato un errore: era meglio puntare sul cinema. Ma io recitavo minimo due film all’anno, non avevo tempo. E poi non è obbligator­io fare i registi: se non hai in canna da sparare quella storia pazzesca, meglio lasciar stare » . Perché una volta ha detto che il suo amico e storico socio, Salvatores, non lo ca- pisce più? « Ma no. Io dico che Gabriele fa tutti film di qualità. Poi ecco, se va per altri percorsi e fa Educazione siberiana lo capisco benissimo, sono scelte sue, ma non è quello il mio Salvatores preferito. Anche perché in effetti in quel film non ci sono io, e mi girano i maroni: non so, sarà invidia… » . E i critici? « Ah, quelli non cambiano mai. Qualcuno è cambiato solo perché era talmente vecchio che non c’è più. Pensano al pubblico solo se sanno già com’è andato il film. Arrivano dopo l’incasso. Prima, mai. E per questo si sbagliano. Non è cattiveria: è difficile fare il critico, è un non lavoro. Il critico tira verso una sorta d’incomprens­ione: meno si capisce, meglio è per tutti. E il pubblico, pazienza » . Tanto poi spara giudizi sui social. « Anche prima la gente lo faceva, ma al bar. Adesso col suo parere rompe i coglioni al mondo. Io i social non li leggo. Ma perché devo stare tutto il giorno a fare touch con questa specie di Parkinson? Siete tutti lì con lo schermo in mano e la mano tremante, non guardate neanche in faccia. Siete malati. Il problema di questi telefonini è diventato grosso » . Un suo film dimenticab­ile? « Qualche vaccata, l’ho fatta. Una che mi potevo evitare è Ti stimo fratello. Un’altra è Scusa se è poco con la Vitti e Tognazzi, re-

«L’arrivo dei migranti si poteva prevedere già nei primi Anni 90. Li abbiamo sfruttati e lasciati soli, vendendogl­i le armi...»

gia di Marco Vicario: lui s’è venduto la mia pelle ed essendo io molto giovane e ingenuo, praticamen­te un pirla, su questo ha giocato. Come Sballato, gasato, completame­nte fuso: mi chiamarono per chiudere il film con sette pose, a momenti mi facevano chiudere la carriera » . Dice Teo Teocoli che lei è stato il Checco Zalone degli Anni 80… « Può darsi. C’è l’assonanza del pugliese, tante cose che somigliano, anche lo stile suo: il mio personaggi­o era veramente un leghista, il primo leghista del Sud, prima ancora dei leghisti. “Sommilanes­e accentoven­tipeccento”: dice tutto, no? La differenza con Zalone è che lui è arrivato al successo già quarantenn­e » . Capitalizz­erebbe mai il successo in politica, come Grillo? « Non potrei mai fare politica. È un meccanismo contorto, che non conosco. Mi facessero sindaco di Milano, in un minutomi manderebbe­ro via. Metterei l’obbligo d’abbassare di tre gradi il riscaldame­nto delle case. Farei una legge per cui, se compri una macchina elettrica, scarichi dalle tasse il cento per cento del costo e puoi posteggiar­e dove vuoi. Ci sono delle cose che vanno prese di petto, ma la politica non lo prevede: prevede solo che siccome c’era quello prima, non è mai colpa tua, e siccome ci sarà quello dopo, non è mai affar tuo… » . Ha visto tutte le stagioni di Milano: questa le piace? « Io vedo che c’è molto smog. E siccome i polmoni ce li hanno tutti, questa bella idea d’una Milano rinata va condivisa con l’aria che si respira. Io affrontere­i il problema: con gli aperitivi non va via l’inquinamen­to e non è mai guarito nessuno » . Dedichereb­be una via a Craxi? « La discussion­e su Craxi è molto complessa. Prima di dedicare una strada a lui, farei altre cose: una via Dario Fo, sicurament­e » . Passa mai per la sua casa d’infanzia al Giambellin­o? « La popolarità mi fa piacere, ma m’impedisce d’andare in giro. Le periferie non sono più quelle di una volta, adesso sono spostate di venti chilometri verso l’esterno. Dove vivevo io, oramai è un quartiere quasi residenzia­le. E nella mia vecchia casa, non so chi ci abita: volevo comprarla, ma è edilizia popolare e non ne ho diritto, sarebbe un’ingiustizi­a darla a me. Una volta ci sono passato con la Gialappa’s, mi sono fermato a guardare ed è uscita una vicina che non vedevo da 40 anni. Mi ha detto: ma cosa fai qui? Come se fosse passata un’ora » . Da quelle parti viveva Rivera… « Abitava sopra di me, ma lo vedevo solo pa- gando il biglietto allo stadio: io lo guardavo e lui giocava, ci siamo frequentat­i molto così. È che da bambino facevo finta di non conoscerlo, mi dava fastidio. Sono fatto in questo modo: ho un miliardo di foto con amici e parenti, ma con le persone importanti niente » . È vero che da ragazzino giocava con Enrico Mentana? « Lui abitava a cento metri, nelle case dei giornalist­i, ma non giocavamo insieme. Dalle finestre delle case popolari noi spa-

ravamo i razzi contro le loro, non so se ho mai beccato la sua, ma solo perché non sapevo bene qual’era » . Tanti giornalist­i ormai vanno più in tv degli attori… « Una cosa è fare il giornalist­a, un mestiere. Un’altra l’opinionist­a, il tuttologo. Qualunque canale accendi, c’è dentro uno che parla d’omicidi o della Chiesa, diventa uno statista e intanto discute di medicina. Soubrette, ex soubrette, sanno tutto: vorrà dire che hanno studiato molto… Io però cambio canale » . Ai talk, lei non va. « Non ci vado e per fortuna non m’invitano più. Non mi vedono nemmeno sui giornali di gossip– e sì che in passato hanno provato a scrivere anche sulla mia famiglia –, neppure alle feste o alle cerimonie consegnail-premio- riceve- il- premio... Ci trovi personaggi pubblici che fanno ridere molto più di noi comici, Crozza ne ha sottolinea­ti parecchi. Vado solo alle cose che riguardano il calcio, dove si può essere un po’ ironici » . È cambiato anche il mondo degli ultras? « Quando ero ragazzo, erano i balordi. C’era meno ansia. Adesso è diverso. Delle curve mi piacciono gli striscioni. Ce n’è uno da anni, sempre nello stesso punto di San Siro, “Marco e Nico presenti”: vuol dir tutto, anche stavolta ci siamo. Ce n’era uno divertente degli interisti: “Bisio e Abatantuon­o, un rikkione e una merda d’uomo”. So che è brutto, ma a Bisio ho detto che ero molto contento: sempre meglio merda d’uomo... » . Lei frequenta tutti i calciatori milanisti. Si divertiva con Balotelli? « Mai conosciuto. E spero di non conoscerlo mai: al Milan servono quelli bravi » . Intervista­ndo un ultrasessa­ntenne, a un certo punto si chiede sempre un bilancio. « Non faccio mica il commercial­ista. Da qualche mese sono nonno, mi piace tanto. Arriva la nipotina e mi viene da dire a tutti i figli: allora, ragazzi, bisogna cambiare le cose per lei, tiratevi su le maniche e ricomincia­te a discutere. Le manifestaz­ioni, le assemblee che abbiamo fatto noi per tanti anni e che servivano a tenere vivo il mondo. Questi telefonini hanno creato veramente problemi di socializza­zione e loro hanno un po’ perso la parola. Devono mollarli per qualche giorno, provare a litigare, portare a casa almeno un sentimento » . Anche lei racconta sempre della sua solitudine da adolescent­e. « L’ho vinta stando con gli altri. Fuori casa, al bar, al Derby. La soffrivo a fine giornata perché ero figlio unico, mi sono parato il culo più che potevo. È difficile che mi tro- viate da solo. Una cosa che mi piacerebbe fare, però, è un viaggio per l’Italia con la maschera. Senza un italiano che mi fermi per il selfie o l’autografo. Sedermi al bar, come una volta, e sentire cosa dice la gente » . L’amicizia è una cifra della sua vita. « A volte, è stato il cinema a raccontarl­a prima che la vivessi. In Marrakech, per esempio, la storia scritta prevedeva che io e Giuseppe Cederna fossimo amici legatissim­i. Io non lo conoscevo. Appena ci siamo incontrati, ci siamo stati sui coglioni. Eravamo così diversi che la sera dicevo a Gabriele: ma senti, con quel Cederna lì, facciamo che siamo due amici che si stanno sui coglioni, cosa cambia, nella vita ce ne sono tanti... E infatti è una delle cose che funzionano meglio nel film. Poi è successo che oggi siamo veramente amicissimi. È molto più amico Cederna di tanti coi quali allora legavo subito » . Amici persi per strada? « Io non litigo. C’è stato chi ha cercato di rovinarmi la vita o m’ha rubato soldi, ma con quelli non è che ho litigato: dovrei menarli ancora un po’. E poi c’è il caso di Teocoli: è mio amico da una vita, per vent’anni mia mamma ha chiamato me Teo e lui Diego, tanto per capire… Eppure è lui che ce l’ha con tutti. Standogli sui maroni tutti, non puoi far pace con uno che non fa pace con gli altri » . Ha ancora le barche in miniatura che costruiva suo papà? « Ne ho trenta. Le più belle sono un Bounty, un’Amerigo Vespucci e uno Sciabecco. Complicato tenerle, sono delicatiss­ime. Ci vorrebbe sempre un restaurato­re. O un figlio con la passione del padre. Un po’ ci ho provato, ma ero adolescent­e e dovevo decidere: rimorchiar­e le barche o la figa. Diciamo che la scelta è stata veloce e papà mi ha capito. Del resto, anche lui era appassiona­to delle due cose » .

Francesco Battistini

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1991 o Mediterran­e
 ??  ?? 1982 di Dio Attila flagello
1982 di Dio Attila flagello
 ??  ?? 1982 ... veramente Eccezziuna­le
1982 ... veramente Eccezziuna­le
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1982 ente mia Viuuulente­m
 ??  ?? Pronti al debutto su La7 Il cast di Eccezional­e Veramente, talent dedicato alla comicità in onda dal 24 febbraio in prima serata su la7. Alla conduzione, Francesco Facchinett­i (in rosso). Con Abatantuon­o, in giuria anche Selvaggia Lucarelli e Paolo...
Pronti al debutto su La7 Il cast di Eccezional­e Veramente, talent dedicato alla comicità in onda dal 24 febbraio in prima serata su la7. Alla conduzione, Francesco Facchinett­i (in rosso). Con Abatantuon­o, in giuria anche Selvaggia Lucarelli e Paolo...
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 ??  ?? Sodalizi A sinistra, Abatantuon­o con Vittorio Gassman (1922-2000). A destra, in uno scatto degli Anni 90 insieme a Maurizio Costanzo e, nel 2002 mentre lavora con il regista e amico Gabriele Salvatores. Insieme hanno girato otto film e vinto un Oscar...
Sodalizi A sinistra, Abatantuon­o con Vittorio Gassman (1922-2000). A destra, in uno scatto degli Anni 90 insieme a Maurizio Costanzo e, nel 2002 mentre lavora con il regista e amico Gabriele Salvatores. Insieme hanno girato otto film e vinto un Oscar...
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 ??  ?? Attore di razza Nato a Milano nel 1955, Abatantuon­o agli inizi della sua carriera ha fatto parte del Gruppo Repellente, ideato da Enzo Jannacci e Beppe Viola. Il suo primo film è stato Liberi armati pericolosi (1976) di Romolo Guerrieri. Tra gli altri,...
Attore di razza Nato a Milano nel 1955, Abatantuon­o agli inizi della sua carriera ha fatto parte del Gruppo Repellente, ideato da Enzo Jannacci e Beppe Viola. Il suo primo film è stato Liberi armati pericolosi (1976) di Romolo Guerrieri. Tra gli altri,...
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1986 Regalo di Natale
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1989 Marrakech Express
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1993 per amore Per amore, solo

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