Il “bambino” che gioca con gli alieni
Ridley Scott racconta la sua nuova creatura: un androide perfetto, tanti interrogativi. E promette: «Non sarà l’ultimo. La storia è ancora lunga»
Èuna mattina di inizio inverno australiano. Pochi giorni prima, una tempesta ha trasformato la terra rossastra intorno a Sydney in una distesa di fango e detriti. In una ex zona militare strettamente offlimits a un’ora di auto dalla città, un bambino di 79 anni in stivali di gomma e felpa da skater gioca agli alieni con una squadra di 900 professionisti del cinema e un budget di oltre 150 milioni di dollari. Il suo nome è Ridley Scott, il regista mito che ha conquistato le fantasie di almeno tre generazioni quando uscì con il suo primo Alien, nel 1979, e nessuno potè più guardare Sigourney Weaver senza pensare al lucertolone bavoso che schizzava fuori dal petto dei suoi colleghi sulla astronave cargo Nostromo. Colonne di un tempio alieno in cui si è appena consumata una tragedia in stile Pompei, con i corpi di ominidi giganteschi accartocciati lungo la scalinata d’ingresso. La scocca di un’astronave in bilico su un montacarichi, circondata da blue wall di cinquanta metri montati su colonne di container navali. Siamo sul set di Alien: Covenant, la nuova produzione Twentieh Century Fox in uscita nelle sale italiane l’ 11 maggio. Sir Ridley ( è Cavaliere dell’Ordine dell’Impero Britannico) esce da una tenda verde piantata nel fango post tifone. Gli occhi verdi brillano nascosti nell’ombra del cappuccio della felpa. Ecco, tra un ciak e l’altro, cosa ci ha raccontato quel giorno. Sir Ridley Scott, come ci si sente a tornare a fare un Alien con protagonista la creatura originale?
« Era essenziale, perché il primo Alien aveva lasciato troppi interrogativi aperti: chi può avere creato una creatura del genere e per quale motivo? Prometheus aveva cominciato a dare delle risposte, questo nuovo film va più in profondità, va all’origine della questione » . Perché è affascinato dall’ipotesi aliena? « Mettiamola così: io non sono una persona religiosa in senso stretto. Non sono ateo e probabilmente potrei definirmi agnostico. Non credo in qualcosa di ben definito ma ho sempre sospettato che non fosse tutto qui, in quello che possiamo vedere, toccare, conoscere. Quando Alien uscì per la prima volta nel 1979 Carl Sagan ( l’astrofisico americano che ha dedicato la sua vita alla divulgazione scientifica, ndr) mi disse:
“Ho visto il film: carino. Ma sappiamo benissimo che non ha alcun senso aspettarci di avere qualsiasi tipo di contatto alieno dallo spazio, almeno nel corso della nostra esistenza, della mia e della tua”. Oggi, dopo 30 anni, gli scienziati parlano non di una, ma potenzialmente di miliardi di forme di vita che potrebbero vivere in questo momento nell’Universo. Che potrebbero essere simili alla nostra, molto più avanzate o molto più arretrate. È una possibilità accettata ai più alti livelli. E il confine tra conoscenza e non conoscenza lo detta solo un fattore chiave: la tecnologia. Non ci sono prove ancora ma abbiamo sempre telescopi migliori, studi migliori, più informazioni raccolte attraverso questi veicoli a lunga percorrenza sparati nello spazio a partire proprio dal 1979. Finché la tecnologia non ci fornirà risposte chiare, non vi è altra prova se non la logica pura » . Non abbiamo prove, ma in Prometheus gli scienziati se- guono indizi precisi che vengono dal passato. Crede davvero che esistano tracce di passaggi extraterrestri? « Dunque, supponiamo che un bel giorno un tizio con la barba lunga e un lenzuolo intorno al corpo scenda da un disco volante. Come lo chiameremmo? Alieno? Dio? Se guardiamo indietro e rileggiamo la storia delle nostre culture, di tutte le culture, dai Maya agli Egizi, non possiamo negare che ci sia un collegamento. Qualcosa che ci possa spiegare da dove e come queste testimonianze simili tra di loro siano collegate. Penso alle iscrizioni rupestri, alle raffigurazioni di personaggi somiglianti, alle incisioni sacre: perché appaiono ovunque? Chi le ha fatte si sarà basato su qualche tipo di prova, di evento, non può trattarsi di un’invenzione creativa quasi identica avvenuta in contemporanea in tutto il mondo. Sembro uno di quei presentatori televisivi dell’impossibile, vero? ( Ride) Comunque sono in buona compagnia. Se fate la stessa domanda ai ragazzi della Nasa, a Washington, vi diranno: “Of course, are you kidding me? Certo che ci sono, chiunque essi siano”. La cosa più importante, però, è che non decidano di venire a farci visita » . Quindi secondo lei non è un gran piano quello dei governi di mandare segnali nell’universo per far sapere a chiun-