Chiaro & Scuro
Le (uniche) foto a colori di un papà per dire al figlio che la vita è bella. Anche nei lager americani dove reclusero i giapponesi dopo Pearl Harbor
Nei mesi successivi all’attacco di Pearl Harbor, Bill Manbo, il meccanico che gestiva il proprio garage a Hollywood in Vine Street, come altri 120 mila americani di origine giapponese della West Coast è internato nei campi di ricollocamento. A beneficio del figlioletto Billy di due anni, una volta arrivati nell’Heart Mountain Relocation Center ( Wyoming), imbraccia una macchina fotografica, la carica con la pellicola Kodachrome, che dal 1936 elargiva i suoi colori, e organizza un album di ricordi che dissimuli la realtà e gli faccia dimenticare di aver trascorso l’infanzia in un luogo di sofferenza e ingiustizia. La vita è bella anche quando si è stati privati delle proprie cose e abitudini, quando si è circondati dalle guardie e dal filo spinato in una vallata deserta, se in 10.000 si è stipati in decine di baracche di pochi metri senza privacy neppure nei bagni, e se si deve fare la fila per un pezzo di sapone o di pane. Bill Manbo sr è lì con la moglie, il figlio e la suocera. Agli inizi il suocero non c’è: Junzo Itaka, giunto negli States nel 1904 con una laurea in tasca, a fatica aveva acquistato una proprietà dove coltivare verdura. Ma dopo l’attacco a sorpresa alle Hawaii, Junzo il 13 marzo del 1942 è incarcerato a Los Angeles e dislocato in vari stati prima di ricongiungersi alla famiglia. Le conseguenze dell’ordine 9066 siglato da F. D. Roosevelt, che autorizzava la deportazione dei giapponesi- americani, furono documentate con molte restrizioni e con minor o maggior obiettività da fotografi di professione quali Ansel Adams e Dorothea Lange. Agli internati non era concesso fotografare, ma in alcuni campi ( tra cui l’Heart Mountain) il divieto aveva allentato le sue maglie permettendo a Bill Manbo di registrare ( lui l’unico a farlo a colori) la resilienza dei suoi compagni di destino che nelle asperità difendono integrità e cultura. Per non dimenticarsi chi si è, anche in questa landa desolata s’indossa il chimono, si organizzano combattimenti di sumo, ci si dispone come conviene nelle danze folcloristiche. Il soggetto prediletto però rimane lui, il piccolo Billy. Posa con i nonni e la mamma, gioca con i suoi amici, con il modellino d’aereo confezionato dal papà, impara a pattinare… Ma anche il più accorto dei padri scivola nel lapsus e una fotografia in particolare tradisce la messinscena: quella in cui Billy si aggrappa al filo spinato che delimita una fila interminabile di baracche, simili a quelle che di lì a poco faranno trasalire l’Europa, scoperchiando atrocità ancora ignote. Il fato conservava per Bill sr e la sua gente ancora uno strale tanto cruento quanto inimmaginabile: Little Boy ( la bomba atomica) il 6 agosto del ‘ 45 è lanciata su Hiroshima, la città natale dei Manbo. E neanche un fotografo- mago qui avrebbe potuto dissimulare l’Apocalisse.