Il mio eroe
«Aveva in mente una dote forte: il senso della giustizia e mi ha trasmesso l’importanza della riflessione»
Cara Raffaella, la galleria delle persone che hanno contato nella tua carriera è ricca di grandi nomi: Frank Sinatra, incrociato a Hollywood per il film Il colonnello Von
Ryan; Gianni Boncompagni; Giovanni Salvi, direttore di RaiUno; Sergio Japino… « Sì, ma come per tutti, quello che conta è il primo incontro importante che per me è associato a un luogo e a un nome caro: Bellaria, paese profumato di piadine e tagliatelle sulla riviera di Rimini, e Andreina, mia nonna materna, che gestiva una gelateria nella piazza centrale e che mi accoglieva nei mesi estivi. Se Bologna, dove sono nata, era il luogo delle fatiche, del dovere e dell’impegno scolastico sotto gli occhi vigili di mia madre Iris, Bellaria era invece il luogo della vacanza e della libertà, scandito dalla musica. Perché Andreina, oltre a essere brava come commerciante, suonava il violino, e tutte le notti mi addormentavo accanto a lei con indimenticabili colonne sonore: mi cantava i brani delle romanze più famose, e io prendevo sonno cullata dalla sua voce » . Se la elevi a tuo personaggio di riferimento, Andreina avrà avuto altri meriti… « Certo, intanto lei è stata la prima a credere nelle mie qualità artistiche. Da piccola volevo fare la coreografa, mestiere che credevo avrebbe valorizzato al massimo la mia creatività. E stata lei a farmi conoscere il mondo della danza classica a Bologna, dove veniva spesso a trovarmi. Poi mi ha strutturata bene grazie al poker delle sue qualità. Lei era dotata di un equilibrio straordinario e mi ha insegnato la ricerca dello stesso nella vita. Mi ha trasmesso l’importanza della riflessione, di pensar bene prima di parlare. Soprattutto aveva in mente una dote forte che sentivo quando parlava con i grandi: la ricerca della giustizia. “Non bisogna mentire neanche a te stessa”, mi diceva. “Devi cercare la giustizia nei tuoi giudizi nei confronti delle persone, perché vedrai che qualche volta tu hai torto e gli altri hanno ragione”. In più mi ha dato una grande spinta verso la condivisione con le persone più deboli » . Conoscendo quella terra romagnola da dove Andreina proveniva, la si può definire una saggia azdora, colonna portante della famiglia.
« Era la più saggia di sette sorelle. La chiamavano l’inzniera, ingegnera in dialetto romagnolo, nel senso che riusciva a costruire la pace tra tutti i famigliari. Nelle grandi famiglie ci sono sempre turbolenze, nella nostra lei era l’ago della bilancia, una pioniera nell’arte del fare la pace, oltre a sapermi indicare poi, da lontano, le strade giuste per crescere » . È come se lei avesse fatto da ingegnera per la tua lunga carriera. « Bravo, un accostamento del genere non l’aveva mai fatto nessuno » .