Libri
La storia dell’ascesa e caduta di una famiglia tra amore, odio, follia. Chi l’ha scritta? La peggiore scrittrice italiana diventata, adesso, la più brava
Anni fa qualcuno si svegliò una mattina e accusò Teresa Ciabatti di essere la peggiore scrittrice italiana. Fu una mossa incauta e anche maldestra. Ricordo che Ruggero Guarini ( 1931- 2013), una delle menti migliori della sua generazione e che mi onorò della sua amicizia, offeso dalla dichiarazione, trafisse il malcapitato con uno dei suoi affilatissimi corsivi che toccavano a morte al fin della licenza, come Cyrano di Bergerac in duello. Gli scrittori peggiori d’Italia sono altri, più famosi e celebrati. Fu assai ingiusto dirlo di Teresa Ciabatti, anzi fu un abbaglio colossale. Addirittura, letto questo torbido, morboso, meraviglioso, commovente, perfido, capriccioso, innocente, colpevole, delirante, urticante, ingannatore, riottoso romanzo ( La più amata), io scommetterei sul contrario ( ci giurerei): Teresa Ciabatti è la più brava scrittrice italiana. Questo è un romanzo che fa male e si fa male, che è, stilisticamente parlando, un racconto di devastazione, una rete a strascico che sradica dal mare, assieme ai pesci, anche l’anima. È la storia di un rapporto tra figlia e padre, un rapporto malato. Lei stravede per lui. Lorenzo Ciabatti è un grande chirurgo, è un uomo ricco di famiglia, possiede perfino un grattacielo a Grosseto. Ha rinunciato a una mirabolante carriera per esercitare nella sua piccola patria, fare il medico della povera gente all’ospedale di Orbetello, che ha trasformato in un centro d’avanguardia. Il professor Ciabatti ha imparato il mestiere in America dove ha conosciuto Frank Sinatra, Ronald Reagan e Marilyn Monroe ( ma fate la tara, è un po’ ballista). Certo è un provinciale, non sa vestire, porta mocassini scalcagnati, è tirchio da far paura, non è bello. Ma è un uomo di potere ( conosce tutti quelli che contano, compresi loschissimi figuri) e, agli occhi della figlia adorante, appare come un invincibile Signore dell’Anello, perché al dito ne porta uno misterioso, geroglifico, con strani disegni a forma di compasso, che non sfila mai dall’anulare. È un amore pazzo e disperato quello della piccola Teresa per il Professore, che la vizia e le fa vivere una vita da principessa esaudendone ogni voglia, ogni pretesa. La bambina è insopportabile, cattiva, come certi personaggi dei romanzi inglese dell’Ottocento. E ha qualcosa di minaccioso ( il romanzo procura malessere, sembra in certi momenti un rito occulto, una messa nera, una pratica autolesionista). Questo mondo da favola ( simboleggiato dalla villa/ castello con piscina e undici bagni che
assume, nella mente della bambina, una magnificenza gatsbyana, fitzgeraldiana), cederà il passo alla realtà della vita com’è. Teresa misurerà la differenza tra le coscione e i culi bassi ( lascito di antiche dominazione spagnole) delle adolescenti orbetellane in cui lei milita e lo slancio da valchirie delle ragazze rivali di Porto Ercole. Dovrà fare i conti con l’infelicità senza desideri della madre, prima bella, piena di vita, anestesista in carriera, poi cupa, depressa ( sottoposta per un anno intero alla cura del sonno, una specie di pre- morte). E con i veleni di un matrimonio finito ( la madre alla figlia: « non hai capito che è frocio, tuo padre va con gli uomini » ) . Dovrà subire il disfacimento economico ( il padre svenderà anche l’infanzia dorata di Teresa, cioè la villa hollywoodiana, per poche lire, quasi a spregio della sua ex più amata). Il romanzo è pieno di scene straordinariamente girate. La corsa in auto sulla strada panoramica sospesa sull’abisso ( come in Caccia al ladro di Hitchcock). Il passerotto imbalsamato, sinistro e malaugurante regalo, recapitato alla madre, il giorno delle nozze, da uno sconosciuto ( ancora Hitchcock?). Il padre ( fascistone) che canta lugubremente Lili Marleen ( « vor der Kaserne... » ) sulla tolda della barca. Nel libro non c’è pietà per nessuno ( la protagonista non è mai andata sulla tomba dei genitori). Non c’è pietà nemmeno per chi scrive ( Teresa non nasconde inettitudine, stronzaggine, aridità, follia). È una condanna all’estinzione di una gens, una maledizione urbi et orbi ( e Orbetello), una damnatio memoriae.