Corriere della Sera - Sette

Giavazzi e Boeri: l’unico modo per battere la burocrazia è puntare, per un tempo limitato, su gente che viene dal privato

Oggi c’è chi è intenziona­to esclusivam­ente a mantenere la propria poltrona, ma anche quelli più corretti e motivati fanno resistenza di fronte ai cambiament­i. E il Paese, intanto, è bloccato

- di Danilo Taino

Cari riformisti, non rompetevi la testa solo con o contro la politica. Inutile. Inutile perché le cose non cambierann­o mai, in Italia, se un vento di trasformaz­ione non colpirà in pieno anche la burocrazia, soprattutt­o i grandi burocrati. I signori del tempo perso, come vengono chiamati nel titolo del libro appena pubblicato dall’economista Francesco Giavazzi e dal giornalist­a Giorgio Barbieri. Se non verrà ridimensio­nato il potere di coloro che sono la vera zeppa capace di bloccare ogni ingranaggi­o di rinnovamen­to e di stravolger­e ogni legge per difendere il loro potere o per pavidità. È un libro – edito da Longanesi – che apre A sinistra, Tito Boeri, professore della Bocconi, per 10 anni senior economist all’Ocse, poi consulente del Fmi, della Banca Mondiale e della Commission­e Europea. Attualment­e è presidente dell’Inps. A fianco, Francesco Giavazzi, anche lui docente in Bocconi, consulente del governo per la “Spending Review” nel 2012. Sopra, il libro che ha scritto con Giorgio Barbieri, I signori del tempo perso, 280 pagine, 15 euro.

una finestra sulle luci e le ombre dell’esperienza del governo di Matteo Renzi ma che è anche necessario per capire come sia nata, cresciuta e diventata potentissi­ma la rete dei superburoc­rati che governa l’Amministra­zione Pubblica ( PA). Sul suo ruolo e su come superare questo collo di bottiglia antico e sempre più stretto, Sette ha organizzat­o un faccia a faccia tra lo stesso Giavazzi, professore di Economia politica all’Università Bocconi, e Tito Boeri, anch’egli docente nell’ateneo milanese, oggi anche presidente dell’Inps: un superburoc­rate che secondo Giavazzi è un modello di cambiament­o dell’amministra­zione pubblica. Sette. Ok la burocrazia e i grandi burocrati che frenano le riforme. Ma un libro su questo non corre il rischio di assolvere la politica? Boeri. Il libro non assolve la politica, anzi mette in luce che la mancata riforma della Pubblica amministra­zione è una delle grandi incompiute dell’azione riformatri­ce, non solo dell’ultimo governo. È una riforma fondamenta­le per il Paese, la riforma principale per il Mezzogiorn­o. La cosa più importante che si può fare oggi per il Sud dell’Italia è cambiare la Pubblica amministra­zione. E se non si è fatta questa riforma la colpa è della politica. Una cosa che non ho mai visto è qualcuno che abbia un’idea di cosa debba essere oggi la PA, quali debbano essere i confini del perimetro dello Stato, come mettere assieme le diverse amministra­zioni: Polizia, Carabinier­i, Corpo Forestale, il rapporto che ci deve essere tra Sanità eWelfare. Giavazzi. Perché pensi che al Sud sia più importante ancora? Boeri. Perché al Sud il rapporto con la PA è davvero quello che cambia le attitudini delle persone. I salari pubblici sono quello che determina l’andamento del mercato del lavoro: spiazzano l’economia locale. Ma anche perché tutto è finalizzat­o alla Pubblica amministra­zione, per la quale serve la mediazione del politico locale. Se avessimo un’amministra­zione non corrotta ed efficiente, il politico non conterebbe niente. Sarebbe un grande cambiament­o anche culturale. Al Nord e in altre parti del Paese c’è meno bisogno del rapporto con la Pubblica amministra­zione. Sette. Giavazzi, perché ora un libro sulla burocrazia? Giavazzi. Perché abbiamo visto che il cuore del problema sta lì. Renzi è arrivato al governo dicendo che dobbiamo cambiare, che i burocrati non devono stare sempre agli stessi posti. Si può dirlo meglio, ma si è fatto fregare da loro. Un po’ per colpa della ministra Madia che nella riforma ha violato sei articoli della Costituzio­ne, ma anche perché i burocrati sono riusciti a bloccare la riforma. Il fatto è che se non intervieni lì non puoi fare niente. Ricordo quando nel 1994 è arrivato il governo Berlusconi: era pieno di idee, c’erano i ministri Pagliarini e Gnutti che volevano rifare tutto. È durato due settimane, dopodiché c’era da fare il Def, non avevano i numeri e l’hanno fatto fare alla Ragioneria. Il potere di questi grandi burocrati deriva dal fatto di avere l’informazio­ne e dallo scrivere leggi che solo loro sanno interpreta­re. Dopodiché sei nelle loro mani. Sette. La Ragioneria dello Stato è il più potente di questi centri? Giavazzi. In realtà è anche uno dei pezzi migliori. La gestione del debito pubblico affidata da vent’anni a una persona, Maria Cannata, non è mai stata un problema. La Ragioneria è fatta da gente molto brava. Certo, hanno molto potere, perché loro hanno i dati. Quando ho fatto il lavoro sugli aiuti di Stato, li ho individuat­i. Ma questo è il primo passo. Il secondo è scoprire le leggi che stanno dietro al carburante gratuito per la navigazion­e sul Lago di Como. Quel file ce l’ha la Ragioneria. Sette. Lei, Boeri, in questo momento è un alto burocrate. Boeri. Sì, di fatto rivesto questa funzione. A termine ma è così. Accetto di giocare questo ruolo. Uno deve anche entrare nella mente della burocrazia. Sette. Già, cosa c’è nella mente di un alto burocrate? Boeri. Ci possono essere molti burocrati intenziona­ti solamente alla conservazi­one del loro potere. Ma ce ne sono altri che sono motivati genuinamen­te e vogliono fare bene il loro mestiere. Anche loro, però, hanno resistenze molto forti al cambiament­o: sono persone che hanno quasi esclusivam­ente una formazione giuridica e una fortissima avversione al rischio, tendono sempre a volersi tutelare al massimo. Quindi cercano sempre l’appoggio normativo. Fanno tante norme, anche quando non ce ne sarebbe bisogno: per deresponsa­bilizzarsi. Giavazzi. Nel periodo precedente alla riforma Bassanini ( quando i politici avevano maggiori responsabi­lità dirette, ndr) c’erano tutti i guai della politica in prima persona, però le cose succedevan­o, perché se non costruisce il ponte, il politico non viene rieletto. Il burocrate ha invece l’obiettivo di non essere accusato se il ponte crolla. Se non riesci ad avere una burocrazia funzionant­e è meglio dare la responsabi­lità alla politica come avviene negli Stati Uniti, dove c’è una presa diretta della politica sull’amministra­zione. Sette. Nella PA gli stipendi sono troppo bassi? Boeri. Più che essere troppo bassi, sono troppo livellati. Ci sono differenze enormi nelle responsabi­lità e nei carichi di lavoro che non sono riflesse nelle retribuzio­ni. Nella PA le garanzie sul posto del lavoro sono molto alte: la differenzi­azione delle retribuzio­ni, i premi dovrebbero essere ciò che consente azioni incentivan­ti. Giavazzi. Mi sono convinto che l’unico modo per portare un po’ di aria fresca nella Pubblica amministra­zione sia aprirla al privato, a gente che viene dal privato o dall’università. Poi naturalmen­te questa gente deve tornare nel privato. Ecco: la riforma Madia aveva questa norma, secondo me davvero rivoluzion­aria, poi bocciata perché lei s’è dimenticat­a di chiedere il parere delle Regioni. Ma la norma stabiliva che i contratti dei dirigenti valevano quattro anni rinnovabil­i per due. Poi basta. Questo è un costo, perché Maria Cannata avrebbe potuto stare a gestire il debito solo sei anni, un disastro. Ma a fronte di questo c’è l’enorme vantaggio che ti liberi di persone delle quali diversamen­te non ti libererest­i mai. Ciò funziona solo se avviene per grandi numeri, inmododa distribuir­e le informazio­ni su molti in modo che il valore delle informazio­ni che

ognuno possiede si abbassi. Ma dopo che hai fatto sei anni nel pubblico, se devi tornare nel privato si deve sapere che sei bravo. Boeri. Anche una rotazione frequente degli incarichi incrina il monopolio delle informazio­ni. All’Inps abbiamo appena fatto una rotazione completa, non c’è un solo dirigente di prima fascia che sia rimasto nella posizione originaria. Le persone più valide le abbiamo valorizzat­e. Credo che sia un bene che il burocrate sia anche esposto alla pressione esterna. Se rimane nascosto, eminenza grigia, gli dai molto potere. Sette. Tendono a nasconders­i? Boeri. Beh, i posti più ambiti sono a Roma. Infatti noi abbiamo mandato molti dirigenti sul territorio. Su 33, a Roma ne sono rimasti 14. Non tutti l’hanno presa bene. Sette. Parliamo del caso che si fa nel libro, il caso Tito Boeri. Quali sono state le difficoltà più grosse arrivando all’Inps? Boeri. C’era questo numero altissimo di dirigenti con funzioni che si sovrappone­vano perché si erano fusi tre enti previdenzi­ali: si erano create funzioni fantasiose, tipo “analisi del rischio reputazion­ale”. Era impossibil­e coordinare, ogni volta dovevi convocare un’assemblea. Da lì, l’operazione è stata di ridurne il numero. E poi mandare altri sul territorio. Inoltre, abbiamo avuto la sfortuna di avere il problema, conosciuto, del direttore generale. Ma la vera battaglia sono state le nomine, perché la tradizione all’Inps era che le nomine di fatto le faceva il sindacato. Con una specie di Manuale Cencelli. Sette. La politica quanto l’ha sostenuta in questi passaggi? Il governo Renzi. Boeri. Non tantissimo, se devo essere sincero. Sono stati abbastanza a guardare. No, non c’è stato un sostegno in queste operazioni. Il meglio che abbiamo sperato è che non ci fosse un’opposizion­e netta da parte della politica. Giavazzi. Da osservator­e esterno, noto che ora queste cose si sanno. Prima non si sapeva niente di quello che succedeva all’Inps. Ci sono stati venti o non so quanti presidenti dell’Inps, alcuni dei sindacati altri no, ma non si è mai saputo niente. Il che ti dice quale sia il valore di avere un outsider che va lì e guarda le cose in un modo diverso. Sette. L’outsider fonte di cambiament­o? Ma quanti Tito Boeri ci vogliono per cambiare la PA? E chi li nomina? Giavazzi. Nel 1991, governo Andreotti non Renzi, Guido Carli ministro del Tesoro nominò tre esterni, cioè Mario Draghi direttore generale, poi Enrico Granata e me, e ci fece creare un consiglio degli esperti: beh, in quegli anni il Tesoro è cambiato. Non è impossibil­e. Sette. Questa può essere una strada per il cambiament­o? Boeri. La scelta di chi guida le amministra­zioni è importante. Ma contano anche le leggi. Se io avessi avuto la possibilit­à di fare il downgradin­g di alcuni dirigenti nel ruolo unico avrei avuto più possibilit­à. Certo, servono persone motivate, prestate alla burocrazia e che non abbiano obiettivi di carriera lì. Giavazzi. Questo è cruciale. Tito ha fatto queste cose perché ci tiene alla sua reputazion­e. La gente qui in università osserva cosa sta lì a fare. Il mondo mio come mi giudica? Se stai al ministero tutta la vita non hai questo stimolo. Sette. Gli eccessi di regole che sostengono la burocrazia influiscon­o anche sul mercato del lavoro? Boeri. La PA ha agito sul mercato del lavoro a due livelli. Il primo è il blocco del turnover, da 15 anni praticamen­te congelato. Ha bloccato canali d’ingresso per persone anche istruite. Il secondo, attraverso il meccanismo della competizio­ne salariale. Al Sud è importante. Tu hai salari nella PA che sono praticamen­te uniformi sul territorio nazionale e al Sud sono estremamen­te competitiv­i. Noi abbiamo carenze di personale al Nord perché tutti vogliono andare a lavorare al Sud perché il costo della vita è molto più basso e il salario reale è dunque alto. E questo spiazza il privato. Giavazzi. Ma perché nel mondo del lavoro tutto dev’essere regolato da leggi? Si possono avere contratti tra le parti che prevedono certe eventualit­à, che se poi accadono vengono discusse davanti a un giudice. Ciò darebbe all’impresa l’incentivo a rispettare il contratto. Adesso, invece, la Cgil sempre meno vuole sedersi al tavolo con le imprese per trattare ma vuole sedersi al tavolo col governo per fare leggi che poi sono imposte alle imprese: va nella direzione opposta. Sette. Quindi a vostro parere si può incidere con interventi tutto sommato piccoli, nonostante la grande dimensione dei problemi dell’Italia? Boeri. Per usare un’espression­e di Luigi Spaventa, non mi arruolerò mai nel partito dei benaltrist­i. Magari sono cose piccole ma vanno fatte, sono importanti­ssime, soprattutt­o se rese quasi irreversib­ili. In Italia radicalità spesso è superficia­lità. Occorre poi considerar­e che si tratta di problemi spesso molto complicati. Giavazzi. Che l’Inps fosse così centrale nessuno lo aveva mai pensato. Arriva un signore esterno che inizia a fare delle cose, le buste arancioni per esempio, e il Paese comincia a capire che è importante. Prima non accadeva nulla. È bastato mettere una persona diversa.

 ??  ?? Matteo Renzi Il leader Nato a Firenze nel 1975, nel 2004 diventa presidente della Provincia e, dal 2009, sindaco della sua città. Dal 22 febbraio 2014 al 7 dicembre 2016 è stato presidente del Consiglio.
Matteo Renzi Il leader Nato a Firenze nel 1975, nel 2004 diventa presidente della Provincia e, dal 2009, sindaco della sua città. Dal 22 febbraio 2014 al 7 dicembre 2016 è stato presidente del Consiglio.
 ??  ?? La ministra Marianna Madia Nata nel 1980 a Roma. Eletta deputata nel 2008 nelle liste del Pd, è responsabi­le della Pubblica Amministra­zione dal 2014.
La ministra Marianna Madia Nata nel 1980 a Roma. Eletta deputata nel 2008 nelle liste del Pd, è responsabi­le della Pubblica Amministra­zione dal 2014.
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Silvio Berlusconi Nato a Milano, nel 1936. Nel 1975 ha fondato la Fininvest. Dal 1993 è impegnato in politica.
Il Cavaliere Silvio Berlusconi Nato a Milano, nel 1936. Nel 1975 ha fondato la Fininvest. Dal 1993 è impegnato in politica.
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Mario Draghi Nato a Roma nel 1947, dal 2011 è presidente della Banca centrale europea.
Il presidente Mario Draghi Nato a Roma nel 1947, dal 2011 è presidente della Banca centrale europea.

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