Giavazzi e Boeri: l’unico modo per battere la burocrazia è puntare, per un tempo limitato, su gente che viene dal privato
Oggi c’è chi è intenzionato esclusivamente a mantenere la propria poltrona, ma anche quelli più corretti e motivati fanno resistenza di fronte ai cambiamenti. E il Paese, intanto, è bloccato
Cari riformisti, non rompetevi la testa solo con o contro la politica. Inutile. Inutile perché le cose non cambieranno mai, in Italia, se un vento di trasformazione non colpirà in pieno anche la burocrazia, soprattutto i grandi burocrati. I signori del tempo perso, come vengono chiamati nel titolo del libro appena pubblicato dall’economista Francesco Giavazzi e dal giornalista Giorgio Barbieri. Se non verrà ridimensionato il potere di coloro che sono la vera zeppa capace di bloccare ogni ingranaggio di rinnovamento e di stravolgere ogni legge per difendere il loro potere o per pavidità. È un libro – edito da Longanesi – che apre A sinistra, Tito Boeri, professore della Bocconi, per 10 anni senior economist all’Ocse, poi consulente del Fmi, della Banca Mondiale e della Commissione Europea. Attualmente è presidente dell’Inps. A fianco, Francesco Giavazzi, anche lui docente in Bocconi, consulente del governo per la “Spending Review” nel 2012. Sopra, il libro che ha scritto con Giorgio Barbieri, I signori del tempo perso, 280 pagine, 15 euro.
una finestra sulle luci e le ombre dell’esperienza del governo di Matteo Renzi ma che è anche necessario per capire come sia nata, cresciuta e diventata potentissima la rete dei superburocrati che governa l’Amministrazione Pubblica ( PA). Sul suo ruolo e su come superare questo collo di bottiglia antico e sempre più stretto, Sette ha organizzato un faccia a faccia tra lo stesso Giavazzi, professore di Economia politica all’Università Bocconi, e Tito Boeri, anch’egli docente nell’ateneo milanese, oggi anche presidente dell’Inps: un superburocrate che secondo Giavazzi è un modello di cambiamento dell’amministrazione pubblica. Sette. Ok la burocrazia e i grandi burocrati che frenano le riforme. Ma un libro su questo non corre il rischio di assolvere la politica? Boeri. Il libro non assolve la politica, anzi mette in luce che la mancata riforma della Pubblica amministrazione è una delle grandi incompiute dell’azione riformatrice, non solo dell’ultimo governo. È una riforma fondamentale per il Paese, la riforma principale per il Mezzogiorno. La cosa più importante che si può fare oggi per il Sud dell’Italia è cambiare la Pubblica amministrazione. E se non si è fatta questa riforma la colpa è della politica. Una cosa che non ho mai visto è qualcuno che abbia un’idea di cosa debba essere oggi la PA, quali debbano essere i confini del perimetro dello Stato, come mettere assieme le diverse amministrazioni: Polizia, Carabinieri, Corpo Forestale, il rapporto che ci deve essere tra Sanità eWelfare. Giavazzi. Perché pensi che al Sud sia più importante ancora? Boeri. Perché al Sud il rapporto con la PA è davvero quello che cambia le attitudini delle persone. I salari pubblici sono quello che determina l’andamento del mercato del lavoro: spiazzano l’economia locale. Ma anche perché tutto è finalizzato alla Pubblica amministrazione, per la quale serve la mediazione del politico locale. Se avessimo un’amministrazione non corrotta ed efficiente, il politico non conterebbe niente. Sarebbe un grande cambiamento anche culturale. Al Nord e in altre parti del Paese c’è meno bisogno del rapporto con la Pubblica amministrazione. Sette. Giavazzi, perché ora un libro sulla burocrazia? Giavazzi. Perché abbiamo visto che il cuore del problema sta lì. Renzi è arrivato al governo dicendo che dobbiamo cambiare, che i burocrati non devono stare sempre agli stessi posti. Si può dirlo meglio, ma si è fatto fregare da loro. Un po’ per colpa della ministra Madia che nella riforma ha violato sei articoli della Costituzione, ma anche perché i burocrati sono riusciti a bloccare la riforma. Il fatto è che se non intervieni lì non puoi fare niente. Ricordo quando nel 1994 è arrivato il governo Berlusconi: era pieno di idee, c’erano i ministri Pagliarini e Gnutti che volevano rifare tutto. È durato due settimane, dopodiché c’era da fare il Def, non avevano i numeri e l’hanno fatto fare alla Ragioneria. Il potere di questi grandi burocrati deriva dal fatto di avere l’informazione e dallo scrivere leggi che solo loro sanno interpretare. Dopodiché sei nelle loro mani. Sette. La Ragioneria dello Stato è il più potente di questi centri? Giavazzi. In realtà è anche uno dei pezzi migliori. La gestione del debito pubblico affidata da vent’anni a una persona, Maria Cannata, non è mai stata un problema. La Ragioneria è fatta da gente molto brava. Certo, hanno molto potere, perché loro hanno i dati. Quando ho fatto il lavoro sugli aiuti di Stato, li ho individuati. Ma questo è il primo passo. Il secondo è scoprire le leggi che stanno dietro al carburante gratuito per la navigazione sul Lago di Como. Quel file ce l’ha la Ragioneria. Sette. Lei, Boeri, in questo momento è un alto burocrate. Boeri. Sì, di fatto rivesto questa funzione. A termine ma è così. Accetto di giocare questo ruolo. Uno deve anche entrare nella mente della burocrazia. Sette. Già, cosa c’è nella mente di un alto burocrate? Boeri. Ci possono essere molti burocrati intenzionati solamente alla conservazione del loro potere. Ma ce ne sono altri che sono motivati genuinamente e vogliono fare bene il loro mestiere. Anche loro, però, hanno resistenze molto forti al cambiamento: sono persone che hanno quasi esclusivamente una formazione giuridica e una fortissima avversione al rischio, tendono sempre a volersi tutelare al massimo. Quindi cercano sempre l’appoggio normativo. Fanno tante norme, anche quando non ce ne sarebbe bisogno: per deresponsabilizzarsi. Giavazzi. Nel periodo precedente alla riforma Bassanini ( quando i politici avevano maggiori responsabilità dirette, ndr) c’erano tutti i guai della politica in prima persona, però le cose succedevano, perché se non costruisce il ponte, il politico non viene rieletto. Il burocrate ha invece l’obiettivo di non essere accusato se il ponte crolla. Se non riesci ad avere una burocrazia funzionante è meglio dare la responsabilità alla politica come avviene negli Stati Uniti, dove c’è una presa diretta della politica sull’amministrazione. Sette. Nella PA gli stipendi sono troppo bassi? Boeri. Più che essere troppo bassi, sono troppo livellati. Ci sono differenze enormi nelle responsabilità e nei carichi di lavoro che non sono riflesse nelle retribuzioni. Nella PA le garanzie sul posto del lavoro sono molto alte: la differenziazione delle retribuzioni, i premi dovrebbero essere ciò che consente azioni incentivanti. Giavazzi. Mi sono convinto che l’unico modo per portare un po’ di aria fresca nella Pubblica amministrazione sia aprirla al privato, a gente che viene dal privato o dall’università. Poi naturalmente questa gente deve tornare nel privato. Ecco: la riforma Madia aveva questa norma, secondo me davvero rivoluzionaria, poi bocciata perché lei s’è dimenticata di chiedere il parere delle Regioni. Ma la norma stabiliva che i contratti dei dirigenti valevano quattro anni rinnovabili per due. Poi basta. Questo è un costo, perché Maria Cannata avrebbe potuto stare a gestire il debito solo sei anni, un disastro. Ma a fronte di questo c’è l’enorme vantaggio che ti liberi di persone delle quali diversamente non ti libereresti mai. Ciò funziona solo se avviene per grandi numeri, inmododa distribuire le informazioni su molti in modo che il valore delle informazioni che
ognuno possiede si abbassi. Ma dopo che hai fatto sei anni nel pubblico, se devi tornare nel privato si deve sapere che sei bravo. Boeri. Anche una rotazione frequente degli incarichi incrina il monopolio delle informazioni. All’Inps abbiamo appena fatto una rotazione completa, non c’è un solo dirigente di prima fascia che sia rimasto nella posizione originaria. Le persone più valide le abbiamo valorizzate. Credo che sia un bene che il burocrate sia anche esposto alla pressione esterna. Se rimane nascosto, eminenza grigia, gli dai molto potere. Sette. Tendono a nascondersi? Boeri. Beh, i posti più ambiti sono a Roma. Infatti noi abbiamo mandato molti dirigenti sul territorio. Su 33, a Roma ne sono rimasti 14. Non tutti l’hanno presa bene. Sette. Parliamo del caso che si fa nel libro, il caso Tito Boeri. Quali sono state le difficoltà più grosse arrivando all’Inps? Boeri. C’era questo numero altissimo di dirigenti con funzioni che si sovrapponevano perché si erano fusi tre enti previdenziali: si erano create funzioni fantasiose, tipo “analisi del rischio reputazionale”. Era impossibile coordinare, ogni volta dovevi convocare un’assemblea. Da lì, l’operazione è stata di ridurne il numero. E poi mandare altri sul territorio. Inoltre, abbiamo avuto la sfortuna di avere il problema, conosciuto, del direttore generale. Ma la vera battaglia sono state le nomine, perché la tradizione all’Inps era che le nomine di fatto le faceva il sindacato. Con una specie di Manuale Cencelli. Sette. La politica quanto l’ha sostenuta in questi passaggi? Il governo Renzi. Boeri. Non tantissimo, se devo essere sincero. Sono stati abbastanza a guardare. No, non c’è stato un sostegno in queste operazioni. Il meglio che abbiamo sperato è che non ci fosse un’opposizione netta da parte della politica. Giavazzi. Da osservatore esterno, noto che ora queste cose si sanno. Prima non si sapeva niente di quello che succedeva all’Inps. Ci sono stati venti o non so quanti presidenti dell’Inps, alcuni dei sindacati altri no, ma non si è mai saputo niente. Il che ti dice quale sia il valore di avere un outsider che va lì e guarda le cose in un modo diverso. Sette. L’outsider fonte di cambiamento? Ma quanti Tito Boeri ci vogliono per cambiare la PA? E chi li nomina? Giavazzi. Nel 1991, governo Andreotti non Renzi, Guido Carli ministro del Tesoro nominò tre esterni, cioè Mario Draghi direttore generale, poi Enrico Granata e me, e ci fece creare un consiglio degli esperti: beh, in quegli anni il Tesoro è cambiato. Non è impossibile. Sette. Questa può essere una strada per il cambiamento? Boeri. La scelta di chi guida le amministrazioni è importante. Ma contano anche le leggi. Se io avessi avuto la possibilità di fare il downgrading di alcuni dirigenti nel ruolo unico avrei avuto più possibilità. Certo, servono persone motivate, prestate alla burocrazia e che non abbiano obiettivi di carriera lì. Giavazzi. Questo è cruciale. Tito ha fatto queste cose perché ci tiene alla sua reputazione. La gente qui in università osserva cosa sta lì a fare. Il mondo mio come mi giudica? Se stai al ministero tutta la vita non hai questo stimolo. Sette. Gli eccessi di regole che sostengono la burocrazia influiscono anche sul mercato del lavoro? Boeri. La PA ha agito sul mercato del lavoro a due livelli. Il primo è il blocco del turnover, da 15 anni praticamente congelato. Ha bloccato canali d’ingresso per persone anche istruite. Il secondo, attraverso il meccanismo della competizione salariale. Al Sud è importante. Tu hai salari nella PA che sono praticamente uniformi sul territorio nazionale e al Sud sono estremamente competitivi. Noi abbiamo carenze di personale al Nord perché tutti vogliono andare a lavorare al Sud perché il costo della vita è molto più basso e il salario reale è dunque alto. E questo spiazza il privato. Giavazzi. Ma perché nel mondo del lavoro tutto dev’essere regolato da leggi? Si possono avere contratti tra le parti che prevedono certe eventualità, che se poi accadono vengono discusse davanti a un giudice. Ciò darebbe all’impresa l’incentivo a rispettare il contratto. Adesso, invece, la Cgil sempre meno vuole sedersi al tavolo con le imprese per trattare ma vuole sedersi al tavolo col governo per fare leggi che poi sono imposte alle imprese: va nella direzione opposta. Sette. Quindi a vostro parere si può incidere con interventi tutto sommato piccoli, nonostante la grande dimensione dei problemi dell’Italia? Boeri. Per usare un’espressione di Luigi Spaventa, non mi arruolerò mai nel partito dei benaltristi. Magari sono cose piccole ma vanno fatte, sono importantissime, soprattutto se rese quasi irreversibili. In Italia radicalità spesso è superficialità. Occorre poi considerare che si tratta di problemi spesso molto complicati. Giavazzi. Che l’Inps fosse così centrale nessuno lo aveva mai pensato. Arriva un signore esterno che inizia a fare delle cose, le buste arancioni per esempio, e il Paese comincia a capire che è importante. Prima non accadeva nulla. È bastato mettere una persona diversa.