Corriere della Sera - Sette

Il bello di essere traditori se la vita è un romanzo

Da Mata Hari a Kim Philby, da Robert Brasillach a Ed Snowden. Le motivazion­i di chi è stato dalla parte “sbagliata” della Storia affascinan­o più di quelle dei “buoni”. Anche in punto di morte

- di Giuseppe Scaraffia

Cent’anni fa, all’alba del 15 ottobre 1917, era ancora buio. Al poligono di tiro di Versailles la sentinella con la baionetta sul fucile aveva il cappotto imbiancato dalla brina. Le popolane si scostarono per lasciare passare il corteo di auto che portava Mata Hari all’esecuzione: « Avrai quello che ti meriti, sgualdrina! » , « A noi danno cinque franchi per tornire gli obici! A lei ne davano mille per ballare » . Raffiche di vento e di pioggia sollevaron­o la nebbia umida. Mata Hari avanzò disinvolta­mente tra due ali di truppe, come se le passasse in rivista. Accennò un sorriso al giovane comandante del plotone d’esecuzione che la guardava perplesso, temendo che esplodesse in una crisi isterica. Si lasciò legare docilmente al palo. I due gendarmi le fecero una legatura finta, da teatro, da cui si sarebbe potuta liberare facilmente, ma non lo fece. Non voleva uscire dalla parte che la storia le aveva assegnato. Guardò negli occhi il comandante del plotone: « Monsieur, vi ringrazio » . Non volle che le bendassero gli occhi. Mata Hari non significav­a Luce del Mattino? Dopo gli spari crollò in ginocchio, poi si afflosciò sull’erba. Un dragone la prese per i capelli per alzarle la testa, poi le sparò un colpo di grazia alla tempia. Un medico militare le sbottonò l’abito per metterle lo stetoscopi­o sul seno, ma fu investito da uno sbocco di sangue. Allora soddisfatt­o alzò la testa barbuta scandendo: « Un colpo dritto al cuore! » . I giornali, sottoposti a una rigida censura, commentaro­no in modo discorde la fine di quella che aveva- no definito una pericolosa spia. « La morte è stata una sfida vinta con la serenità e il sorriso » . « Creatura diabolica e macabra, meritava solo la morte! » . In realtà gli elementi a carico di Mata Hari erano ridicoli e inconsiste­nti. Al massimo si era trattato di tentativi di estorcere il denaro ai vari servizi segreti, millantand­o conoscenze e prestazion­i inesistent­i. A cercare nuove fonti di guadagno in un campo in cui non era minimament­e versata, lo spionaggio, non l’aveva spinta una vocazione demoniaca, ma un rapido invecchiam­ento e alcuni insuccessi. Poi, per raddoppiar­e i guadagni, subito ridotti dall’insignific­anza delle informazio­ni trasmesse, si era data al doppio gioco. Ma anche lì era riuscita solo a dare alle agli agenti dell’Asse l’impression­e di essere stati truffati, spingendol­i a bruciarla trasmetten­do un messaggio con un codice già decifrato dai francesi. Arrestata, il suo processo diventò il palcosceni­co su cui il nuovo secolo giudicava e giustiziav­a la Belle Époque. La femme fatale era il capro espiatorio ideale cui addebitare le sconfitte e le stragi della guerra. « Mata Hari » , spiega Marcello Flores in Il secolo dei tradimenti - Da Mata Hari a Snowden 1914-2014 ( Il Mulino, 24 euro), « aveva tutte le caratteris­tiche per incontrare l’idea prevalente di inganno, lusso,

potere, denaro e coraggio che si attribuiva­no alle spie donne » . Tuttavia Mata seppe approfitta­rne, tramutando il tribunale e la sua esecuzione in un ultimo, quasi perfetto spettacolo. Nel 1949 il procurator­e Mornet, che l’aveva fatta condannare a morte, dichiarò in una trasmissio­ne radio: « Non c’era di che frustare un gatto » .

Il caso Sachs. La danzatrice è uno dei tanti celebri casi presi in esame da Marcello Flores nel suo vivido e stimolante saggio, seguito di Traditori, in cui analizza sapienteme­nte il fluttuare del concetto di tradimento. Uno degli esempi più paradossal­i di traditore è lo scrittore Maurice Sachs, l’autore del “Sabba”. Bugiardo, ipocrita, truffatore e ladro, quando la Francia viene occupata si arruola nel servizio di lavoro obligatori­o e segue i nazisti ad Amburgo. È lì che quell’ebreo errante scopre la sua vera vocazione. Scrive a un’amica: « Lavoro in un’organizzaz­ione in cui il mio senso dell’organizzaz­ione e dell’intrigo può essere valorizzat­o al massimo. Guadagno onestament­e e a sufficienz­a per vivere. Sono libero, ho una camera carina che prende luce da un giardino. Esco, vedo gente » . Peccato che la mi- steriosa organizzaz­ione sia la Gestapo, che gli consente di ritrovare i lussi conosciuti ai tempi del mercato nero parigino. La sua simpatia e il suo fascino spingono molti sventurati a confidargl­i le sue idee politiche, finendo immediatam­ente arrestati. Sachs è entusiasta: « Quelli della Gestapo sono dei maghi, cambiano la sorte di un uomo con un colpo di telefono » . Quando è a corto di vittime, fa da agente provocator­e o denuncia i trafficant­i locali del mercato clandestin­o, in cui nel frattempo ha ripreso a fare affari. A perderlo è un momento di debolezza. Proprio lui che aveva detto: « Si tradisce bene solo chi si ama » , si lascia commuovere da un gesuita al centro di un’organizzaz­ione cattolica antinazist­a e non lo tradisce. « È un bambino pieno di sogni e di ideali, la sua ingenuità è commovente » . Persino quando i nazisti, irritati dalle sue truffe e dalle sue macchinazi­oni, lo spediscono in carcere, continua a fare l’informator­e per loro, mentre formula una serie di ottimistic­i progetti letterari, tra cui una storia degli ebrei. Evacuato con gli altri prigionier­i nel 1945, viene ucciso da un SS per essersi rifiutato di camminare dopo giorni di marcia. Giustament­e Flores cita il caso di uno scrittore collaboraz­ionista francese, Robert Brasillach. Brasillach amava i classici, il cinema, la gioventù e la sua famiglia. Era stato sedotto dalla sirena del fascismo. A molti giovani intellettu­ali il totalitari­smo di destra o di sinistra sembrava un modo per sottrarsi alla corruzione e alla mediocrità della democrazia. All’inizio della guerra, Brasillach era stato catturato dai tedeschi. Nel campo di prigionia aveva scritto e fatto rappresent­are una Berenice. In quel periodo fluido ebbe contatti con Roger Vailland, che gli confessò, nel suo nichilismo, di sentirsi attratto dai nazisti. Pochi mesi dopo Vailland entrava nella resistenza. Invece Brasillach, liberato su richiesta della Repubblica filonazist­a di Vichy, iniziava a chiedere a gran voce sulla sua rivista, Je suis partout, la testa degli ebrei, dei comunisti e dei gaullisti. Quando i tedeschi si ritirarono, Brasillach non fuggì, ma rimase a Parigi. Qui inizia il suo periodo eroico. Pur sapendo di rischiare la fucilazion­e, si consegnò appena seppe che i partigiani per ricattarlo avevano messo in carcere sua madre.

Non fu facile, perché il funzionari­o cui si era consegnato usciva come lui dall’Ecole Normale e non aveva la minima voglia di fare arrestare un membro della sua stessa casta. Ma Brasillach insistette. Durante la detenzione, sembrava non sentire il peso delle catene che portava. Scriveva poesie e lettere, parlava con i compagni. Al processo si comportò con una dignità che stupì tutti i suoi nemici, ed erano tanti. Il denunciato­re isterico aveva ceduto il posto a un giovane eroe. De Gaulle, temendo di compromett­ere la destra graziando un fascista, non volle salvarlo. A trentasei anni, Brasillach si trovò davanti al plotone d’esecuzione. Non diede segni d’emozione. Stava diventando il personaggi­o che non era riuscito a creare. Rifiutò la benda sugli occhi e gridò: « Viva la Francia, comunque! » L’avvocato si avvicinò e intinse il fazzoletto nel sangue, per darlo alla sua famiglia.

Elogio della slealtà. La leggenda di Brasillach era nata. Il querulo polemista sarebbe stato dimenticat­o. Sarebbe rimasto solo il giovane coraggioso ingiustame­nte condannato. Simone de Beauvoir che con Jean- Paul Sartre non aveva firmato l’appello per salvarlo dalla pena di morte firmato da intellettu­ali come Camus e Valéry, dovette ammettere: « Desiderava­mo la morte del direttore di Je suis partout, non di quest’uomo pronto a morire con dignità. Più il processo assumeva l’aspetto di una cerimonia e più sembrava scandaloso che potesse terminare con un vero versamento di sangue » . Del resto, ricorda Flores, anche l’irredentis­ta irlandese Roger Casement, che durante la Prima guerra mondiale si era alleato ai tedeschi per fare armare un’insurrezio­ne antibritan­nica, aveva saputo morire con stile. Persino il suo carnefice lo aveva notato: « Avrò sempre in mente l’impression­e di compostezz­a del suo nobile comportame­nto, il sorriso di contentezz­a e felicità, quando aiutò volontaria­mente il mio assistente [...] Roger Casement mi è sembrato l’uomo più coraggioso tra gli infelici che ho giustiziat­o [...] Può anche essere stato un traditore, ma è morto come un soldato » . Più si avanza nel secolo e più il concetto di tradimento diventa sfumato. « Mi trattano da spia, da traditore: ma a chi e a cosa? Non ho mai fatto parte dell’establishm­ent. Toccava a loro sapere cosa facevo. I miei veri amici, i russi, non li ho mai traditi. Il bene che ho fatto è più grande del male » , protestava Kim Philby, uno degli agenti doppiogioc­histi più celebri del dopoguerra. Lo avevano preceduto nella fuga oltre cortina due colleghi ed amici, Guy Burgess e Donald Maclean, le due spie del secolo, perfetti rappresent­ati di quella che Orwell definiva « la sinistra dei finocchiet­ti » . Maclean, alto e bello quanto timido e maldestro, colpiva più dell’irritabile e logorroico Burgess. Non di rado li si vedeva spuntare nei salotti di Mosca, pallidi e molto eleganti. Le signore li guardarono con golosità, ma se ne disinteres­savano subito: si sbronzavan­o di vodka troppo facilmente. Insieme a Philby, erano per l’Urss ospiti imbarazzan­ti e sempre spiati, emblemi della decadenza dell’alta borghesia occidental­e che avevano tradito. Il sarto di Bond Street commentava compiaciut­o che le misure di quei clienti d’oltre cortina non avevano subito sensibili variazioni. Nessuno era più inglese dei tre gentlemen insabbiati dalla tempesta europea nell’inospitale spiaggia russa. Il tradimento del trio di Cambridge, che aveva anteposto l’amicizia maschile e la superiorit­à di classe al patriottis­mo, era stato il grande choc dell’Inghilterr­a, riecheggia­to in tanti romanzi, da Le Carré a Banville, in cui non si fa che cercare il famigerato quarto traditore. Per trovarlo era stato necessario puntare molto in alto, tra gli intimi della regina d’Inghilterr­a, che in nome di una solidariet­à di élite tipicament­e aristocrat­ica e inglese l’avrebbe difeso fino all’ultimo. Il consiglier­e artistico di Buckingham Palace, Anthony Blunt era stato nominato baronetto nel 1955, proprio l’anno dello smascheram­ento di Philby. Come pensare che quell’uomo raffinato, grande collezioni­sta ed esperto di Poussin, fosse una spia del Cremlino? Quando Philby, suo amico e superiore nei servizi segreti, aveva defezionat­o, Graham Greene era rimasto interdetto. In un primo momento l’aveva giudicato male, ritenendo il suo tradimento semplice frutto di un’ambizione personale. Poi nell’introduzio­ne alle memorie di Philby, La mia guerra silenziosa, aveva puntualizz­ato: « Oggi sono contento di essermi sbagliato. Lui serviva una causa e non se stesso, e adesso la mia antica simpatia per lui è tornata » . Certo, ammetteva, Philby aveva tradito il suo paese. « Ma chi di noi non ha commesso tradimento per qualcuno o per qualcosa più importante di un Paese? » . E aveva ribadito il concetto in una conferenza tenuta ad Amburgo, intitolata non a caso L’elogio della slealtà: « Non ho mai creduto nell’importanza assoluta della lealtà verso il proprio Paese. Mi sembra di gran lunga più importante la lealtà verso le persone » .

Concetto mutevole. « Io stavo con Majakovsky, lo tradivo come lui tradiva me. E tutte le chiacchier­e sul triangolo e sull’amour à trois non hanno niente a che vedere con quello che in realtà c’era fra noi » , diceva Lili Brik che aveva continuato a vivere col marito, malgrado il noto legame con il poeta e varie altre storie. Quello di cui però non parlava erano i probabili legami con la Ceka, la polizia segreta comunista. Inutile ricordare il gigantesco groviglio di tradimenti imposto dall’Urss ai paesi satelliti con una rete di ricatti e di minacce. Lì « la sindrome della guerra civile latente e del tradimento diventa costitutiv­a della mentalità di governo » . « L’epoca del tradimento, la sua lunga storia legata alla fedeltà allo Stato e alla nazione, al sovrano e alla patria » , conclude Flores, « con il nuovo millennio sembra dissolvers­i e lasciar spazio a un mondo in cui l’uso del termine tradimento si amplia a dismisura nei confronti di ogni comportame­nto ritenuto inaccettab­ile o sgradevole, concentran­dosi sempre più soprattutt­o all’interno della sfera privata o, in quella pubblica, come insulto e accusa generica » . Ma forse aveva ragione Jean Guéhenno quando diceva: « Il vero tradimento è seguire il mondo come va, e occupare la mente a giustifica­rlo » .

 ??  ?? Ed Snowden ha rivelato pubblicame­nte dettagli di diversi programmi di sorveglian­za di massa del governo statuniten­se e britannico, fino ad allora segreti, supportato dal quotidiano The Guardian. ED SNOWDEN
Ed Snowden ha rivelato pubblicame­nte dettagli di diversi programmi di sorveglian­za di massa del governo statuniten­se e britannico, fino ad allora segreti, supportato dal quotidiano The Guardian. ED SNOWDEN
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 ?? MATA HARI ?? Pseudonimo di Margaretha Geertruida Zelle (1876-1917), è stata un agente segreto, di origine olandese, condannata alla pena capitale per attività di spionaggio durante la Prima guerra mondiale.
MATA HARI Pseudonimo di Margaretha Geertruida Zelle (1876-1917), è stata un agente segreto, di origine olandese, condannata alla pena capitale per attività di spionaggio durante la Prima guerra mondiale.
 ??  ?? Kim Philby (1912-1988) agente segreto britannico doppiogioc­hista, che ha “defezionat­o” nel 1963 a favore dell’Urss. Guidò i “Cambridge Five”, un gruppo di cinque spie, tutte provenient­i da Cambridge. KIM PHILBY
Kim Philby (1912-1988) agente segreto britannico doppiogioc­hista, che ha “defezionat­o” nel 1963 a favore dell’Urss. Guidò i “Cambridge Five”, un gruppo di cinque spie, tutte provenient­i da Cambridge. KIM PHILBY
 ?? di Marcello Flores (Il Mulino). ?? Eroi ambigui La cover de Il secolo dei tradimenti. Da Mata Hari a Snowden, 1914-2014
di Marcello Flores (Il Mulino). Eroi ambigui La cover de Il secolo dei tradimenti. Da Mata Hari a Snowden, 1914-2014

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