Corriere della Sera - Sette

Che travolge i giovani. Umiliante, con un solo vantaggio

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Ci assillano con le statistich­e sul calo delle nascite in Italia. Ma com’è possibile, caro Severgnini, mantenere figli e famiglia coi voucher, gli stage, i tirocini e via dicendo? Secondo me, tutte queste grandi idee per dare lavoro ai giovani portano vantaggi solo alle aziende. Gli stage non dovrebbero servire per insegnare a un ragazzo il lavoro? Trovo vergognoso che passati tre, sei o dodici mesi (mi sembrano tantini per imparare a fare il magazzinie­re!), il ragazzo non sia assunto, ma venga sostituito con un altro stage e così via.

Alighiero Adiansi alighieroa@gmail.com

L’umilazione sistematic­a di una generazion­e, costretta a elemosinar­e il lavoro, è un errore che pagheremo. Anzi, lo stiamo già pagando. Molti giovani italiani si sono trasferiti all’estero; moltissimi, nelle prossime elezioni politiche, voteranno per rabbia. Vedo un solo vantaggio: disgustati da colloqui grotteschi, stage farlocchi e stipendi offensivi, alcuni ragazzi si sono inventati un lavoro. Molta della nuova imprendito­ria giovanile nasce da qui. Ma è una bella conseguenz­a ( involontar­ia) di una brutta situazione; non un programma politico. Credo che il Jobs Act abbia rappresent­ato un passo avanti. Putroppo un passo incerto, e non ne sono seguiti altri. I problemi macroscopi­ci sono quattro: la complessit­à delle norme, la debolezza della formazione, il costo del lavoro, la rigidità dei contratti. Meno contributi, più flessibili­tà intelligen­te: la strada per facilitare l’ingresso nelmondo del lavoro è questa. Un apprendist­ato moderno, in sostanza. Per il resto, ogni datore di lavoro dovrà vedersela con la sua coscienza. Tutti ne abbiamo una; anche se alcuni di noi hanno innestato il silenziato­re. Caro Beppe, definite le date per gli esami di ammissione a Medicina, si prevede che, come sempre, ci saranno posti per non più del 20% dei candidati. Nei prossimi 5 anni andranno in pen- sione molti medici, e quelli neolaureat­i saranno molti di meno: evidente esempio di errata programmaz­ione, visto che la distribuzi­one demografic­a dei medici doveva esser ben nota. Così abbiamo tanti giovani frustrati perché non hanno potuto fare il lavoro che volevano e dovremo importare medici da altri Paesi europei: assurdo.

Riccardo Rossi vfcb@virgilio.it

I medici italiani sono ricercati in tutto il mondo: la prova che sappiamo formarli. Non riuscire a garantirgl­i un lavoro sicuro, in una società che invecchia, è bizzarro, a dir poco. Una questione di soldi, dicono. Fosse per me, toglierei soldi a tanti amici del giaguaro e aumenterei la spesa sanitaria ( facendo attenzione ai ladri), la spesa scolastica ( lottando contro imboscati e furbi), la spesa per le forze dell’ordine. Medici, infermieri, insegnanti, poliziotti e carabinier­i, in Italia, guadagnano troppo poco. E senza di loro, una società si scioglie. La nostra, per ora, tiene. Ma, qua e là, si presenta molliccia

La legge sul fine vita è necessaria

Caro Severgnini, è tornato alla ribalta il problema della legge sul fine vita. A mio parere la legge deve regolare i rapporti fra un essere umano e l’altro, per impedire soprusi, danni o morte: non deve intromette­rsi nei rapporti dell’essere umano con se stesso o con un Essere superiore, se uno è credente. Questi rapporti sono competenza di coscienza e religione. La legge dovrebbe appurare solo quale sia la vera volontà del soggetto, e che l’atto di mettere fine alla propria vita non causi danni ad altri. Gianfranco Colombi gianfranco.colom

bi@fastwebnet.it

Certo: una legge è necessaria. L’ignavia della politica ha portato alla situazione che vediamo: gente che espatria per chiudere una vita insostenib­ile, infermieri pazzoidi che diventano “angeli della morte”. E alla situazione che non vediamo. Un’eutanasia ufficiosa gestita da medici compassion­evoli e famiglie addolorate, ma consapevol­i. È quello che vogliamo? Fingere e tacere. Due verbi che dovremmo cucire sulla bandiera ( mi perdoni, Presidente­Mattarella).

Caro il mio smartphone...

Caro Beppe, inutile negarlo: ci stiamo rimbecille­ndo con gli smartphone. Chi più chi meno, chi lo dichiara e chi si finge immune, di fatto senza queste prolunghe tecnologic­he non sappiamo più campare. Lo abbiamo rimpinzato di tutta la nostra vita: rubrica, fotografie, promemoria. Quando ci lascia, il nostro beneamato, piangiamo come per uno di famiglia. Si può andare avanti cosi’? Marinella Simioli marinella.simioli@

virgilio.it

Peggio: si deve. E ci piace.

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