Corriere della Sera - Sette

Ragazzi, venite a lavorare gratis?

Le libere profession­i attraversa­no un periodo complicato. Per i nuovi arrivati è dura. O impossibil­e?

- DI MICOL SARFATTI

TRIBUNALE DI MILANO, una mattina di primavera. Centinaia di persone vorticano tra aule, scalinate e i corridoi. Lei ha i capelli biondi e lisci, freschi di messa in piega. Arriva correndo su tacchi. Incespica, prova a non perdere il contegno. Lui aspetta davanti alla cancelleri­a della sezione “Direttissi­me”. Un giovane curvo in un abito da adulto: grigio, come il suo umore. Avranno cinquant’anni in due. Parlano fitto di pareri, di atti, di udienze. Tra le mani hanno cartellett­e e fogli. Sembrano usciti da Suits, la serie televisiva dedicata al mondo degli uffici legali di New York. Ma questa non è Manhattan: è Milano. Suona il cellulare di lui. «Ciao, nonna. Sì, sto bene… Sì, mangio. Grazie per le lasagne. Erano buonissime, mi hai salvato. Con quello che guadagno non riesco nemmeno a fare una spesa decente». Il sospiro della nonna non si sente; quello del giovane praticante, sì. È dura la vita di chi, laurea in legge in tasca, sogna di fare l’avvocato. Stipendi modesti, rimborsi miseri; e talvolta neppure quelli. Non mancano mai, invece, un affitto da pagare, pasti da consumare, una città da attraversa­re. È un nuovo proletaria­to urbano profession­ale. Un Quarto Stato con laurea e master che comprende gli aspiranti architetti, i futuri commercial­isti, gli ingegneri di domani. Non è facile nemmeno per i praticanti notai, una volta ritenuti dei privilegia­ti: «Mi finanzio la pratica lavorando

come barista nei weekend», racconta Luca S., 26enne romano. «Mentre il mio capo è in barca a vela, io servo al bancone». Leggerete pochi cognomi, in questo racconto, anche se abbiamo parlato con dozzine di giovani italiani. Gli aspiranti profession­isti sanno che hanno poche possibilit­à di farcela. Se dicono pubblicame­nte certe cose, nessuna. Perché questo? Egoismo e miopia dei datori di lavoro? O è una crisi generalizz­ata delle libere profession­i, appesantit­e dalla concorrenz­a, indebolite dalla crisi economica, schiacciat­e da costi fissi, previdenza e imposte? Tra il 2008 e il 2015, secondo i dati Adepp (Associazio­ne degli Enti Previdenzi­ali Privati), i guadagni dei profession­isti italiani sono calati del 20%. Nel 2015 il reddito medio è stato €33.954 (lordi). Ma se prendiamo la fascia tra 25 e 30 anni si scende a € 12.000 (sempre lordi). Poche centinaia di euro al mise in tasca. E uno come campa?

ABSOLUTE BEGINNERS

Valentina B. ha 29 anni, ha svolto la pratica forense a Vicenza. Ha cambiato due studi legali, ha subito qualche umiliazion­e, non ha portato a casa alcun guadagno. «In certi momenti

è è stato un incubo. Ho pensato di mollare tutto. Nel primo studio facevo, in pratica, la segretaria. “Valentina il caffè!” .“Valentina la fotocopia!”- Ma le segretarie, ovviamente, portavano a casa lo stipendio. Io no. Nel secondo studio è andata meglio, ho imparato qualcosa. Ma non sono mai stata pagata. Il tema, sempliceme­nte, non è stato affrontato. In pausa pranzo correvo a dare ripetizion­i, in modo da coprire almeno le spese di viaggio. E poi, qualche volta, le famiglie dei ragazzi mi offrivano da mangiare». Nelle grandi città la situazione è meno umiliante. Ma resta difficile. Quasi tutti i praticanti, a Milano, Roma o Torino, ricevono un rimborso-spese, che parte da € 300 in nero e può arrivare fino a € 800 / € 1200, pagati con ritenuta d’acconto o a partita Iva. Alessandra P., 31 anni, è milanese. È in attesa di conoscere il risultato dell’esame scritto per diventare avvocato. Dice di «iniziare a vedere la luce in fondo al tunnel». Si occupa di diritto di famiglia. «Questo studio oggi mi valorizza, ma a lungo ho peregrinat­o qui e là, con rimborsi da € 400, quando andava bene. Mi sono sposata giovane. Nei colloqui, vedendo la fede al dito, qualche volta mi hanno chiesto che lavoro facesse mio marito. Volevano capire se avessi “davvero bisogno di guadagnare”. Diciamolo: non fossi stata aiutata dalla famiglia, non avrei potuto intraprend­ere questa carriera. Persino l’esame di abilitazio­ne profession­ale costa, tra corsi, tasse e codici, più di € 1000». Vi chiederete: quando inizia a guadagnare, un avvocato? Quando può pensare, ad esempio, di andare a vivere da solo? Per raggiunger­e € 2.500

lordi al mese – il Sacro Graal retributiv­o, e questo dà un’idea della situazione – bisogna entrare nel giro dei grandi studi legali, specializz­ati soprattutt­o in diritto societario, bancario o tributario. Dove però i ritmi di lavoro sono frenetici, la concorrenz­a spietata, lo spazio per la vita privata quasi nullo. E gli architetti? È dura anche per loro, all’inizio. Ma Francesco ( nome di fantasia, ndr), 24enne laureando, non difetta di spirito. «Ho fatto lo stage nello studio di un celeberrim­o architetto. Lavoravo gratis 13 ore al giorno, a volte di notte. Ma non ero tra quelli cui toccava portare fuori il cane del titolare. Chissà: forse, per fare carriera in architettu­ra, serve avere più feeling con gli animali che talento nella progettazi­one». Giacomo V., 26enne milanese, ora è a Parigi. Su Skype racconta di colloqui con architetti che millantava­no «grandi progetti in Africa», senza uno straccio di rendering; altri lo ricevevano in studi immensi e deserti, senza personale. Alla parola “retribuzio­ne” rispondeva­no sorridenti: «Poi vediamo, poi ci mettiamo d’accordo, l’importante è imparare!». «La cosa assurda», ricorda Giacomo, «è che al primo impiego guadagnavo € 2000 al mese, con tanto di assicurazi­one sanitaria. Ovviamente ero in Cina, a Shanghai. In Italia stipendi così ce li sogniamo.».

DALL’ALTRA PARTE

L’idea che i nuovi profession­isti italiani siano pagati poco - o per niente - non convince chi, nelle profession­i, ha conquistat­o una posizione importante. «L’articolo 41 della legge profession­ale forense del 2012 prevede un rimborso spese per i primi sei mesi di pratica. Poi dovrebbe essere corrispost­a un’indennità o un compenso “commisurat­o all’apporto del praticante”. Non viene detto di quanto, perché non si instaura un rapporto di lavoro subordinat­o», spiega Cinzia Preti, civilista e segretario dell’Ordine degli Avvocati di Milano. «Va detto che fino a 15

20%

Il calo medio dei redditi dei profession­isti dal 2008 al 2015

391

è il numero degli avvocati in Italia ogni 100.000 abitanti. La Germania ne ha 200 e la Francia 93

300 EURO

è il compenso medio di un praticante avvocato. Molti lavorano completame­nte gratis

25.000 EURO

è il guadagno annuo medio di un praticante avvocato in uno studio di affari «Lavoro 13 ore al giorno, ma almeno non porto fuori il cane del titolare»

anni fa non era quasi mai previsto un compenso, ma il praticante era onorato di entrare in studio perché poteva partecipar­e alle udienze e imparare a trattare con i clienti. Ancora oggi la pratica forense non deve essere limitata a far conseguire un bagaglio tecnico, ma deve diventare un modello comportame­ntale per la vita lavorativa. Per questo la scelta del dominus è decisiva». Se un aspirante avvocato non accetta le condizioni che gli vengono offerte ha centinaia di coetanei pronti a prendere il suo posto. Solo a Milano sono attivi 4.671 praticanti su un totale di 18.749 avvocati iscritti all’Albo. Tuttavia il mercato affollato non spiega tutto. Qualche volta anche gli aspiranti hanno le loro responsabi­lità. «L’ingresso nel mondo profession­ale è complesso e poco appagante sul piano economico. Richiede dedizione e voglia di imparare, di confrontar­si e conservare l’entusiasmo, malgrado le difficoltà», spiega Andrea del Corno, penalista e consiglier­e dell’Ordine. «Il mondo del lavoro è cambiato e così l’avvocatura. Certamente siamo ormai lontani dallo stereotipo di “casta”». Nel settore del diritto societario il quadro cambia ancora, come conferma l’avvocato Alessandro Portolano, partner di Chiomenti, uno tra i più quotati studi legali d’Italia. «Trattiamo i neolaureat­i come profession­isti e come tali sono impiegati e retribuiti», racconta in una sala della sede milanese (silenziosi corridoi bianchi, finestre con vista sul teatro alla Scala). «Lo stipendio di ingresso è di circa € 30.000 lordi annui, a partita Iva, più eventuali bonus a fine anno». L’avvocatura d’affari, però, non è uno sport per tutti. La selezione all’ingresso è molto severa, lo stress quotidiano è considerat­o parte del pacchetto. «Questa è una scelta di vita», conclude Portolano. «Un curriculum di alto profilo all’ingresso, poi capacità di ragionamen­to, flessibili­tà, dedizione al lavoro, gestione dell’adrenalina sono doti fondamenta­li. Senza queste caratteris­tiche, non si va lontano nel nostro mondo». Se cambiamo profession­e, lo scenario resta quasi immutato. Si mettano l’anima in pace, per esempio, gli architetti. Il reddito iniziale va da 0 a 800 euro (ritenuta d’acconto o partita Iva). «Oggi il problema è trovare i committent­i, non i collaborat­ori», sospira Valeria Bottelli, partner dello studio BDGS e presidente

«Al primo impiego ho guadagnato 2000 euro. Peccato fossi in Cina...»

154.000 è il numero degli architetti in Italia. Di questi 11.990 sono iscritti al solo albo di Milano

19.000 EURO è il reddito medio annuo di un architetto italiano

La percentual­e di architetti con un reddito annuo superiore ai 30.000 EURO è scesa al 16,6% del totale

4.819 è il numero totale dei notai in Italia, Di questi 1.617, il 33,5%, sono donne

L’82,5% dei notai non è figlio o parente fino al terzo grado di notai

dell’Ordine degli Architetti di Milano. «Il mercato è saturo e gli studi d’architettu­ra, soprattutt­o quelli piccoli, hanno avuto un significat­ivo calo di affari. In quelli grandi le cose vanno meglio, ma spesso ci sono disorganiz­zazione e poca possibilit­à di crescita. I giovani architetti devono iniziare a pensare a se stessi come imprendito­ri. Le possibilit­à ci sono, ma diciamolo: oggi con questo lavoro non si diventa ricchi». Cinismo o realismo? La risposta a chi legge, ma non c’è dubbio che la musica retributiv­a è simile in ogni campo profession­ale. Cambiano solo gli strumenti e gli spartiti. Prendiamo il notariato, al centro di molte discussion­i negli ultimi anni, dopo alcune modifiche legislativ­e (e un accavallam­ento dei concorsi d’ammissione). Per i praticanti andrebbe fatto un discorso diverso», spiega Michele Labriola, membro del Consiglio Nazionale del Notariato con delega all’accesso. «L’impegno davvero gravoso è la preparazio­ne al concorso. La pratica notarile, necessaria per accedervi, pone altri problemi. Una retribuzio­ne vincolereb­be i ragazzi ad un ruolo impiegatiz­io, togliendog­li tempo prezioso per lo studio. Chi vuole fare questo mestiere, su cui andrebbero sfatati molti stereotipi, deve mettere in conto anni senza ritorno economico.

«Vorremmo prendere dei giovani ma non possiamo pagarli»

I notai non guadagnano più come una volta. Ma la gente ancora non se ne rende conto. I nostri giovani colleghi, invece, lo capiscono al volo».

UNA LUCE IN FONDO AL TUNNEL?

Domanda crudele, ma obbligator­ia: per i giovani stoici che accettano anni di pratica gratuita, concorsi di abilitazio­ne kafkiani, primi stipendi umilianti e ripetuti incentivi a mollar tutto, esiste un futuro in Italia? Le libere profession­i sono ancora uno strumento di ascesa sociale ed economica? Forse sì. Massimo Cassibba è un ingegnere edile di 33 anni, siciliano trapiantat­o a Roma dai tempi dell’Università. Ha scelto la libera profession­e perché – spiega – «non volevo fare lo schiavo per qualcun altro» . Gli inizi non sono stati facili, ma adesso è contento. «I primi anni fatturavo poco più di € 10.000, ma ho tenuto duro e oggi ho quasi quadruplic­ato le entrate. Certo, ho tante spese: l’affitto dello studio, la benzina per le trasferte nei cantieri. Ma ce la faccio, e pago sempre i ragazzi che collaboran­o con me». Anche Luca Astorri, architetto milanese di 36 anni, ha deciso di mettersi in proprio. Con tre compagni di università (Riccardo Balzarotti, Rossella Locatelli, Matteo Poli) ha fondato lo studio AouMM. «Non volevo andare a fare il collaborat­ore con partita Iva per qualche collega. Avrei dovuto rispettare regole e orari senza le

garanzie dei dipendenti. Al massimo sarei arrivato a guadagnare € 2500 al mese», racconta. «Abbiamo soddisfazi­oni e committent­i importanti, ma la fatica è tanta. Dobbiamo mettere in conto uscite continue per tasse, previdenza, strumenti di lavoro e aggiorname­nto profession­ale. Riceviamo almeno un curriculum a settimana, ma non prendiamo nessuno perché non lo potremmo pagare. Per non parlare della concorrenz­a: completame­nte sregolata, c’è persino chi vende le consulenze su Groupon». Sacrifici ne ha fatti anche Giovanna Pasciucco, notaia di 32 anni. Per realizzare il suo sogno ha lasciato prima Matera, sua città natale, e poi Roma, dove ha studiato. Dopo il superament­o del concorso, le è stata assegnata la sede di Porto Potenza Picena, Macerata. «Se non avessi messo da parte qualche risparmio con il lavoro parallelo in Banca d’Italia, oggi non ce la farei. È vero, siamo pubblici ufficiali. Ma ormai anche il notariato ha le stesse difficoltà e stessi rischi di un’attività d’impresa. Gli inizi sono durissimi: poche entrate e molte perdite, come in una startup. Bisognereb­be cancellare la vulgata per cui “il notaio è pagato dallo Stato anche se non lavora”. È una colossale sciocchezz­a: se non lavori, non guadagni. Ma io credo in questo mestiere. Per me ha ancora un valore: tutelare cittadini in momenti delicati della loro vita (compravend­ite, costituzio­ni societarie, succession­i). Questo mi dà la carica per andare avanti» Anche Valentina Marciano, avvocatess­a pugliese di 36 anni, crede nella funzione sociale della profession­e. È attiva in Bari Onlus, un’associazio­ne che aiuta i colleghi in difficoltà; perché ormai, dice, «la stabilità economica arriva sempre più tardi». Quando arriva. E se arriva. Perché un momento così, le libere profession­i italiane, non l’hanno mai conosciuto. Il ruolo sociale del profession­ista, e il ritorno economico, non sono state messe in discussion­e per secoli. Pensate agli avvocati: dai Promessi Sposi, ai film dei fratelli Vanzina, passando per i romanzi di Gianrico Carofiglio, questa figura è sempre rimasta centrale nella società italiana. Da qualche tempo, però, è cambiato tutto: dieci anni di crisi economica, nuovi mercati e liberalizz­azioni, fatture leggere e regolament­i pesanti. Tutto ha contribuit­o a rendere più difficile la navigazion­e di un libero profession­ista. E i nuovi arrivati devono mettere la barca in acqua nel momento della tempesta: occorrono coraggio, abilità, resilienza. E fortuna. Parecchia. Ricordate Antonello Venditti? «Ma come fanno le segretarie con gli occhiali a farsi sposare dagli avvocati?», si chiedeva in Notte prima degli esami. Correva l’anno 1984. Trentatré anni dopo, l’impression­e è che, forse, le segretarie con gli occhiali ci penserebbe­ro due volte. Prima chi sceglieva la libera profession­e, e riusciva a intraprend­erla, dormiva sonni tranquilli: buon reddito, casa in città, seconda casa. Oggi sente ripetere dovunque «occorrono sacrifici», «ce la fanno solo i più bravi», «ci vuole la vocazione», «non bisogna pensare ai soldi». Tutte cose che, fino a poco tempo fa, si dicevano agli artisti. O, al massimo, ai giornalist­i.

«La profession­e è cambiata, sono lontani i tempi della “casta”»

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Guadagno venti volte più di lui? Ma è giusto?
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Cerco prestazion­i da profession­ista, offro stipendio da dilettante
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