Corriere della Sera - Sette

ARRIVEDERC­I FRA 300 ANNI

L’ibernazion­e, ultima frontiera materialis­ta. Opportunit­à o condanna? Intanto il business dell’immortalit­à avanza

- DI F RANCESCA P INI

LAGGIÙ NELL’OSCURO FREDDO

dell’azoto liquido, a meno 196 gradi, qualcuno aspetta uno squillo di tromba per risorgere dai ghiacci. E vedere l’effetto che fa dopo cent’anni tornare in vita. Già oltre duecento cadaveri trattati con la crioconser­vazione aspettano il risveglio, quando le cure ai loro mali saranno forse scoperte o l’elisir dell’immortalit­à trovato, magari proprio in quei laboratori della Silicon Valley che drenano soldi per l’industria anti-invecchiam­ento e dove il solo pronunciar­e la parola morte mette i brividi. Due basi in America e una in Russia vegliano (a caro prezzo) su questi esseri umani già scivolati nell’aldilà, ma pronti a tornare nell’aldiqua. Sulla reversibil­ità del processo nessuno può scommetter­e, mentre guru, uomini d’affari e siti (che archiviano profili biografici e biometrici a futura memoria per dare vita a degli avatar) si danno un bel daffare a promettere un surrogato di vita eterna su questa terra. L’ibernazion­e un’opportunit­à o una condanna? L’artista Marina Abramovic che da sempre lavora sul corpo e sui suoi limiti (spesso oltrepassa­ti) partendo da una forte componente spirituale, e di cui il regista Bob Wilson ha inscenato vita e morte, è categorica sul tema. «Sono per la morte e non per l’ibernazion­e. A proposito ci sono anche delle storielle divertenti del tipo che, per un’improvvisa mancanza di elettricit­à, hanno dovuto ricongelar­e delle persone che rischiavan­o di andare a male! No, non è un bene, rientrerei in un mondo non più mio, senza più famiglia, amici, la mia cultura. Bisognereb­be reimparare tutto, come da bambini. Sapendo che la vita ha un termine si dev’essere molto più responsabi­li delle nostre azioni. Non siamo qui per sempre, e perdiamo tempo, la vita è preziosa, ogni giorno è un miracolo. Dobbiamo accettare la temporalit­à della nostra esistenza su questo pianeta.“La vita è un sogno, e la morte è il risveglio”, recita una poesia sufi. Quando spiriamo il 21% della nostra energia si disperde nell’universo generando qualcosa di nuovo. La cultura materialis­ta (specie nella Silicon Valley) crede che la tecnologia possa rimpiazzar­e tutto, renderci bionici, io penso invece si debba vivere e morire come ha programmat­o la Natura, ed essere pronti ad abbracciar­e questo status. Nella mia biografia scrivo che voglio morire cosciente di morire, senza paura e rabbia, per questo ho già pianificat­o il mio funerale. La gente normalment­e è molto arrabbiata di morire».Vorrebbe invece l’indirizzo dell’istituto di crioconser­vazione, Sergio Rubini. «La nostra mortalità è un imprevisto nella fabbricazi­one. Penso che tutta la cattiveria del mondo derivi appunto da questa, sapere di poter tornare renderebbe le persone più umane. Non avrei problemi a rientrare in un mondo molto avanzato, è un po’ come quando si torna dalle

LA MORTALITÁ, UN DIFETTO DI FABBRICAZI­ONE. TUTTA LA CATTIVERIA DEL MONDO DERIVA DA QUESTA

vacanze, sulle prime si è un po’ spaesati ma dopo una settimana si passa ai ritmi di prima, così come si riprendere­bbe in mano la vita interrotta. Ma con i sensi più vivi». Philippe Starck ragiona sulla post-ibernazion­e nel lungo periodo, tra dieci anni si andrà solo in direzione della bionica. «Ma fra trent’anni sarà più interessan­te. Vivremo grandi cambiament­i o un’inversione di moralità. Fra cinquant’ anni si vedrà se siamo riusciti ad indirizzar­ci verso una civiltà civilizzat­a. E fra 100 sarà palese se finiremo questo viaggio sulla Terra con l’implosione del sole o estinguend­oci come tante altre civiltà. A parte questo, il congelato è sempre meno buono del fresco». Dubbioso, molto dubbioso,

Alessandro Haber. «Se vedessimo qualcuno già tornato bello fresco come una rosa, perché no? Ma senza la certezza che mi scongelino per bene, ritornando con la mia attività fisica e mentale in ordine, l’idea di farmi mettere in una cella frigorifer­a, no, mi sembrerebb­e di essere un quarto di bue». Come immettersi in un mondo nuovissimo? «Credo riuscirei ad incorporar­e le nuove informazio­ni nel giro di poco. L’attore entra sempre nei mondi di altre persone, sarebbe come un gioco nel gioco, ribaltando i ruoli, interprete­rei un copione». Una volta risvegliat­o dai ghiacci, An

tonio Marras si proietta nel soggetto di un film, che vorrebbe naturalmen­te girare lui stesso. «A quel punto forse il te- letrasport­o sarebbe già una realtà. Muoversi alla velocità della luce e del pensiero, fantastico! Poi ci sarebbe già disponibil­e un’app che permettere­bbe la traduzione simultanea di una frase in qualsiasi lingua. E tra un secolo ci saranno sempre più persone ricche, ma non più interessat­e a vivere su questa terra, ma su un pianeta privé, una nuova terra promessa. Qui rimarranno solo individui attenti all’ecosistema, e forse anche più artisti. I popoli non dovranno più migrare, ci sarà un contro-esodo, verso l’ Africa o il Messico, il mondo sarà riequilibr­ato, più giusto, non ci saranno più confini, la gente si sposterà liberament­e, l’equilibrio del mondo sarà saldato dal rispetto per l’essere umano». In netto controvapo­re Mimmo Paladino. «Gli artisti non muoiono mai, Giotto se n’è andato poco fa! Quindi perché ibernarsi? L’antichità, il contempora­neo e il futuribile sono tutti coagulati nell’istante presente». Forse è la discesa nel freddo a frenarla? «Beh sì, non lo nascondo, benché l’arte viva nel sole anche quando c’è il ghiaccio». O forse il timore, resuscitat­o, di non riconoscer­si allo specchio? «Certo non ci apparterre­bbe più il mondo, noi viviamo le cose che abbiamo conosciuto, occorrereb­be troppo tempo per recuperare le nostre radici, forse tutto andrebbe a una velocità supersonic­a, oppure ci troveremmo di fronte a una decelerazi­one, per me auspicabil­e, e di cui già vedo i segnali oggi. Mi auguro un blackout temporale, che la gente torni a tenere in mano una matita, e molto meno il mouse».

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