Mariangela, nessuno ci toglierà quello che abbiamo ballato
Renzo Arbore è tornato in televisione su Rai Storia con una trilogia dedicata all’attrice Mariangela Melato, la donna della sua vita. In questa intervista racconta il loro amore a cominciare dalla sera in cui Lucio Battisti fece da Cupido con una sua famo
«GUARDA LASSÙ! IL CORSARO NERO PIANGE!».
L’ultima frase del romanzo di Emilio Salgari (con l’eroe in lacrime per aver rinunciato alla sua amata) ferì a morte, quando erano ragazzi, quelli della generazione di mio padre. Qualcosa di simile è accaduto a chi ha visto la prima puntata di Mariangela!, la trilogia su Mariangela Melato in onda su Rai Storia (regia di Didi Gnocchi, prodotta da Fabrizio Corallo), dove Renzo Arbore piange (come il Corsaro Nero) e si intenerisce più volte ricordando la donna della sua vita. Per la mia generazione, Arbore non piange mai. Lui ci ha insegnato a sorridere (da Alto Gradimento a Indietro tutta). Ci ha insegnato a ridere (con i comici più irresistibili: Bracardi, Marenco, Benigni). Ci ha insegnato il beat e ogni altra musica (compresa la grande canzone napoletana di cui è ambasciatore nel mondo).Avendo visto in anteprima Mariangela! (prossime puntate il 17 e il 24 maggio), sono andato a trovare Arbore, come si fa con un vecchio amico (anche se non lo conoscevo), per un’intervista sull’amore.
Come vi siete conosciuti con Mariangela?
«L’ho vista la prima volta al Sistina, aveva vinto la Maschera d’argento».
All’epoca lei era un playboy?
«No. Ero retour da un amore con una ragazza molto bella. Credo che anche Mariangela fosse retour da un amore, però non ho mai saputo chi fosse. Ma non ero un playboy. Certo, nei periodi di scapolaggio mi davo da fare, questo non vuol dire che ero tecnicamente un playboy». Ma Lucio Battisti non scrisse Innocenti evasioni (“Che sensazione di leggera follia sta colorando l’anima mia”), storia di un uomo che si prepara a un’avventura galante (ha messo lo champagne in ghiaccio, ha acceso le candele) ispirandosi proprio a lei, Arbore? «Aaah, ma quella era una storia carina con una cantante. No, guardi, non ero un Califano, lui sì che era un playboy vero». Il Califfo, appunto, non era suo vicino di casa, non abitavate sopra e sotto nello stesso condominio (con-
dominio che contava, tra gli altri inquilini, Laura Antonelli, Edwige Fenech, Mita Medici e Mal e i Primitives?
«È così, ma il Califfo era playboy sul serio. Abbiamo avuto anche una donna in comune. Certo io ero uno che andavo al Piper, che avevo avuto una storia con Gabriella Ferri. Però lei mi fa parlare di me e devo ricordarle che la ragione sociale (tanto per rispolverare il linguaggio dei miei ormai antichi studi di giurisprudenza), di questa intervista non sono io. Parliamo di Mariangela?».
Allora, vi siete conosciuti e poi...
«Mariangela venne a casa mia con sua sorella. A un certo punto mettemmo un disco e lei si mise a ballare. Rimasi a bocca aperta. Ballava in un modo! Come ballava Mariangela merita un capitolo a parte. Come lei ballavano solo alcune nere di New Orleans. Nessuno in Italia danzava così, nemmeno le danzatrici professioniste. Aveva lo swing dentro».
Questo la colpì?
«Deponeva molto a suo favore. La sa quell’espressione argentina:“Nadie te quita lo bailado”? Nessuno ti può levare quello che hai ballato. Ti possono levare il dinero, ma mai il bailado. In quella frase c’è tutta la mia filosofia di vita che diventò anche la filosofia di Mariangela».
È un pensiero stupendo. Continui la prego.
«Passò qualche giorno e venne a casa mia Lucio Battisti per farmi sentire le sue ultime cose. Gli dico:“Lucio, sto andando con Mariangela Melato da Agostina Belli, l’attrice, che fa una festicciola, vuoi venire con noi?”. E Battisti:“Ma io non vado mai da nessuna parte, lo sai”. Io:“Dai, beviamo una cosa e quando ci scocciamo ce ne torniamo. Guarda, non portiamo nemmeno la chitarra così non ti chiedono di suonare”. Andiamo da Agostina e, a un certo punto, salta fuori una chitarra e Lucio, senza farsi pregare, la imbraccia e mi fa sentire la canzone che aveva appena scritto. Comincia a cantare: “Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi”. Allora presi la mano di Mariangela e gliela strinsi e lei strinse la mia e capimmo...».
Era come se fosse lei, e non Battisti, a cantare: “Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi”.
«Proprio così. Lucio parlava per me, diceva le parole che avrei voluto dire a Mariangela. Sembra una storia inventata, ma le do la mia parola d’onore, e non la do mai a nessuno, che è la verità. Per noi allora Lucio era semplicemente un amico e quello che successe ci sembrò una cosa normale. Col tempo, Mariangela e io ci siamo detti: “Ma ti rendi conto? È stato Lucio il nostro Cupido”. Chi se lo può permettere un principio di fidanzamento del genere?».
È vero che lei all’inizio diffidava di Mariangela perché era un’attrice?
«Avevo trent’anni e avevo i miei pregiudizi. Un’attrice è una persona che finge, pensavo, quella è la sua natura. Perciò mi chiedevo (e chiedevo ai miei amici che consultavo, facevo sondaggi):“Stai a vedere che fa finta di amarmi, di volermi bene?”. Poi capii che non era così. All’epoca non volevo accasarmi (spirito libero), però andavo da lei e ci passavo la notte, mi addormentavo clamorosamente in quella casa di Santa Maria dell’Anima, pieno di felicità.».
Com’era Mariangela?
«I suoi codici erano il rigore, l’onestà, l’assoluta mancanza di paraculaggine, cosa che oggi è quasi impossibile da immaginare perché nel mondo dello spettacolo sono tutti grandissimi paraculi. Non ho mai sentito dire a Mariangela: “Facciamo così così abbiamo successo”. Lei sceglieva film e spettacoli difficili per il loro valore artistico, non pensava al botteghino. Era l’attrice di Luca Ronconi».
Spettacoli ostici quelli di Ronconi. Lei li vedeva?
«Dicevo sempre a Mariangela:“Non ho capito, fammi capire”. Prima di andare in scena, lei mi diceva:“Guarda che poi ti interrogo”. E lo faceva e io rispondevo trasformando le più grandi tragedie scritte nella storia dell’umanità in fatterelli tipo: lui dice a lei che non vuole più starci insieme, lei si arrabbia e giura vendetta, lui ha un’altra... Mariangela mi ascoltava e rideva forsennatamente. Facevo il giullare, mi riservavo la parte dell’ignorante. Con Mariangela ridevamo dalla mattina alla sera. Ho avuto altre storie e ho ricordi di donne che parlano male di altre donne, che ti affliggono con i loro problemi, che recriminano su questioni di lavo-
ro. Mariangela non si è mai lamentata che qualcuno l’aveva impallata (il terrore degli attori che qualcuno gli rubi il primo piano). Non le ho mai sentito dire che un collega o un regista era uno stronzo. Mariangela era piena di grazia».
Non litigavate mai?
«Mai. Mai alzato la voce. Mai uno scazzo, mai una maldicenza anche nei periodi in cui siamo stati separati».
È vero che Mariangela ha cercato disperatamente di insegnare a lei, foggiano, il milanese?
«Mi ricordo quando recitava in
El nost Milan di Strehler. Era in milanese antico e Mariangela mi aveva affidato alla sua mamma, autentica sciura milanese, che doveva farmi la traduzione simultanea. Alla fine dello spettacolo, Mariangela mi chiese cosa ne pensavo.“Non ho capito quasi niente”, risposi.“Ma la mamma non te l’ha tradotto?”. “Sì, ma me l’ha tradotto dal milanese antico in milanese moderno”».
Finì qui il suo studio del milanese?
«Anni dopo dovevo suonare in piazza Duomo a Milano e avevo deciso di presentarmi al pubblico con una frase in puro milanese:“Mi sunt vegnü giò cun la pièna”. Ma non riuscivo a dirla bene, mi imbrogliavo, il mio sistema fonetico andava in tilt. Così chiesi aiuto a Mariangela. Lei mi diceva la frase e io la ripetevo. Niente da fare, mi ingarbugliavo sempre più. Allora ci fu un consulto telefonico con Enzo Jannacci. Chi meglio di lui, emblema della milanesità ma di origini pugliesi, che tra l’altro cantava il verso “Vegni giò cunt la pièna” nella canzone Ohè sun chì? Mariangela spiegò a Jannacci il problema:“Enzo, questo stupido non riesce a dire:‘Mi sunt vegnü giò cun la pièna’, glielo puoi insegnare tu?”. Ed Enzo:“Ma, Renzo, che ci vuole? Ascolta:‘Mi sunt vegnü giò cun la pièna’. Hai sentito? È facilissimo”. Ma non ci fu modo. Non riuscivo a dirlo e quando, prima del concerto, lo dissi in piazza Duomo, lo feci malissimo nonostante avessi avuto come maestri due autorità indiscusse del milanese quali Mariangela ed Enzo».
E lei insegnò un po’ di foggiano a Mariangela?
«No, le scappava troppo da ridere. Sa, il foggiano è un dialet- «No». to unico che ha una sola vocale: la “O”. Particolarità che stabilisce un record del mondo tra gli idiomi.“Corrado” in foggiano stretto si dice:“Corrodo”, con la seconda “O” che quasi non si sente, mangiata com’è dalla doppia erre».
Perché non vi siete sposati? È un rimprovero che vi hanno mosso spesso.
«Me lo sono rimproverato pure io, per la verità. Sarebbe stato giusto. Mariangela voleva, non è vero che non voleva».
Ma non glielo disse mai.
«Ma no che me lo diceva, me lo lasciava capire. Faceva dei collage (era molto brava, da ragazza sognava di fare la pittrice e perciò bazzicava, giovanissima, il Giamaica a Milano, il bar degli artisti). In quei collage lei appariva in abito da sposa. C’è stato un momento... Ma poi vinse, devo dire, la mia immaturità, il mio stile di vita jazzistico, l’improvvisazione anche nell’esistenza, il carpe diem. La mancanza del matrimonio con Mariangela la sento adesso. In maniera lancinante. Come sento l’altra cosa che ci è mancata: un figlio».
C’è una scena commovente in Mariangela! in cui lei, in un concerto, dedica all’attrice che è in platea Regi
nella. Era la vostra canzone, oltre ovviamente a quella di Battisti che battezzò il vostro innamoramento? Eppure sembra scritta apposta per voi. Specialmente i versi: “Reginè, quanno stive cu mmico, / nun magnave ca pane e cerase / Nuje campavamo ’e vase, e che vase!”. È l’immagine di come lei mi ha finora raccontato il vostro amore.
«È una canzone bellissima, ma non era la nostra. Sa quale era la canzone di Mariangela e la cantavamo sempre? Era quella vecchia canzone milanese della fine degli anni Trenta, La piccinina. Quella che fa:“Oh, bella piccinina / che passi ogni mattina / sgambettando lieta tra la gente / canticchiando sempre allegramente. / Oh, bella piccinina, / sei tanto birichina”. Era lei la bella piccinina, era Mariangela...».