FATEVI IL VOSTRO PANTHEON!
Che ci fanno quattro intrusi sulla storica copertina dei Beatles? Abbiamo chiesto a un filosofo, uno scrittore, un cantante e un drammaturgo, tutti più giovani del disco, di sostituirsi ai “Fab Four” e di elencare i loro miti personali. Risultato? Qui a s
ASIAMO TUTTI CORDIALMENTE INVITATI a far parte della banda del Club dei cuori solitari del Sergente Pepe. Meglio nota come Sgt. Pepper’s Lonely
Hearts Club Band, ovvero l’album capolavoro dei Beatles: uscito per la Emi il primo giugno 1967, ha rivoluzionato la storia della musica rock e stravolto il nostro immaginario. Sonoro, semantico e visivo. Basta buttare uno sguardo alla copertina, nata da un’idea di Paul McCartney e realizzata all’artista Peter Blake. È una vetrina psichedelica in cui specchiarsi, l’album di famiglia della nostra cultura pop, il cui destino è un karma occidentale contaminato con l’Oriente: un arazzo colorato di volti, suoni, rumori, spezie, versi e acidi. Nella copertina, dietro i Beatles travestiti da orchestrina vittoriana, ci sono i volti delle personalità che li hanno influenzati (più qualche figura anonima): sono la miglior
QUELLA COPERTINA È UN MIRACOLO DI CULTURA ALTA E BASSA. UN MEGA-SELFIE DI GRUPPO
compagnia per non sentirsi soli e allo stesso tempo il pubblico ideale delle tracce di Sgt. Pepper, incise sul disco senza interruzioni, a comporre un continuum spazio-temporale che, ancora oggi, non ha mai smesso di suonare. Uno show unico e irripetibile, ma riproducibile e uguale a se stesso mai.
SIAMO ANCORA CON LA TESTA in quel disco. Abbiamo ancora quel disco in testa. Fu così da subito. Sarà così per molto. A pochi giorni dalla pubblicazione, Jimi Hendrix suonò una cover di Sgt. Pepper a un suo concerto. A Woodstock, nel 1969, Joe Cocker fece sua With
a Little Help From My Friends. Il disco di questa band, dall’aria vittoriana in salsa californiana, è una macchina del tempo: la copertina, il suo caleidoscopico specchietto. Primo esempio. Se Paul tira fuori un pezzo scritto a 16 anni, che omaggia la musica dixieland del padre, lo fa per immaginarsi a 64 anni, in When I’m Sixty Four (il disco è un’opera rivoluzionaria e trans
generazionale: a me capita di cantare con mia sorella, Paola, del 1985, canzoni che abbiamo ascoltato da una musicassetta che mia madre mi regalò da piccolo). Secondo esempio. Se andiamo avanti di sette anni, ci troviamo indietro di tre milioni di anni: nel 1974, in Etiopia fu rinvenuto un sorprendente esemplare femmina di australopiteco e i ricercatori lo chiamarono Lucy perché ascoltavano Lucy in the Sky with Diamonds; una delle tracce più celebri (e contestata, per il riferimento alla droga Lsd), assieme a Sgt. Pepper e A Day In The Life, l’epilogo del disco, summa e contrappasso: un gioiello del duo John Lennon-Paul McCartney che fonde piccole e grandi notizie di cronaca in un Big bang della musica pop in versione Big Ben londinese, con sperimentazioni rumoristiche e orchestrali sbalorditive.
COSA SERVE PER ENTRARE
nella banda del Sergente Pepper? Beh, tutti ci siamo sentiti cuori solitari, almeno una volta. Per il resto, prendete carta e penna, o un account social, e scrivete i nomi di una quindicina di vostri miti personali. Condivideteli con quelli di altre persone e riprodurrete quel miracolo di cultura alta e bassa che è la copertina di Sgt. Pepper: un plotone di consolazione fatto di comici e filosofi, maghi e scienziati, attori e cantautori, attrici e bambole, soldati e sportivi, accorsi per un mega-selfie di gruppo. Noi l’abbiamo chiesto a un quartetto inedito ed eterogeneo di fan dei Beatles, nati dopo l’uscita del disco. C’è Tommaso Paradiso, romano 33enne, leader dei Thegiornalisti, gruppo che racconta “giornalisticamente” la realtà quotidiana, in stile brit Anni 90 (dopo il sold out al Palalottomatica di Roma, l’11 maggio, sono al Forum di Milano). Riccardo Fazi, classe 1979, drammaturgo e sound designer – romano, ha fondato con Claudia Sorace la compagnia Muta Imago, vive a Bruxelles – è anche un archeologo sonoro del passato prossimo, come nell’installazione Antologia di S, miniinchiesta sentimentale su una ragazza che gli regalò, ai tempi dell’adolescenza, la musicassetta Misto estate ‘93. L’ha ritrovata? Scaricatevi il podcast da Radio3… Poi c’è Simone Regazzoni, genovese del ’75, un filosofo che, assieme a Lucrezia Ercoli del Festival di Popsophia di Pesaro, ama smontare e rimontare il nostro immaginario fatto di serie tv e altre finzioni. Infine, lo scrittore abruzzese Alcide Pierantozzi (1985), lettore bulimico, cinefilo, cultore della tv popolare.
COS’È USCITO DA QUESTO ESPERIMENTO?
Una fan fiction, una riscrittura della copertina da parte dei fan. Per i comici, al posto di Stanlio e Ollio del 1967, abbiamo Totò e Villaggio; via Edgar Allan Poe, dentro Stephen King, via i guru indiani, spazio a Wojtyla. Tra i musicisti, al di là di Patti Smith, Springsteen e Dylan (presente già nel 1967), ci sono i fratelli Gallagher, che dei Beatles assieme ai Blur sono i nipotini. Via Brando, dentro Eastwood, il biondo di Marlyn lascia spazio al rosso di Kate Winslet. E poi, tanta filosofia: Derrida, Severino, Agamben, Eco e Platone. Aristotele? No grazie. Al Sergente Pepper non piacciono categorie e generi rigidi. La copertina dei Beatles mi ha fatto pensare alla Scuola
di Atene di Raffaello, un affresco simbolo del Rinascimento italiano. L’archetipo, il format, è simile: è il manifesto di una cultura sincretica. Raffaello celebrava le nozze, vaticane, tra l’antica cultura classica e la modernità umanistica, sintetizzate nel volto di Leonardo Da Vinci usato per Platone, il cui dito rivolto verso l’alto indica il mondo delle idee, mentre Aristotele ha il palmo verso il basso: attorno, gli altri filosofi. Così, in versione rock, filtrata dalla pop art, la copertina di Sgt. Pep
per mostra le radici del suo tempo e anticipa il nostro: non perché l’abbia previsto, ma perché l’ha creato.
POTREMMO CHIAMARLA
“La scuola di Liverpool”, città natale dei Beatles. In quell’affresco pop i profeti delle grandi ideologie (Marx) coesistono con maghi dell’occulto (Aleister Crowley) e guru
indiani (Sri Paramahansa Yogananda). Il vero e il falso – o“fake” - sono sullo stesso piano, come le statue di cera dei Beatles accanto ai Fab four veri o presunti tali (il disco è una presa di distanza dai primi anni), o l’attrice Shirley Temple vicino alla bambola che la raffigura. La psicanalisi di Freud si accompagna alla terapia del buon umor nero di Lenny Bruce. Il complottismo? Eccolo: Paul, nel retro della copertina, è l’unico di spalle, a foraggiare, con altri indizi, la tesi che lo vuole morto e rimpiazzato da un sosia. E che dire della community di cuori solitari? Quello stare assieme è la promessa dei social network di oggi: allora, però, in versione analogica, quasi una app in vinile presa da milioni di persone per sentirsi meno sole, grazie all’aiuto, piccolo o grande, di amici, vecchi e nuovi, veri o finti. Con una sola differenza, non da poco. Quella promessa del 1967 è stata mantenuta, fino a oggi: 50 anni, non sono pochi. Come faceva il ritornello di Sgt. Pepper? “We hope you will enjoy the show”. E anche noi speriamo che lo show continui a piacervi.