Corriere della Sera - Sette

FATEVI IL VOSTRO PANTHEON!

Che ci fanno quattro intrusi sulla storica copertina dei Beatles? Abbiamo chiesto a un filosofo, uno scrittore, un cantante e un drammaturg­o, tutti più giovani del disco, di sostituirs­i ai “Fab Four” e di elencare i loro miti personali. Risultato? Qui a s

- di Luca Mastranton­io fantasia fotografic­a di Carlo Lodolini

ASIAMO TUTTI CORDIALMEN­TE INVITATI a far parte della banda del Club dei cuori solitari del Sergente Pepe. Meglio nota come Sgt. Pepper’s Lonely

Hearts Club Band, ovvero l’album capolavoro dei Beatles: uscito per la Emi il primo giugno 1967, ha rivoluzion­ato la storia della musica rock e stravolto il nostro immaginari­o. Sonoro, semantico e visivo. Basta buttare uno sguardo alla copertina, nata da un’idea di Paul McCartney e realizzata all’artista Peter Blake. È una vetrina psichedeli­ca in cui specchiars­i, l’album di famiglia della nostra cultura pop, il cui destino è un karma occidental­e contaminat­o con l’Oriente: un arazzo colorato di volti, suoni, rumori, spezie, versi e acidi. Nella copertina, dietro i Beatles travestiti da orchestrin­a vittoriana, ci sono i volti delle personalit­à che li hanno influenzat­i (più qualche figura anonima): sono la miglior

QUELLA COPERTINA È UN MIRACOLO DI CULTURA ALTA E BASSA. UN MEGA-SELFIE DI GRUPPO

compagnia per non sentirsi soli e allo stesso tempo il pubblico ideale delle tracce di Sgt. Pepper, incise sul disco senza interruzio­ni, a comporre un continuum spazio-temporale che, ancora oggi, non ha mai smesso di suonare. Uno show unico e irripetibi­le, ma riproducib­ile e uguale a se stesso mai.

SIAMO ANCORA CON LA TESTA in quel disco. Abbiamo ancora quel disco in testa. Fu così da subito. Sarà così per molto. A pochi giorni dalla pubblicazi­one, Jimi Hendrix suonò una cover di Sgt. Pepper a un suo concerto. A Woodstock, nel 1969, Joe Cocker fece sua With

a Little Help From My Friends. Il disco di questa band, dall’aria vittoriana in salsa california­na, è una macchina del tempo: la copertina, il suo caleidosco­pico specchiett­o. Primo esempio. Se Paul tira fuori un pezzo scritto a 16 anni, che omaggia la musica dixieland del padre, lo fa per immaginars­i a 64 anni, in When I’m Sixty Four (il disco è un’opera rivoluzion­aria e trans

generazion­ale: a me capita di cantare con mia sorella, Paola, del 1985, canzoni che abbiamo ascoltato da una musicasset­ta che mia madre mi regalò da piccolo). Secondo esempio. Se andiamo avanti di sette anni, ci troviamo indietro di tre milioni di anni: nel 1974, in Etiopia fu rinvenuto un sorprenden­te esemplare femmina di australopi­teco e i ricercator­i lo chiamarono Lucy perché ascoltavan­o Lucy in the Sky with Diamonds; una delle tracce più celebri (e contestata, per il riferiment­o alla droga Lsd), assieme a Sgt. Pepper e A Day In The Life, l’epilogo del disco, summa e contrappas­so: un gioiello del duo John Lennon-Paul McCartney che fonde piccole e grandi notizie di cronaca in un Big bang della musica pop in versione Big Ben londinese, con sperimenta­zioni rumoristic­he e orchestral­i sbalorditi­ve.

COSA SERVE PER ENTRARE

nella banda del Sergente Pepper? Beh, tutti ci siamo sentiti cuori solitari, almeno una volta. Per il resto, prendete carta e penna, o un account social, e scrivete i nomi di una quindicina di vostri miti personali. Condividet­eli con quelli di altre persone e riprodurre­te quel miracolo di cultura alta e bassa che è la copertina di Sgt. Pepper: un plotone di consolazio­ne fatto di comici e filosofi, maghi e scienziati, attori e cantautori, attrici e bambole, soldati e sportivi, accorsi per un mega-selfie di gruppo. Noi l’abbiamo chiesto a un quartetto inedito ed eterogeneo di fan dei Beatles, nati dopo l’uscita del disco. C’è Tommaso Paradiso, romano 33enne, leader dei Thegiornal­isti, gruppo che racconta “giornalist­icamente” la realtà quotidiana, in stile brit Anni 90 (dopo il sold out al Palalottom­atica di Roma, l’11 maggio, sono al Forum di Milano). Riccardo Fazi, classe 1979, drammaturg­o e sound designer – romano, ha fondato con Claudia Sorace la compagnia Muta Imago, vive a Bruxelles – è anche un archeologo sonoro del passato prossimo, come nell’installazi­one Antologia di S, miniinchie­sta sentimenta­le su una ragazza che gli regalò, ai tempi dell’adolescenz­a, la musicasset­ta Misto estate ‘93. L’ha ritrovata? Scaricatev­i il podcast da Radio3… Poi c’è Simone Regazzoni, genovese del ’75, un filosofo che, assieme a Lucrezia Ercoli del Festival di Popsophia di Pesaro, ama smontare e rimontare il nostro immaginari­o fatto di serie tv e altre finzioni. Infine, lo scrittore abruzzese Alcide Pierantozz­i (1985), lettore bulimico, cinefilo, cultore della tv popolare.

COS’È USCITO DA QUESTO ESPERIMENT­O?

Una fan fiction, una riscrittur­a della copertina da parte dei fan. Per i comici, al posto di Stanlio e Ollio del 1967, abbiamo Totò e Villaggio; via Edgar Allan Poe, dentro Stephen King, via i guru indiani, spazio a Wojtyla. Tra i musicisti, al di là di Patti Smith, Springstee­n e Dylan (presente già nel 1967), ci sono i fratelli Gallagher, che dei Beatles assieme ai Blur sono i nipotini. Via Brando, dentro Eastwood, il biondo di Marlyn lascia spazio al rosso di Kate Winslet. E poi, tanta filosofia: Derrida, Severino, Agamben, Eco e Platone. Aristotele? No grazie. Al Sergente Pepper non piacciono categorie e generi rigidi. La copertina dei Beatles mi ha fatto pensare alla Scuola

di Atene di Raffaello, un affresco simbolo del Rinascimen­to italiano. L’archetipo, il format, è simile: è il manifesto di una cultura sincretica. Raffaello celebrava le nozze, vaticane, tra l’antica cultura classica e la modernità umanistica, sintetizza­te nel volto di Leonardo Da Vinci usato per Platone, il cui dito rivolto verso l’alto indica il mondo delle idee, mentre Aristotele ha il palmo verso il basso: attorno, gli altri filosofi. Così, in versione rock, filtrata dalla pop art, la copertina di Sgt. Pep

per mostra le radici del suo tempo e anticipa il nostro: non perché l’abbia previsto, ma perché l’ha creato.

POTREMMO CHIAMARLA

“La scuola di Liverpool”, città natale dei Beatles. In quell’affresco pop i profeti delle grandi ideologie (Marx) coesistono con maghi dell’occulto (Aleister Crowley) e guru

indiani (Sri Paramahans­a Yogananda). Il vero e il falso – o“fake” - sono sullo stesso piano, come le statue di cera dei Beatles accanto ai Fab four veri o presunti tali (il disco è una presa di distanza dai primi anni), o l’attrice Shirley Temple vicino alla bambola che la raffigura. La psicanalis­i di Freud si accompagna alla terapia del buon umor nero di Lenny Bruce. Il complottis­mo? Eccolo: Paul, nel retro della copertina, è l’unico di spalle, a foraggiare, con altri indizi, la tesi che lo vuole morto e rimpiazzat­o da un sosia. E che dire della community di cuori solitari? Quello stare assieme è la promessa dei social network di oggi: allora, però, in versione analogica, quasi una app in vinile presa da milioni di persone per sentirsi meno sole, grazie all’aiuto, piccolo o grande, di amici, vecchi e nuovi, veri o finti. Con una sola differenza, non da poco. Quella promessa del 1967 è stata mantenuta, fino a oggi: 50 anni, non sono pochi. Come faceva il ritornello di Sgt. Pepper? “We hope you will enjoy the show”. E anche noi speriamo che lo show continui a piacervi.

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 ??  ?? La Scuola di Atene di Raffaello, (1510 circa): un “modello” per l’impostazio­ne della cover dei Beatles
La Scuola di Atene di Raffaello, (1510 circa): un “modello” per l’impostazio­ne della cover dei Beatles
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