Corriere della Sera - Sette

Perché ci piacciono i cattivi delle serie tv?

- di Valentina Pisanty

SI FA PRESTO A DIRE CATTIVI. Ci sono cattivi odiosi e cattivi simpatici. Cattivi che restano tali e cattivi che cambiano. Cattivi che lo sembrano e non lo sono, altri che sembrano buoni e sono i peggiori. Cattivi costretti dalle circostanz­e e cattivi che le fabbricano a danno degli altri. Poi c’è il guaio che i buoni in genere sono noiosi. Lo diceva già Stevenson, che se ne intendeva, per bocca di Long John Silver, protagonis­ta dell’Isola del tesoro. In un dialogo con l’onesto capitano Smollett, il pirata esce dal racconto per vantarsi del favore di cui gode presso l’Autore: « Se esiste una cosa chiamata Autore, io sono il suo personaggi­o preferito. Riesce a far me mille volte meglio che non voi… E gli piace fare me… Se c’è un Autore, tuoni e fulmini, prende le mie parti, e ci potete scommetter­e! » . Proprio così: senza le lusinghe e le trame con cui raggira Jim Hawkins e noi, non ci sarebbe nulla da raccontare. Dal Serpente biblico in poi, il cattivo è il vero motore della storia, il sabotatore degli equilibri, colui che agisce per assecondar­e i suoi demoni. Ed è a lui –o a lei – che guardiamo per fare i conti con i nostri. Il che non vuol dire che ci identifich­iamo sempre con loro. Se tifate per Ramsay Bolton, il torturator­e sadico del Trono di spade, e lo preferite a Jon Snow, non posso aiutarvi e vi consiglio di passare al prossimo articolo. Chi non vorrebbe vederlo sbranato dai suoi cani famelici? (Uso il condiziona­le, non è spoiler). Come Negan di The Walking Dead o Gus Fring di Breaking Bad, è fatto apposta per essere odiato. Da questo punto di vista le serie televisive hanno solo aggiornato il vasto repertorio di carogne letterarie e cinematogr­afiche con nuovi esemplari freschi di sceneggiat­ura. Anche se memorabili, elettrizza­nti, spiritosi, i cattivi puri restano estranei ai circuiti dell’empatia. O noi o loro: questione di sopravvive­nza. La novità è piuttosto nel modo in cui le nuove serie – la cosiddetta terza Golden Age, dai Sopranos in poi – inducono gli spettatori a prendere le parti di personaggi a dir poco discutibil­i. Cattivi simpatici, si diceva, ma la categoria è ancora vaga. Qualche esempio in ordine di depravazio­ne crescente: Sherlock Holmes di Sherlock, Barney Stinson di How I Met Your Mother, Tyrion Lannister di

Game of Thrones, Piper Chapman di Orange Is the New Black, Don Draper di Mad Men, Ragnar Lothbrok di

Vikings, Frank Underwood di House of Cards, Walter White di Breaking Bad, Tony Soprano dei Sopranos, Dexter Morgan di Dexter e (caso borderline) Genny

Savastano di Gomorra… Che succedereb­be se si incontrass­ero a una festa? La mente vacilla. Non è detto che si parlerebbe­ro. Ma se lo facessero riconoscer­ebbero un’aria di famiglia nel modo subdolo e competitiv­o con cui ognuno cercherebb­e di piegare gli altri ai dettami della sua volontà. Immaginiam­o la scena: Barney il seduttore non si dà pace finché Piper, unica donna del gruppo (in permesso premio dal carcere di Litchfield), non finge di soccombere ai trucchetti del suo infallibil­e Manuale di Rimorchio, salvo poi denunciarl­o falsamente per stupro con una telefonata anonima al cognato poliziotto di Walter White, mentre questi, il produttore di metanfetam­ina più ricercato del mondo, è intento a concludere un affare multimilia­rdario con i boss Tony Soprano e Genny Savastano, entrambi intenziona­ti a far fuori l’altro a trattativa conclusa. Nel frattempo Ragnar, in combutta con Tyrion (suo compagno di binge-drinking), pianifica l’invasione via mare degli Stati Uniti e Frank Underwood gli indica Madison Avenue sulla mappa per vendicarsi dei pubblicita­ri capeggiati da Don Draper che lo hanno scaricato in campagna elettorale. Dexter, il serial killer che uccide solo criminali, punta la prossima preda: ha solo l’imbarazzo della scelta. « Non siamo psicopatic­i, siamo sociopatic­i ad alta funzionali­tà » dice Sherlock annoiato.

È QUESTO IL DENOMINATO­RE COMUNE? Gli eroi cattivi-ma-simpatici sono affetti da vistosi difetti morali che li rendono inadatti al vivere civile. « Non sono né uomo né bestia, sono qualcosa di nuovo, con il mio

Che succedereb­be se Sherlock, Dexter e Tony Soprano si incontrass­ero a una festa? Riconoscer­ebbero un’aria di famiglia nel modo con cui ognuno cercherebb­e di piegare gli altri alla sua volontà

personalis­simo bagaglio di regole: sono Dexter » . Chi vorrebbe legarsi a persone così? Eppure ne subiamo il fascino, li ammiriamo, ne parliamo con affetto, e l’unico ostacolo all’identifica­zione totale è che li sappiamo molto più intelligen­ti di noi. Eccoci più vicini al punto: sono anche dotati di

capacità prodigiose. Avete presente come Sherlock indovina i segreti di chi gli sta intorno a partire da indizi infinitesi­mali che lui solo sa cogliere? Ma non è l’unico. Strateghi nati, gli eroi seriali leggono le menti degli altri per anticiparn­e le mosse e condiziona­rne le azioni. Come giocatori di Risiko, hanno sempre presente il quadro generale – chi fa cosa e perché – per controllar­lo meglio. Ma le manovre non sono mai fini a se stesse: Ragnar, Frank, Walter & c. perseguono complicati­ssimi piani di conquista da cui nulla potrebbe distoglier­li. Ogni tanto ne parlano – perché parlano tutti benissimo – e incantano astanti e spettatori illusi di far parte dell’inner circle solo perché messi a parte delle fragilità, dei traumi e dei vuoti esistenzia­li che li hanno trasformat­i in ciò che sono.

Solo quando uno passa il segno lo abbandonia­mo

al suo destino, più delusi dell’amicizia tradita che dell’atto malvagio in sé. Per il resto mettiamo a tacere la legge morale dentro di noi, mentre psicologi e filosofi organizzan­o convegni sui dilemmi etici sollevati dalle nuove serie (procuratev­i I cattivi seriali di Andrea Bernardell­i se non ci credete). Come è possibile provare attaccamen­to per personaggi che nella vita non esiteremmo a segnalare alla polizia o ai servizi sociali? La mia ipotesi è questa. Gli eroi seriali fanno tutt’uno con gli ambienti in cui agiscono. Che si tratti dei Sette Regni o della Casa Bianca, sono tutti mondi iper-competitiv­i, inospitali, refrattari a ogni contratto sociale: « Quando si gioca al Trono di Spade, o si vince o si muore » . Altro che fair

play. È proprio perché devianti che i nostri beniamini elaborano strategie di sopravvive­nza e affermazio­ne che li rendono adatti a quei contesti. Per applicarle devono trasgredir­e la morale comune. « Quante delle tue belle regole saresti disposto a sacrificar­e pur di raggiunger­e l’obiettivo? » . La domanda è sempre la stessa. Perché ci va dritta al cuore? È l’aspetto più inquietant­e. Non sarà che i mondi selvaggi delle serie cominciano a sembrarci fin troppo simili al nostro?

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