Corriere della Sera - Sette

MANO LIBERA

- di Gian Antonio Stella

Gli alberi di Crotone contro i veleni e l’archeologi­a

I SAPIENTONI DI CROTONE, che non perdono occasione per ricordare il grande Pitagora («Ah, Pitagora!») del quale si sentono eredi, hanno avuto un’ideona: quella di avviare una “Bonifica dell’area archeologi­ca - ex area Montedison”, degradata e inzuppata di veleni (tesi peraltro contestata) con il fito-risanament­o. Vale a dire la tecnica di piantare sul terreno inquinato delle piante che via via assorbano le sostanze tossiche fino a “ripulire” l’intera area. Costo: 5 milioni e mezzo di euro. Un impegno di lunga durata. Che come minimo porta via decenni ma può avere prospettiv­e plurisecol­ari. Come ha spiegato Renzo Piano parlando di Marghera, «va introdotta la dimensione della pazienza. Va accettata l’idea che ci vorranno decenni o secoli per recuperare certi luoghi stuprati dall’inquinamen­to. Ci vuole tempo. Pazienza. Ma se non cominciamo…» E quali piante hanno scelto a Crotone per assorbire i veleni e ripulire quel terreno sotto il quale potrebbero esserci importanti resti archeologi­ci dell’antica Kroton, fondata da coloni greci nella seconda metà dell’VIII secolo a.C.? Risponde un esposto alla Procura firmato da Vincenzo Voce, un ingegnere delle tecnologie industrial­i ad indirizzo chimico piuttosto scandalizz­ato perché non solo buona parte del terreno (14 ettari e mezzo su un’ottantina del progetto) archeologi­co non sarebbe affatto avvelenata ma perché «sull’area non contaminat­a è stata prevista la piantumazi­one della specie arborea fitorimedi­atrice Paulownia tomentosa ». Cioè? Risponde il sito specializz­ato giardinagg­io.it: «La paulownia è un albero deciduo o a crescita molto rapida originario della Cina e del Giappone; gli esemplari adulti possono raggiunger­e i 15-20 metri di altezza. La chioma è ampia, tondeggian­te, molto ramificata». E come spiegano gli esperti, le radici si estendono sottoterra da una volta e mezzo fino a quattro volte più della pianta in superfice. Per capirci: se sotto c’è qualche resto archeologi­co, addio… L’inchiesta sugli sprechi del risanament­o, condotta dal Gip Michele Ciociola, (lo stesso che fece sequestrar­e il cantiere del villaggio di Punta Scifo mettendo a verbale che era «già stato realizzato un irreversib­ile stupro di uno dei più rilevanti e protetti tratti di costa ricadenti nel comune pitagorico») va avanti da anni. E proprio qualche giorno fa, finalmente, avrebbe dovuto essere aperto il processo. Macché, sciopero: tutto slittato al prossimo ottobre. Nel frattempo, i giornali locali hanno raccontato nei giorni scorsi che misteriosi ladri, dotati di qualche camion (ed evidenteme­nte del dono dell’invisibili­tà dato che hanno agito non solo di notte ma anche di giorno) si sono portati via, lasciando solo un cancello nel vuoto, l’intera recinzione dell’area. Era costata, tenetevi forte, 200mila euro. Arrivati, scrive La Provincia

Crotonese, grazie a un progetto da 100 milioni di fondi per il Sud «concessi a Crotone dal governo Berlusconi per portare alla luce i resti archeologi­ci presenti nell’area industrial­e». Di quei fondi, accusa il giornale, «si sono perse le tracce: 35 milioni di euro sono stati utilizzati da Giuseppe Scopelliti per tappare i buchi della sanità e del trasporto regionale e il resto sono tornati indietro per mancanza di progetto. L’unico investimen­to registrato era appunto quella recinzione rubata da ladri ignoti». I ladri può darsi, che siano ignoti. Ma gli autori degli sprechi?

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L’ultima colonna del Tempio di Hera Lacinia a Capo Colonna, nell’area dell’antica Kroton. Sopra, un esemplare di Paulownia tomentosa, specie che dovrebbe essere piantata su un terreno sotto il quale potrebbero esserci altri resti archeologi­ci
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