Cos’è uno Spagnolo?
Passato glorioso, presente complesso. In Spagna non sono più così fieri della propria identità nazionale. Ma si sentono europei
IL TASSISTA DI BARCELLONA, con i forestieri, preferisce spesso parlare in inglese, anziché in castigliano. La maggioranza dei galiziani invece non dà tanto peso alla questione linguistica, perlomeno non quanto i catalani o i baschi, però si sente probabilmente meno affine ai maiorchini che ai portoghesi, cui li unisce l’orgoglio di un glorioso passato marinaro: altro che periferia del continente! Ben prima del Secolo d’oro, i loro porti erano imprescindibili punti di riferimento per i grandi navigatori dell’Atlantico. Un valenciano può sentirsi straniero in Estremadura; e un andaluso, in Cantabria e perfino a Madrid, che nelle feste comandate si svuota di residenti, in fuga verso il pueblo, il villaggio delle origini, dove di solito sono attesi ancora dalla vecchia casa di famiglia e dalla lingua natale. Questione complicata, l’identità nazionale spagnola. Al di là dei luoghi comuni sui tori, il flamenco, la siesta e il pata negra. Beh, quest’ultimo, a dire il vero, resta sempre un argomento valido, per tutti i buongustai della penisola. Il problema è che, a parte qualche occasione, come quando gioca Rafa Nadal o s’inaugura una mostra di Francisco Goya a Londra o a Parigi, oggi gli spagnoli faticano a essere fieri di essere spagnoli. La storia. Certo, conta anche quella. Già i re cattolici si erano dati da fare per creare una comunità nazionale, abbastanza compatta da mantenersi viva sotto il dominio degli Asburgo, e da rafforzarsi nei secoli fino all’impennata patriottica dei deputati delle Cortes di Cadice, e la prima Costituzione spagnola, del 1812. Ma sono bastati 40 anni di dittatura franchista, nel ’900, perché gli spa-
gnoli, o almeno le nuove generazioni, si rendessero conto di quanto poteva diventare soffocan
te la retorica nazionalista. E si spingessero oltre i confini che, per i loro nonni, erano stati muri mortificanti, costruiti con i mattoni della tradizione e di riti immutabili. Alla morte di Francisco Franco, l’autostima dei suoi connazionali era sotto i tacchi. Le due Spagne che si erano combattute nella Guerra Civile avevano deciso a tavolino di dimenticare i vecchi rancori. Più facile a dirsi che a farsi, con ancora centinaia di fosse comuni in attesa di essere riaperte. Serviva un altro terreno comune, uno spazio d’intesa, e gli spagnoli lo hanno trovato. In Europa. Da 15 anni l’Eurobarometro del Real Instituto Elcano segna sulla penisola iberica bel tempo fisso. Nonostante le nuvole provenienti dal nord est, con l’austerity imposta da Bruxelles e da Berlino, essere spagnolo, per uno spagnolo, significa essere europeo. Anche se qualche galiziano potrebbe magari far notare che proprio un autorevole tedesco, Johann Wolfgang Goethe, sosteneva che l’Europa è nata pellegrinando sul Cammino di Santiago; e che quindi la Galizia è stata europea prima della Castiglia–La Mancha o della Catalogna, dove del resto avrete notato che i tassisti di Barcellona sono sempre più spesso extracomunitari. Ed è molto spagnolo perdersi in infinite discussioni sulla questione, al banco di un bar di Madrid, fra un pincho di tortilla e un bicchiere di Rioja.