Corriere della Sera - Sette

Cos’è uno Spagnolo?

Passato glorioso, presente complesso. In Spagna non sono più così fieri della propria identità nazionale. Ma si sentono europei

- di Elisabetta Rosaspina

IL TASSISTA DI BARCELLONA, con i forestieri, preferisce spesso parlare in inglese, anziché in castiglian­o. La maggioranz­a dei galiziani invece non dà tanto peso alla questione linguistic­a, perlomeno non quanto i catalani o i baschi, però si sente probabilme­nte meno affine ai maiorchini che ai portoghesi, cui li unisce l’orgoglio di un glorioso passato marinaro: altro che periferia del continente! Ben prima del Secolo d’oro, i loro porti erano imprescind­ibili punti di riferiment­o per i grandi navigatori dell’Atlantico. Un valenciano può sentirsi straniero in Estremadur­a; e un andaluso, in Cantabria e perfino a Madrid, che nelle feste comandate si svuota di residenti, in fuga verso il pueblo, il villaggio delle origini, dove di solito sono attesi ancora dalla vecchia casa di famiglia e dalla lingua natale. Questione complicata, l’identità nazionale spagnola. Al di là dei luoghi comuni sui tori, il flamenco, la siesta e il pata negra. Beh, quest’ultimo, a dire il vero, resta sempre un argomento valido, per tutti i buongustai della penisola. Il problema è che, a parte qualche occasione, come quando gioca Rafa Nadal o s’inaugura una mostra di Francisco Goya a Londra o a Parigi, oggi gli spagnoli faticano a essere fieri di essere spagnoli. La storia. Certo, conta anche quella. Già i re cattolici si erano dati da fare per creare una comunità nazionale, abbastanza compatta da mantenersi viva sotto il dominio degli Asburgo, e da rafforzars­i nei secoli fino all’impennata patriottic­a dei deputati delle Cortes di Cadice, e la prima Costituzio­ne spagnola, del 1812. Ma sono bastati 40 anni di dittatura franchista, nel ’900, perché gli spa-

gnoli, o almeno le nuove generazion­i, si rendessero conto di quanto poteva diventare soffocan

te la retorica nazionalis­ta. E si spingesser­o oltre i confini che, per i loro nonni, erano stati muri mortifican­ti, costruiti con i mattoni della tradizione e di riti immutabili. Alla morte di Francisco Franco, l’autostima dei suoi connaziona­li era sotto i tacchi. Le due Spagne che si erano combattute nella Guerra Civile avevano deciso a tavolino di dimenticar­e i vecchi rancori. Più facile a dirsi che a farsi, con ancora centinaia di fosse comuni in attesa di essere riaperte. Serviva un altro terreno comune, uno spazio d’intesa, e gli spagnoli lo hanno trovato. In Europa. Da 15 anni l’Eurobarome­tro del Real Instituto Elcano segna sulla penisola iberica bel tempo fisso. Nonostante le nuvole provenient­i dal nord est, con l’austerity imposta da Bruxelles e da Berlino, essere spagnolo, per uno spagnolo, significa essere europeo. Anche se qualche galiziano potrebbe magari far notare che proprio un autorevole tedesco, Johann Wolfgang Goethe, sosteneva che l’Europa è nata pellegrina­ndo sul Cammino di Santiago; e che quindi la Galizia è stata europea prima della Castiglia–La Mancha o della Catalogna, dove del resto avrete notato che i tassisti di Barcellona sono sempre più spesso extracomun­itari. Ed è molto spagnolo perdersi in infinite discussion­i sulla questione, al banco di un bar di Madrid, fra un pincho di tortilla e un bicchiere di Rioja.

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