Corriere della Sera - Sette

QUESTO NON LO SCRIVA

La presidente della Camera discute di violenza sui social e di fake news. E attacca: «Non ci arrendiamo a chi vuole imporre l’odio. Mi aspetto un impegno vero da parte dei colossi della Rete»

- di Beppe Severgnini

Laura Boldrini: «Facebook non sta facendo abbastanza contro il Far West del web»

CHISSÀ COSA DIREBBERO CARLO CATTANEO E FRANCESCO CRISPI, se potessero partecipar­e alla discussion­e. La presidente della Camera che s’arrabbia con Facebook e discute di fake news: ai tempi, non si faceva. Sala dei Busti, Palazzo Montecitor­io, Roma, secondo piano. I busti bianchi ci guardano dall’alto in basso, com’è prerogativ­a delle statue. La presidente della Camera, in abito chiaro. Il giornalist­a del Corriere, in ritardo, con l’iPhone quasi scarico (e serve per registrare l’intervista). Laura Boldrini appare battaglier­a. Buona idea intervista­re le cariche istituzion­ali a fine legislatur­a; rinunciano a qualche cautela, e si capisce cosa dicono. Oggi parliamo dell’odio in Rete, della violenza verbale diventata la regola sui social. Odio e violenza che Laura Boldrini sperimenta di persona. Che dice, ci arrendiamo? «Ci arrendiamo a chi? Ai violenti? Non esiste». E quindi? «E quindi ho istituito due commission­i. La Commission­e internet e la Commission­e contro l’Odio, le Discrimina­zioni e il Razzismo, dedicata alla deputata inglese Jo Cox, uccisa perché credeva in una società aperta e si batteva per i diritti dei rifugiati e delle donne. E per l’Europa». Mi sta dicendo che internet è uno spazio pubblico, non un luogo a parte dove tutto è permesso. Ho capito bene? «Certo. Non possiamo lasciare che i violenti occupino questo

spazio. Internet non è un Far West». In effetti, manca lo sceriffo. «Nel Far West i violenti cercano di imporre le regole. Altri usano la buona fede della gente, convinta che, siccome è tutto gratis, va tutto bene. Bisogna formare le persone a un uso consapevol­e della Rete. Per questo la Commission­e internet istituita dopo la Carta dei Diritti – una sorta di “Costituzio­ne della Rete” – è uscita da Montecitor­io e andrà nelle scuole». Perché lei, Laura Boldrini, è presa tanto di mira? Se l’è mai fatta questa domanda? «Sì, me la sono fatta. Non provo nessuna vergogna e nessun disagio a essere oggetto di odio e di violenza. Devo reagire in nome e per conto di tante persone che subiscono la mia stessa sorte, ma non hanno gli strumenti per potersi difendere. Dunque, se io non lo faccio, chi lo fa?». Ha mai risposto personalme­nte a qualcuno dei suoi persecutor­i? «Sì, e non solo. Il 25 novembre, la giornata contro la violenza sulla donna, ho rilanciato, sul mio profilo Facebook, un assaggio dei messaggi violenti che mi erano arrivati». All’autore di uno di quei messaggi abbiamo dedicato la prima copertina del nuovo 7. Siamo andati a trovarlo in Abruzzo. «Lo so bene». Volevamo capire cosa gli passasse per la testa. «È interessan­te la reazione. Si sono tutti scusati. Alcuni lo hanno fatto attraverso la madre, perché non avevano il coraggio di farlo direttamen­te. Qualcuno ha detto: “Ma non sapevo che lei leggesse queste cose!”. Qui si capisce l’ignoranza. Non amo fare la vittima, ma queste persone si devono assumere le proprie responsabi­lità». Lei è favorevole ad applicare il Codice Penale, in certi casi? «Guardi: io penso che quello che è reato offline sia reato online, senza differenze». Online è peggio. Si diffonde di più. «E certo». Ma se qualcuno ci insulta per strada, viene fermato e denunciato. Se lo fa online, di fatto, non succede niente. Si chiama impunità. «Quando ho messo online quei commenti, mi hanno chiamato dai vertici di Facebook. Il numero due, Richard Allen, ha chiesto un incontro. E l’incontro c’è stato. È durato un’ora e mezzo». Cosa gli ha detto? «Che se loro non danno alle persone diffamate e insultate la possibilit­à di sapere chi le insulta, a quel punto decidono che la diffamazio­ne nel nostro ordinament­o non esiste più. E ci impediscon­o di esercitare un diritto». Mi sta dicendo che Facebook non fa abbastanza? «Certo, non risponde assolutame­nte in modo efficace. Facebook in Italia ha 30 milioni di utenti. E non c’è un ufficio operativo! Allora, di cosa parliamo?» Mark Zuckerberg dice che su Facebook non c’è posto per l’odio.

«E a me fa piacere. Però lo dimostrass­e. Facebook ha 2 miliardi di utenti. Quante persone ha assegnato a segnalare e a cancellare i messaggi di odio? Erano – mi pare – 4.000, adesso ne assumerann­o altri 3.000. Ma possono bastare 7.000 persone su un’utenza di 2 miliardi? Lei capisce che queste sono le regole fondamenta­li. Se si è contro l’odio, lo si deve dimostrare con un investimen­to». Per un po’ Zuckerberg è andato avanti a dire che Facebook era solo una “tech company”. Poi ha cambiato linea. «Pensi a questo. In Italia abbiamo un reato: apologia del fascismo. Su Facebook ci sono centinaia di pagine apologetic­he del fascismo. Ho scritto a Zuckerberg: non potete lasciare queste pagine aperte. La risposta blanda: abbiamo una internatio­nal policy e, quando possiamo, prendiamo atto delle legislazio­ni nazionali. Ma nazismo e fascismo sono state due tragedie per l’umanità! Non si può, non si può rispondere in questo modo». Lei ha 605.000 persone che la seguono su Twitter, 239.000 su Facebook, circa 10.000 su Instagram. Quale social preferisce? «Allora, Twitter è facile da usare ed è immediato, ma Facebook dà la possibilit­à di esprimersi meglio, in modo più articolato». Sui social fa da sola, oppure si fa aiutare? Scrive tweet notturni come Trump? «No. A me piace condivider­e anche le scelte di comunicazi­one. E poi penso non sia utile, nella vita, reagire a caldo. Non è che aspetto due giorni, è evidente. Però quei dieci minuti di attesa servono». Ha mai querelato qualcuno? «Non mi pare, no. E ne avrei, eh?». Le cose più brutte? «Le minacce di morte. I commenti sessisti che vanno sempre a finire nello stupro. E lì ci sono le varie evenienze dello stupro. Questo lo trovo veramente disgustoso. Verso di me, verso tante altre donne. Non possiamo sottovalut­are lo zoccolo duro di misoginia che c’è in questo Paese. La misoginia si vede facendo un giro sui social». Qualche condanna non potrebbe convincere qualcuno a smetterla? «Vede, Severgnini, il discorso è questo: le persone pensano che il web sia una terra di nessuno. Invece non è così. Le persone devono assumersi le proprie responsabi­lità». Però di condanne ne ho viste pochine. «La magistratu­ra ha un ruolo importante, ma alla Camera io lavoro sul piano della formazione. Stiamo coinvolgen­do Confindust­ria, Fieg, Facebook, Google, Rai, Ministero dell’Istruzione. Dal prossimo anno scolastico questi soggetti avranno un ruolo nella implementa­zione di un progetto di educazione civica digitale. Contro hate speech e fake news ». Fake news. Chi le diffonde spesso pensa sia un gioco, si diverte. «Non genda è politicaun gioco. dietro,È qualcosa oppure decisa l’intenzione­a tavolino.di guadagnarc­iO c’è un ’asopra». Teme interferen­ze straniere nelle prossime elezioni politiche in Italia? Per parlar chiaro: dalla Russia? «Non ho elementi per poter dire se saranno dalla Russia o saranno interferen­ze nostrane. So però che le fake news vengono usate come uno strumento di lotta politica. Chi ricorre a questo ha toccato il fondo». Bene. Ora tre domande a cui non risponderà. La prima: ha capito come è diventata presidente della Camera? Chi ha fatto il suo nome per la prima volta? «Ci sono diverse versioni qui, caro Severgnini!» Gliel’ho detto che non mi rispondeva. Seconda domanda: cosa farà quando lascerà la presidenza della Camera al termine della legislatur­a? Prossimo lavoro? «Vediamo se ci sono le condizioni politiche per andare avanti – sto rispondend­o, vede? – perché ritengo che si possa creare un ambito di progressis­mo, oggi non più tanto rappresent­ato». Se no..? «Se no posso fare altro nella vita». Ultima domanda su una donna che, con tutto il rispetto, è più importante della presidente della Camera: Angela Merkel. La Cancellier­a sembra convinta che l’America di Trump stia mollando la leadership dell’Occidente e l’Europa dovrà cavarsela da sola. «Questa amministra­zione americana ci sorprende spesso…». Ogni 20 minuti. «Dovrebbe essere da stimolo affinché noi si vada avanti nel processo di integrazio­ne politica. Per me l’obiettivo sono gli Stati Uniti d’Europa. È l’unica dimensione che ci consentirà di essere influenti in futuro». E Trump dica quello che vuole… «E Trump dica quello che vuole». 28 minuti di conversazi­one e ho ancora il 7% di batteria, grazie presidente. «Grazie a lei».

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Laura Boldrini nel suo ufficio. A destra, con Beppe Severgnini durante l’intervista
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