DENTRO LA RIVOLTA
Voci dal Venezuela: le testimonianze di chi si oppone al presidente Maduro
Arresti, torture, morti: in questi giorni, la repressione del governo Maduro contro chi protesta è durissima. Per capire meglio le ragioni di coloro che scendono in strada, abbiamo chiesto a sette venezuelani all’opposizione di raccontare, a partire da una foto di ciò che sta accadendo, drammi e disagi nel loro Paese
RRICARDO PADILLA È UNO STUDENTE di ingegneria all’Università cattolica di Caracas. Ha 19 anni. Assieme al suo amico Mattew, il 6 aprile va al corteo contro il governo di Nicolás Maduro, come migliaia di altri giovani. Alle tre del pomeriggio, l’aria si fa irrespirabile per il lancio di gas lacrimogeni. Decidono di tornare a casa, a piedi. La loro via crucis, racconta il giornale universitario, comincia 45 minuti dopo, quando una pattuglia della Guardia nazionale bolivariana li circonda, obbligandoli a consegnare i cellulari. Trovano le foto della protesta. Scatta l’arresto immediato. La sera stessa i due studenti vengono trasferiti, a volto coperto, nella sede dei servizi segreti, il famigerato Helicoide. Nelle celle c’è odore di marcio, girano scarafaggi e ratti. Ricardo racconta poi alla sorella Roxana, avvocato, di come li fanno inginocchiare e li picchiano ripetutamente sul corpo, ma non sul viso. Altri giovani vengono denudati e torturati con l’elettricità. Alle due di notte, Ricardo e Mattew sono trasferiti in un altro centro di detenzione. Ci resteranno a lungo. Ammanettati uno all’altro, possono andare in bagno solo due volte al giorno, insieme. L’accusa è di «turbativa dell’ordine pubblico». Ricardo ottiene la libertà condizionale ma l’ordine di scarcerazione viene firmato solo il 5 maggio. Ventinove giorni dietro le sbarre per aver partecipato a una manifestazione. Piccola storia di ordinaria repressione in Venezuela. Non la peggiore, ovviamente. Sono decine i giovani morti nelle strade dello Stato sudamericano da quando, il 1° aprile scorso, sono riprese le proteste contro il governo Maduro. La miccia è stata la decisione della Corte Suprema, poi ritirata, di avocare a sé i poteri del Parlamento, dove il fronte d’opposizione, Mesa de la Unidad Democratica, dalle elezioni del dicembre 2015 ha la maggioranza di due terzi.
Da allora, è una escalation di violenza e di arbitrarietà. Arresti senza mandato, giovani “desaparecidos” per giorni, bande paramilitari fuori controllo e molti civili finiti davanti ai tribunali militari, in spregio allo stato di diritto. I prigionieri politici, secondo la Ong Foro Penal Venezolano sono 186, di cui 101 arrestati durante le manifestazioni. Maduro grida (ancora) al complotto internazionale, tuona contro i deputati “fascisti”. Eppure i veri protagonisti di questi giorni di protesta e di sangue sono loro: ragazzi di vent’anni o poco più che hanno vissuto quasi tutta la vita con un governo “socialista bolivariano” e ora vogliono di più: libertà di parola e libertà dalla fame. Invece, la crisi continua a mordere, l’iperinflazione si mangia tutto, gli scaffali dei supermercati e delle
farmacie restano vuoti e il Venezuela sarebbe già economicamente morto se non ci fossero Cuba, Cina e Russia. Maduro è riuscito a sperperare ciò che c’era di buono nella “rivoluzione bolivariana” del suo predecessore e mentore: dal 1999 al 2013, anno della sua morte, Hugo Chávez ha cavalcato la retorica antistatunitense e imposto un rigido controllo dell’industria, ma con i proventi del petrolio ha anche ridotto la povertà, sradicato l’analfabetismo, garantito l’accesso alle cure mediche per tutti. Poi è venuto il crollo del prezzo del petrolio (dai 107 dollari del 2014 ai 30 del 2016). La pessima gestione monetaria e indu-
striale, l’inettitudine e la corruzione di chi ha ereditato le leve del potere hanno fatto il resto. Il risultato è un disastro economico. Oggi tutti, ricchi e poveri, fanno la “dieta Maduro” – 8,5 chili persi in media da ogni venezuelano nel 2016 – e perfino un’aspirina è un farmaco introvabile. La mortalità infantile è cresciuta del 30 per cento in un anno. Invece di correre ai ripari e accettare l’aiuto umanitario dall’estero, Maduro ha licenziato la ministra della Salute che ha osato divulgare i dati. Ora chiama a raccolta i fedelissimi per un’Assemblea costituente fatta «non dai politici ma dal popolo e dai settori sociali» che dovrebbe «portare a termine la rivoluzione». L’importante è prendere tempo, non andare al voto anticipato che chiede il Mud e forse rinviare anche le presidenziali del 2018. Ma i giovani non gli danno più tregua. «Davanti a ogni bomba lacrimogena, ci sarà uno studente in più nelle strade, lottando pacificamente per il cambiamento. Si se puede!», twitta instancabile Rafaela Requesens, leader dei giovani studenti dell’Università centrale del Venezuela, il principale ateneo del Paese.