Cosa ci fa alle Cinque Terre un milione di cinesi?
I 5 piccoli borghi liguri sono diventati la quarta meta turistica italiana, dopo le grandi città d’arte (Roma, Firenze, Venezia). Soprattutto tra gli orientali. Grazie alla moda, al passaparola, ai tour operator stranieri e ad alcuni gemellaggi azzeccati: tra una grande Muraglia e famosi muretti
ALL’INIZIO LI SCAMBIAVANO PER GIAPPONESI.
Poi si sono accorti che parlavano a voce alta, infilandosi da tutte le parti, tirando scemi i camerieri e gli addetti ai treni. Soprattutto erano troppi, sbucavano ovunque, protesi umane di smartphone. Come riescano a piombare sulle Cinque Terre centinaia di migliaia di cinesi, in tutte le stagioni, è uno degli strani effetti collaterali della globalizzazione. « Con la prospettiva che diventino già nei prossimi anni la prima nazionalità a raggiungere il milione di presenze all’anno», spiegano perplessi tra Monterosso e Riomaggiore. Ma attenzione, non siamo a Firenze e nemmeno a Venezia, dove pure gli allarmi sull’eccesso di turisti sono cronaca quotidiana. Nelle Cinque Terre, riviera ligure di Levante, una manciata di borghi schiacciati tra montagna e mare, vivono soltanto 3.600 anime. E quest’anno, si stima, riceveranno tre milioni di persone. È la moda del momento, dal Kansas a Shanghai, da Oslo a Seul. Facendo le proporzioni è come se a Roma arrivassero un paio di miliardi di persone. La formula magica, “numero chiuso”, rimbalza sui giornali da un paio di estati, ma nessuno sa esattamente come farlo. Ma poi conviene? E se l’incantesimo finisse da un giorno all’altro, e Vernazza e Manarola ritornassero luoghi per poeti, fricchettoni, tedeschi in sandali e pochi milanesi ad agosto che si conoscevano tutti?
COSÌ ERA DAVVERO FINO A POCHI ANNI FA.
Posti incantevoli, ma snobbati dagli habitués del Tigullio e i cumenda della Versilia (pur essendo a metà strada) e del tutto fuori rotta per il turismo straniero di massa. Ora che gli afrori dei noodles istantanei, gli spaghetti di riso precotti, si diffondono nei vicoli facendo a pugni con il profumo delle acciughe fritte, gli abitanti mugugnano un po’, da bravi liguri. Ma con l’aria che tira in Italia come lamentarsi di turisti che riempiono le stanze tra febbraio e marzo, garantiscono sempre il tutto esaurito e pagano con puntualità? « Non danno mai buca, non si lamentano di niente. Fanno un po’ chiasso, d’accordo, e hanno un concetto vago degli orari di check-out.
Ma i cinesi pagano solo con carte oro e platino. E in stanza mi lasciano le scatole vuote degli acquisti di Prada e Fendi, fatti a Milano», dice Alessandra Sassarini, affittacamere La Perla a Vernazza. « Altre volte», racconta un suo collega, « ci lasciano buste sottovuoto di zampe di gallina bollite, o fanno confusione sul corretto utilizzo del bidet. Ma non si può avere tutto».
ALLE CINQUE TERRE CHI COMANDA DAVVERO
e tiene la situazione sotto controllo è il Parco Nazionale, sorta
di governo locale. Le casse dell’ente sono riempite da 13 milioni di euro all’anno generati dalla vendita della
tesserina che dà accesso ai sentieri e al treno, mezzo principale per spostarsi tra i cinque paesi. Si narra che l’invasione abbia avuto origine da una idea un po’ audace, dieci anni fa, l’invenzione di un gemellaggio tra la muraglia cinese e i celebri muretti a secco delle Cinque Terre, quelli che da secoli sostengono le vigne. Entrambi sono siti Unesco. « Si stima che da noi ci sono, o c’erano, 8.000 chilometri di muri, quasi quanto laggiù», spiega il direttore Patrizio Scarpellini. L’idea, in Cina, piacque. Un paio di delegazioni liguri a fiere del turismo diedero una mano. Ma è probabile che la ragione vera del successo sia il passaparola e la moda, la frenesia che hanno i cinesi di rincorrere il tempo perduto, consumare e ostentare. « A volte siamo l’unico posto che visitano in Europa al di fuori delle grandi città», dice Luca Natale, responsabile comunicazione del Parco. « Milano per lo shopping, un giro obbligatorio a Parigi, Roma e Londra e poi Cinque Terre. I maggiori accessi al nostro sito web vengono da città cinesi. Ovviamente abbiamo dovuto tradurlo e mettere cartelli in mandarino lungo i percorsi, oltre ad assumere guide madrelingua». Da gennaio a marzo, in coincidenza con le festività del Capodanno cinese, l’80 per cento del turismo straniero è orientale. Tanto del mare, ai nuovi arrivati, importa poco. Con l’eccezione di pochi giovani occidentalizzati, d’estate e d’inverno i viaggiatori con gli occhi a mandorla si coprono da cima a piedi e usano la spiaggia solo come sfondo di foto. Il vecchio tabù secondo cui la pelle abbronzata è indice di fatica e raccolta del riso è duro a morire. Altro colpo di fortuna, perché le Cinque Terre di sabbia ne hanno davvero poca, né hanno bisogno di vendersi come località balneare. Capita pure, sotto la pioggerella incessante di marzo, di imbattersi in sontuose lune di miele di rampolli dell’impero celeste, con gli invitati spesati e le donne vestite di rosa attorno a una delle icone della zona, il faraglione di Fegina, a Monterosso. Sempre di fretta, come del resto molti che passano da qui. Nei cinque borghi ci sono soltanto 3.000 posti letto, in gran parte in case private.
Il grosso del turismo quindi è giornaliero. Centinaia di migliaia di visitatori mordi e fuggi sono scaricati dalle 200 navi da crociera che ogni anno attraccano al porto di La Spezia, un fenomeno relativamente nuovo, che ha portato folle e denari inaspettati, con un indotto che va da Pisa a Chiavari. L’Ente Parco non vuole il numero chiuso ma un sistema che prima dell’arrivo obblighi la gente a dividersi in modo omogeneo tra i cinque borghi, le stazioni ferroviarie e i sentieri che li collegano. « Non vogliamo respingere nessuno, sono sicuro che possiamo farcela» tiene a precisare il direttore Scarpellini.
PER GLI ESPERTI DI BRANDING,
di potenza del marchio, il caso è da manuale. “Cinqueterre”, mai tradotto e tutto attaccato, è il nome di pacchetti giapponesi che vanno da Nizza a Pisa, una settimana, e nei borghi ci passano appena un giorno. La rivista francese Geo di giugno ha uno speciale di 35 pagine su tutta la riviera ligure, da Ventimiglia a Sarzana. Il logo del servizio è però uno solo: Cinqueterre. Chissà a Genova come sono contenti. Negli Stati Uniti i tour operator le includono nei Best of Italy da nove giorni e persino nei massacranti Best
of Europe da quindici, mentre nessuno più si sogna di portar gente a Portofino o St. Tropez, come nel secolo scorso. Sfilano sotto i portici di Monterosso o nei caruggi di Manarola aitanti accompagnatori turistici con la bandierina ben issata, la cuffia-microfono con sistema wireless e la maglietta sudata con la scritta: “Italy’s Dream: Rome, Venice, Florence, Cinqueterre”. Anche da noi non si scherza quanto a forza del nome. L’Ente Parco ha dovuto far pressioni su un produttore di gocce oculari con “acqua di mare isotonica”, che in tv pubblicizza il liquido come proveniente dal “Parco marino delle Cinque Terre”. « In termini legali non c’è molto che abbiamo potuto fare», ammettono al Parco. Quella di certo è acqua con un po’ di sale, il resto è pubblicità. Ammesso che ce ne sia bisogno.
[...] Ombra e sole s’alternano/ per quelle fondi valli/ che si celano al mare,/ per le vie lastricate/ che vanno in su, fra campi di rose,/ pozzi e terre spaccate,/ costeggiando poderi e vigne chiuse./ In quell’arida terra il sole striscia/ sulle pietre come un serpe./ Il mare in certi giorni/ è un giardino fiorito. [...] ( Vincenzo Cardarelli, 1887-1959, Liguria)