«SPINTI DA UN BISOGNO EMOTIVO E VINCOLATI DA UN IMPERATIVO FAMILIARE, PRIMA O POI I “TERRONS EMIGRATI” TORNANO A CASA. QUELLA AL SUD»
I PRIMI ANNI CHE VIVEVO
a Milano non capivo per quale ragione chiunque mi chiedesse, dalla metà di marzo in poi, che programmi avessi per l’estate. Voglio dire, sono terrona (io posso dirlo, di essere “terrona”, per la stessa ragione antropologica per la quale i neri possono definirsi “nigger” e i grassi possono definirsi “grassi”), è ovvio che d’estate io faccia principalmente una cosa: tornare a casa. Come quasi tutti, infatti, immolo qualunque velleitario progetto vacanziero al solo scopo di trascorrere del tempo nel luogo che mi ha dato i natali, in compagnia di persone che amo e che non ho modo di frequentare negli altri periodi dell’anno. Premesso che ogni caso è diverso e che certamente esistono Terrons Snaturati che preferiscono il coast to coast degli States a un salutare arrosto di bombette a Cisternino, possiamo delineare tre profili umani principali. Partiamo dai Terrons Fondamentalisti, famosi per le loro posizioni estreme, come: «Perché dovrei pagare per il mare, quando a casa mia c’ho il mare più bellissimo del mondissimo?» (generalmente sono quelli che schifano profondamente la città che li ha accolti e nella quale lavorano, gli stessi che nel tempo libero coltivano il mito bucolico di un ritorno alle origini che, quasi certamente, non attueranno mai). Seguono i Terrons Moderati che dimostrano una lieve apertura pianificando gite di 2–3 giorni nei dintorni, comunque entro e non oltre i 100 km dalla città di origine (perché il Sud, se non altro, è bello – cosa dico, magnifico – e quindi merita d’essere visitato). Per ultimi, troviamo i Terrons Progressisti, addirittura inclini a concedere un “weekend lungo” a Formentera ai colleghi, oppure una “quasi settimana” in Grecia agli amici “di sù” (ça va sans dire, è esclusa qualunque destinazione che non contempli il mare, del tipo