Attenti! Tra loro di Richard Ford è un libro contagioso
IL PADRE DI RICHARD Ford era un commesso viaggiatore, un mestiere non senza conseguenze nella storia della letteratura e del teatro americano. Willy Loman, il protagonista del celeberrimo dramma
Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller, è stato il simbolo del rappresentante americano, dell’uomo on the road non per piacere e gusto del vagabondaggio come i personaggi di Kerouac, ma per necessità di sostentamento (e magari anche un po’ per un residuo dell’inquietudine che spingeva i padri fondatori del Paese alla ricerca di una frontiera sempre nuova, sempre più in là). Il padre di Richard Ford era «un bell’uomo dall’aria comune» che non coltivava smanie particolari. Il figlio lo spia nelle foto che gli sono rimaste di lui e si interroga sul mistero che è ogni padre. Si chiede come la gente lo vedeva. Un contadinotto? Un mammone? Uno dal poco coraggio? Alla fine per dire chi era si affida a uno che non sbaglia mai in materia: il padre di Ford era forse «come un personaggio al quale il grande Cechov attribuirebbe una vita interiore densa, anche se non necessariamente ricca». La cosa principale che il figlio scrittore dice del padre è che aveva un’indole collerica, ogni tanto dava di fuori. Ma gli passava abbastanza presto. Mentre leggevo il ritratto del genitore fatto da Ford in Tra loro ho pensato ai padri (veri o inventati) raccontati nella letteratura americana. Quello che mi è subito apparso in primo piano è stato il padre di Jay Gatsby nel capolavoro di Francis Scott Fitzgerald. Quell’omino che arriva al castello principesco del figlio dopo che questi era stato assassinato. Il padre di
Gatsby conserva tra le sue memorie più sacre il foglietto in cui il figlio da ragazzo aveva tracciato il piano d’azione della sua vita, le cose da imparare, il kit della sua realizzazione, il suo volli, fortissimamente volli diventare il grande Gatsby. È una scena bellissima che stringe il cuore e svela il faticoso backstage di quel favoloso gangster all’inseguimento per tutta la sua esistenza di un sogno romantico. Avrete capito che siamo lontani per atmosfera, sentimento e ispirazione dal racconto di Ford e di questo non si può dare la colpa a Ford. Lui fa del suo meglio. Rievoca l’incapacità manuale del padre. Conclude che non era un padre moderno, che «sembrava venuto da un altro luogo e da un altro tempo lontano», che non giocava a baseball. Ford rievoca anche sua madre. Ricorda le due occasioni in cui il padre e la madre litigarono davanti a lui. Una volta perché uno dei due voleva andare a bere un altro bicchiere (ci davano dentro) e l’altro voleva tornare in albergo. La seconda volta perché lui (il padre) aveva invitato gente a casa senza dirlo a lei. Dopo le liti non seguivano strascichi, rancori, tornava subito il sereno. Ford ricorda che, dopo la lite per il party all’insaputa della madre, andarono a letto tutt’e tre (il piccolo Richard dormiva nel lettone con i genitori) e, più tardi nella notte, il padre si mise a piangere: «Buu-uu-uuu. Buu-uu-uu». Lo scrittore commenta: «I suoni che emetteva erano questi, come se avesse imparato a piangere leggendolo su un libro». I genitori di Ford avevano solo lui (figlio unico tardivo) e lo amarono. Questa è la conclusione del libro ed è una giusta e bella conclusione. Ma il libro poteva essere più bello. Ford è sempre troppo quaresimale, non si concede mai fino in fondo (ma c’è il fondo?). Ovviamente il libro è contagioso: ricordo che mio padre diceva parabrise per parabrezza, come nelle canzoni di Paolo Conte.