Gli imprevisti a volte si prendono la scena
Il lungo applauso a Eliette von Karajan superò quello tributato al marito. All’Arena un bimbo fece la pipì sul kimono durante Butterfly. Uno sparo a salve ferì Cavaradossi. Ecco quello che succede sul palco o nei camerini
CI SONO LE PECORELLE del cartoon Wallace e Gromit ghiotte di bottoni degli smoking e il treno dei melo-babbani al Festival di Glyndebourne; veleggiavano le sciarpe in chiffon rosso di Eliette von Karajan per dare lo start a Salisburgo. E on
the stage Puccini è il più tartassato: in Tosca il tenore è impallinato da finti plotoni d’esecuzione e fanciulli incontinenti mettono a dura prova il suicidio di Butterfly. Certo che se parliamo di festival lirici, tutto assume sfumature da melodram
ma. Sfumature come quelle di un’alba londinese d’inizio estate. Ecco un gruppo di babbani (i non maghi in harrypotterese) melomani, a caccia del binario giusto. Non è King’s Cross, da dove si parte per Hogwarts ma Liverpool Station in attesa del treno per Glyndebourne. Il Festival lirico nell’Essex più snobbish al mondo. A vederli con divise e bagagli sembrano proprio i maghetti alla ricerca del binario 9 e ¾. Ma per i melo-babbani, smoking e abito lungo, ceste da picnic e borse
frigo con argenteria e teglie in pyrex con roast beef rosa pastello e mosaici di sandwich al cetriolo e al salmone; champagne e pimm’s. Se a Glyndebourne vuoi andare questa è la via più breve da adottare. Là ogni opera è di durata pari al Tristano di Wagner: il sipario si alza nel primo pomeriggio e cala la notte, intervallo di quasi due ore proprio per l’atteso
picnic sull’erba. E che fai se il tuo cesto da picnic non l’hai? Una volta giunto a Glyndebourne dopo ore di treno, sfoderi l’incontrovertibile fascino da maschio latino, come ha fatto il sottoscritto, seduci la compassata fanciulla del ristorante e ottieni l’ultimo cesto imboscato. Il rito avrà luogo in un immenso prato dove pascolano greggi di pecorelle. Ai tavolini preferisco l’opzione: “dîner sur l’erbe”. Il butler mi consiglia un fazzoletto di prato defilato rispetto alla staccionata di recinzione. All’interno vi saltellano ebefrenici i cloni di Shaun, la pecora Suffolk venuta alla ribalta con il cartoon Wallace e Gromit: leggende melo-metropolitane narrano di melo-babbani sedot-
ti da quel saltellare, rimetterci non solo i cucumber
sandwich, pure i bottoni degli smoking tra le fauci degli animaletti.
DURANTE IL REGNO FESTIVALIERO di Herbert von Karajan a Salisburgo a essere a rischio non erano gli abiti ma la pazienza. Eliette, sua consorte, ogni sera indossava su un lungo abito nero, una sciarpa di chiffon di colore acceso. La tratteneva con la mano mentre fendeva l’aria, in modo risultasse evidente il suo diamante taglio navette lungo come il Britannia. Giungeva nella Grosses Festspielhaus al suo posto in prima fila con studiato ritardo. Seguiva il marito sul podio. Eliette riceveva gli ospiti del consorte nel camerino; poi con comodo li accompagnava a sedersi. Accadde che una sera… L’usuale ritardo diventa ritardissimo. La porticina sulla destra della sala si schiude, la sciarpa rosso fuoco di Frau Karajan appare. Lei avanza alla testa degli ospiti. Silenzio glaciale. Poi timido, un applauso di sfottò diventa
ovazione. Più lunga di quella poi tributata al marito. Non si scompone si rialza e benedice.
PRENDIAMO I FATTI PER LE PUNTE. Quelle delle bacchette dei direttori d’orchestra. Come quella eccellente di Riccardo Muti. Il Festival di Ravenna, sua città d’adozione, quest’anno si chiude con l’arrivo delle punte tersicoree di Svetlana Zakharova, in attesa di non incappare di nuovo in “punte”, ma di bacchette d’orchestra, pericolose. A fine agosto sarà la volta della prestigiosa terza edizione di Ita
lian Opera Academy, master class ideate da Muti come talent scouting di giovani direttori d’orchestra e cantanti, attraverso la preparazione di un’opera, quest’anno Aida di Verdi. Nel 2016, Traviata. Durante una lettura d’orchestra, Muti prende a prestito la bacchetta di una sua giovane allieva per “chiarirle” gli attacchi. Il Maestro dà energia all’orchestra e la bacchetta in prestito, troppo lunga e troppo aguzza, gli ferisce una mano. Il sangue zampilla, Muti non si scompone. Panico tra i leggii e sul volto della ragazza. Il celebre sguardo incenerente del Maestro, rivolto verso l’orchestra non permette l’interruzione. Autoironico commenta: « Anche senza bacchetta e direttore d’orchestra l’opera va avanti » . Ma a lui è bastato lo sguardo; alla giovane allieva un cordiale antisvenimento. Problemi di bacchette invece Valery Gergiev, eminenza grigia del regno culturale di Putin, non ne ha. Dirige con una sorta di “quel che resta di una bacchetta”, non più lunga di una matita da disegno. Il problema è la sua gestione del tempo. Sembra il Bianconiglio di Alice. Sempre di corsa. E come lo intervisti? Vai a un festival, quello di Verbier e per quasi 24 ore lo rincorri autogestendoti per le montagne svizzere. Alla fine, la sera, prima di un concerto, sotto la pioggia battente su un fuoristrada da sbarco in Normandia gli fai le domande più disparate. Lui amabilissimo risponde come se prendessimo un tea all’Ermitage.
NESSUNO È ESENTE DA PAGAR DAZIO. Pure le ugole d’oro. Nel 1974 al Festival di Orange Montserrat Caballé rischiò durante Norma di Bellini di lasciare la scena vuota: il coro invoca la sacerdotessa, ma lei non c’è. Panico. I volti riprendono colore quando a pochi istanti dal recitativo Montserrat appare. Il soprano spagnolo era rimasto prigioniero nell’a-
Muti si ferisce la mano mentre dirige. Non si scompone. Poi commenta: « Anche senza bacchetta e direttore d’orchestra, l’opera va avanti »
scensore montacarichi per le continue chiamate memorizzate. Aveva sbloccato il tutto l’intervento di un direttore di scena: si schiudono le porte, la vede, blocca l’ascensore e la spinge in scena. Caballé impassibile. Lo è stata pure Oksana Dyka all’Arena di Verona, versione Butterfly quando ha dovuto affrontare l’incontinenza infantile del bimbo interprete del figlio di Cio Cio San. Lo ricorda Paolo Gavazzeni, regista e responsabile programmazione Sky Classica, per un lustro alla direzione artistica del festival areniano. « Nella grande scena del suicidio entra il bimbo. Si avvicina a Oksana e le bisbiglia: “Mi scappa la pipì”. Il soprano ha continuato a cantare mentre il bimbo si liberava dalle impellenze sulla seta del kimono. Nessuno se ne è accorto. Un
successo ». Di arena in arena, lo Sferisterio di Macerata. Qui si ricorda nel 1995 il “tentato” omicidio di Fabio Armiliato. Il tenore veste i panni di Cavaradossi in Tosca di Puccini. Nella scena finale un proiettile a salve con troppa cera lo ferisce realmente. Ma a essere portato d’urgenza in ospedale per un collasso è l’armiere che si era occupato dei fucili. Ancora Macerata: Raina Kabaivanska è Violetta in Traviata di Bolognini, costumi di Piero Tosi e pellicce di Fendi. Qui a rischio la voce della diva e i reumi degli spettatori per escursione termica notturna. «Addio del passato» intona la peccatrice redenta di Verdi & Dumas. Ma in platea il pubblico la invidia. Non per la morte, ma per la meravigliosa pelliccia su cui canta sdraiata. L’umidità è altissima, è mezzanotte. Ci stringiamo gli uni agli altri. Lo scialle in cashmere di una cara amica mi da più conforto di Alfredo a Violetta. A Pesaro, al Rossini Opera Festival a metter a dura prova interpreti e spettatori è il caldo. Nel 1986 la riscoperta di Bianca e Falliero con Ricciarelli & Horne. Prima della recita le dive fanno annunciare: aria condizionata spenta, si rischia l’afonia, ventagli e programmi di sala requisiti, se sventolati distraggono. Due signore presenzialiste minacciano i danni. «Se con sto caldo sudiamo e roviniamo lo chemisier, gli mando il conto della tintoria», commenta convinta una delle due. L’altra concorda. Come sarebbe stata felice l’ironia di Novello se al suo tempo ci fossero stati anche i festival.