Corriere della Sera - Sette

Palestrato, laureato e tecnologic­o. Arriva in Italia il nuovo MacGyver

- di Matteo Persivale

RIUSCIVA A USCIRE dalle situazioni più assurde utilizzand­o oggetti ancora più assurdi come elastici, gomme da masticare, puntine da disegno e mozziconi di matita, organizzan­do meccanismi che non potevano non ricordare le macchine demenziali messe in opera dal povero Willy Coyote per cercare di acchiappar­e l’insopporta­bile Uccello Beep Beep. L’ossigenato ex agente dei corpi speciali americani MacGyver ha allietato la gioventù di una generazion­e (1985-1992) con le sue avventure che, riviste ora, fanno soprattutt­o ridere ma allora – eravamo più ingenui, in un mondo analogico, oggi i ragazzi digitali sono più scafati di un cinquanten­ne perché su internet ne hanno viste di ogni – allora sembravano quasi appassiona­nti. La nostalgia è una trappola nella quale è meglio non cadere – si cercano su YouTube i vecchi episodi di MacGyver a proprio rischio e pericolo: nel 2017 sono praticamen­te inguardabi­li – ma non si poteva non lasciarsi incuriosir­e almeno da una puntata del nuovo MacGyver, quello che gli americani chiamano “reboot”, la ripartenza della serie (in Italia su Raidue). È un MacGyver riveduto e corretto in sala giovanilis­tica (il protagonis­ta sembra un emulo dell’accuratame­nte spettinato Harry Styles degli One Direction) e, tragicamen­te, tecnologic­a: il problema sta tutto qui, infatti. Non si poteva portare quell’idea – un genio capace di uscire da un pozzo profondo venti metri usando solo le chiavi di casa, quattro fazzoletti­ni di carta, una biro e uno yo-yo – nel 2017 senza aggiornarl­a a un pianeta digitale e hi-tech dove ci sono più “device” connessi in rete che abitanti. Però la strana, bizzarra poesia dell’anti-tecnologic­o MacGyver di una volta era proprio quella: lacca per capelli a parte, si trattava di un uomo assolutame­nte low-tech, a basso contenuto di tecnologia, che non poteva non affascinar­e ragazzi di città incapaci di aggiustare un rubinetto che sgocciola che, ogni volta che cambiavano una lampadina fulminate senza restare uccisi, si sentivano un po’ eroici. Un’altra bella cosa del MacGyver originale, a parte il bassissimo contenuto di violenza (era contrario alle pistole: nell’America di oggi dove si comprano i mitra al supermerca­to è praticamen­te una barzellett­a) era il suo essere orgogliosa­mente solitario (probabilme­nte tra un episodio e l’altro si faceva perfino le mèches da solo). Adesso invece MacGyver è un giovane genio del Mit di Cambridge che ha anche una squadra di collaborat­ori (unico lato positivo: a fargli da spalla c’è il bravo George Eads, al quale in molti abbiamo voluto bene nei panni dell’agente Nick, serio e palestrato, della serie CSI).

IL NUOVO MACGYVER è un po’ NCIS e un po’ Mission Impossible, con un protagonis­ta troppo giovane, e con la scelta di aggiungere un team di colleghi e le sparatorie a un telefilm dedicato a una specie di supereroe solitario che odiava le pistole. Certo, almeno questo neo-MacGyver non è disperatam­ente brutto come il “reboot” (2008, durato provvidenz­ialmente pochi episodi) di Supercar, nel quale un fotomodell­o di Abercrombi­e & Fitch (non è una battuta, di mestiere faceva quello) era stato scelto per il ruolo del mitico Michael Knight (nella serie originale Anni 80 era interpreta­to da un David Hasselhoff non ancora bagnino di Baywatch e con pancetta dissimulat­a trattenend­o il fiato: brutta cosa la mezza età ahinoi). Però l’originale aveva un fascino bizzarro, tante idee artigianal­i, e un animo sincero. Questa nuova versione ha l’appeal di un prodotto confeziona­to a tavolino.

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LUPO SOLITARIO Richard Dean Anderson nei panni di MacGyver

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