Milano, acqua d’estate
Pochi bambini e molti nonni. Pochi carboidrati e molti cellulari. All’Idroscalo, dove l’accento dell’est si confonde con le vocali della Brianza, si ritrova il capoluogo lombardo in tutte le sue sfaccettature. Esibizionismi e generosità, vip o presunti ta
E POI, A UN TRATTO, TUTTO DIVENTA GIALLOROSA. Il tramonto è delicato e inaspettato come sanno esserlo i tramonti lombardi: sfumature color tuorlo d’uovo sull’azzurro bruno dell’acqua. E pensare che siamo all’Idroscalo, periferia est, l’aeroporto di Linate da una parte e, dall’altra, le palazzine di Segrate. In mezzo, quello che gli irriducibili chiamano «il mare di Milano» e i detrattori « el fontanin », lo stagno. Eppure ci sarebbe una definizione più adatta per questo bacino artificiale lungo oltre due chilometri e mezzo e circondato da un grande parco con spiagge, boschi e spazi per lo sport: «città d’acqua». Un po’ perché la brutta mitologia dell’Idroscalo come regno degli sbandati e dei guardoni è finita da tempo: la Città Metropolitana di Milano e il direttore Alberto Di Cataldo curano puntigliosamente la pulizia (anche con l’aiuto di alcuni detenuti) e impongono norme rigorose, a cominciare dal divieto tassativo di barbecue selvaggio. Ma c’è un altro motivo, più sottile: poco avvezzi al mare e soprattutto innamorati della propria città, i milanesi qui, negli anni, hanno finito per ricreare una versione anfibia del capoluogo. Una metropoli in miniatura, con pregi e difetti, che realizza il sogno inconfessato di ogni autentico devoto di Milano: una settimana d’estate in città ma senza lavoro né auto. E possibilmente con libertà di pedalino.
È UNA QUESTIONE non da poco. Infatti, non appena si varca la soglia della spiaggia libera, quella più popolare e frequentata, la media dei pedalini avvistati supera quella delle bandane (ormai debellate, più o meno come le zanzare) e quella prudenza podologica, quell’attenzione alla pelle che sennò si coeus al sol, cioè si scotta al sole, quel vivere l’estate a Protezione 50+ è uno dei ritratti naturali più autentici e commoventi dei milanesi veri (insieme al maglioncino adagiato sulle spalle nelle sere primaverili sui Navigli).
Che bellezza. E la spiaggia libera, che si snoda sotto le piscine di Punta dell’Est, sembra una riproduzione in scala del nuovo ceto medio milanese. Tante donne solitarie perse nelle cuffiette, magre e con discreti tatuaggi alla caviglia; capelli in ordine, costumi sobri. Una ragazza dal seno piccolo azzarda un topless che però veste bene questa spiaggia, non stona. E l’accento dell’est si confonde con le vocali dilatate della Brianza; coppie snelle e silenziose, divise da un libro (avvistati un Faletti e un Baudelaire); pochi bambini; molti nonni; molti cellula- ri; pochi carboidrati. Ma poi si arriva alla striscia d’acqua balneabile, tenuta sotto controllo da tre bagnini, tra i quali il veterano Alberto Gandaglia, uno che si è fatto «l’Argelati, il Lido e chissà quanti altri bagni in città», elenca da sotto gli occhiali scuri. Alberto ne ha viste di ogni. Perché i milanesi nuotano a modo loro, almeno il milanese da Idroscalo. Quelli che insistono a « noà a per
teghetta », a stile libero; quelli che a tutti i costi si deve « fà l’anedin », cioè nuotano con i piedi tenendo immobili le mani; e poi ci sono quelli che « saltan-dent a fà la span-
sciada », cioè si buttano mandando avanti la pancia. Una creatività natatoria che fa il paio con le manifestazioni tipo il Fuorisalone, dove affiora tutta la stravaganza (geniale) di una città, unica in questo genere. Poi però quando fanno sport, i milanesi fanno sul serio. Maledettamente sul serio. Si va dal gioco delle carte su tavolini ripiegabili fino al canottaggio e allo sci d’acqua. Puntuali, tenaci, competitivi, come conferma Diego Fedele, titolare del Beach Milano Serenella, una delle spiagge private. Un ampio fazzoletto di verde con lettini, ombrelloni, isole di
gazebo con cuscini. Musica lounge, uva ghiacciata. La media di orologi costosi al polso e di tablet ultimo modello aumenta sensibilmente, anche se la spiaggia libera è praticamente al confine e il profumo delle schiscette (merende portate da casa) al di là della rete si sente fin qui. Ma siamo nella “zona Corso Como” dell’Idroscalo, una delle aree vip, nonostante i prezzi contenuti: 7 euro per ombrellone e lettino nel fine settimana, tutto il giorno. E, come a riflettere una nuova sobrietà che probabilmente da qualche anno ha cambiato le abitudini delle zone più alla moda della città, qui è inutile cercare i cliché: niente gente da Suv, niente esibizionismi gratuiti o toni alti al cellulare.
IL LUSSO RITROVATO è tranquillità, spazi tra un lettino e un altro, giornali, riviste. Pochissimo botox, piuttosto prevale la semplicità come quella indossata da Nadia Abate, commercialista che abita in centro e che viene all’Idroscalo per «preservare l’abbronzatura e per leggere in santa pace». Poi, proseguendo verso sud est, all’altezza del bosco attrezzato, l’antica istituzione della famiglia si sfalda in una galassia di micropianeti: piccoli nuclei di italiani, raccolti intorno al cocomero, isole di musulmani con le donne velate, ampie cuginanze di latini. Ciascuno con la propria italianità da amalgamare in un unico luogo virtuale: Instagram. Tutti all’Idroscalo fanno foto a tutto: alle sculture d’artista che Di Cataldo ha disseminato a mo’ di museo diffuso, ai lucci che affiorano dall’acqua, ai gonfiabili giganteschi per bambini, ai canoisti e a quelli che guidano droni. Le “nuove famiglie” sfrecciano sui pattini o sulla pista ciclabile:
padri con un solo figlio, mamme rassodate dalla palestra. Giovanissimi con il reggaeton nelle cuffie. Ma la città in miniatura non è finita. Tornando verso il punto di partenza, c’è un microcosmo che racchiude un aspetto meno conosciuto ma significativo della milanesità: un maneggio dove l’associazione Giacche Verdi Onlus insegna a grandi e piccoli (anche a bambini con difficoltà) ad andare a cavallo. Il gran coeur di Milano si ritrova in questo mare urbano, in apparenza distante ma molto più vicino alla città di quanto si creda. Non solo perché ha fatto da teatro a grandi film (come Rocco e i suoi
fratelli di Luchino Visconti) e a canzoni ( El portava i scarp del
tennis, di Enzo Jannacci). Ma anche perché continua a cambiare insieme a Milano. Come un alter ego acquatico.