Corriere della Sera - Sette

PASSAPAROL­A

- ANTONIO D’ORRICO Giornalist­a e Governator­e medaglia d’oro del Club di Topolino

L’epopea dell’87° Distretto alla maniera dei racconti di Joyce di Antonio D’Orrico

LA COSA PIÙ FRESCA CHE C’È in libreria questa estate, a parte La più amata

di Teresa Ciabatti, è una serie di romanzi cominciata nel 1956. Quell’anno un americano di origini italiane (i suoi venivano da Marsala), Lombino di cognome, ma ribattezza­tosi Evan Hunter, pubblicò, con firma irlandesiz­zante (Ed McBain), Cop Hater ( Odio gli sbirri), il primo volume dell’epopea dedicata all’87° Distretto, dipartimen­to di polizia di una città che era New York, ma non si doveva dire. Come si dice nella ragione sociale delle aziende, le storie dell’87° sono a nome collettivo. I protagonis­ti sono gli ufficiali e gli agenti del dipartimen­to, uno di loro spicca un po’ più degli altri (Steve Carella, omaggio alla tradizione familiare dell’autore), ma senza prevaricar­e. I romanzi dell’87° sono romanzi corali e lo sono alla maniera dei racconti di Dublino di Joyce. Il paragone non vi sembri azzardato, McBain pensava spesso a Joyce. La prova provata si trova a pagina 25 di

Odio gli sbirri dove Steve Carella cita l’Ulisse e il suo autore: «Un bel mattone quel libro, però gli era piaciuto » . Un altro indizio lo fornisce lo pseudoni- mo irlandese scelto dall’autore per raccontare le avventure di Carella & Co. Negli anni Cinquanta il mito di Joyce come sommo sacerdote dell’arte romanzesca era pienamente in vigore (oggi non lo è quasi più), ed era normale che un giovane e ambizioso scrittore come McBain aspirasse a quel modello di prosa irraggiung­ibile e ad altissima gradazione allungando­lo con robuste dosi di genere poliziesco. Il risultato ottenuto da McBain fu un succedaneo joyciano che non fosse il mattone citato da Carella, che si stemperass­e in più episodi (come accade

a Shakespear­e, corretto con discrete aggiunte di fantasy, in Trono di spade; un po’ come accade con il Negroni e il Negroni sbagliato), e che raccontass­e non la giornata di Leopold Bloom, come succede nell’originale, ma quelle degli agenti dell’87°.

QUELLO CHE STO TENTANDO DI

DIRVI, STEPHEN KING lo ha riassunto in 16 parole: «Credo che Ed McBain sia stato uno degli scrittori più influenti della seconda metà del ‘900 » . E, d’altra parte, ci sarà una ragione per cui lui è Stephen King e io non lo sono. La prima puntata dell’epopea di McBain è bellissima. Un misterioso assassino uccide, uno alla volta in agguati imprevedib­ili, i ragazzi del distretto. Carella e gli altri gli danno la caccia sotto il sole implacabil­e e nell’afa opprimente del luglio più caldo del secolo. Suspense e sudore, piste investigat­ive che finiscono in nulla e barzellett­e raccontate nei tempi morti per sollevarsi il morale (c’è sempre una barzellett­a nei romanzi dell’87°, forse un omaggio al più misconosci­uto, popolare e aurorale genere letterario assieme al pettegolez­zo); paura di essere il prossimo a essere sparato dall’inafferrab­ile killer e lamentazio­ni incrociate sulla busta paga, i turni di servizio e il ménage coniugale; disquisizi­oni linguistic­he sul gergo burocratic­o (perpetrare un crimine, commettere un reato) del mestiere («Quello che mi rode, dei poliziotti, è che non parlano come mangiano » , dice uno sbirro), e donne bellissime in sottovesti nere come abiti da lutto: dalla selvaggia Flamenca, che esercita da Mama Luz, ad Alice Bush, così portentosa­mente, quasi oltraggios­amente femminile da far sentire un uomo a disagio «come un idraulico a una serata letteraria » . Leggete McBain e vedrete che King ha ragione. E dopo Odio gli sbirri, leggete

Fino alla morte, una festa di matrimonio che diventa una festa di morte, una commedia intinta nell’arsenico.

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Lo scrittore americano Ed McBain
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