VIDEOCRAZIA
Ventidue anni dopo non c’è Larry, ma torna O. J. di Matteo Persivale
UNO DEI VANTAGGI – o degli svantaggi, in questo caso – di avere la tv via satellite in redazione, nel 1995, era quello di poter seguire in diretta le breaking news della giornata. Per noi che lavoravamo agli Esteri, al Corriere, la tv era sintonizzata su un canale solo: la Cnn. Buona parte della storia di quegli anni, prima di Internet e YouTube e tutto il resto, l’ho vista in diretta alla Cnn, seguendo gli approfondimenti con le interviste del giornalista bretellato (allora) più famoso del mondo: Larry King. Un ricordo particolarmente vivo – non perché mi interessasse granché ma perché davvero la copertura era maniacale – è quello del processo (durato 10 mesi) a O. J. Simpson, il campione di football americano accusato di aver ucciso l’ex moglie e un amico di lei che incredibilmente fu assolto nonostante la montagna di prove, Dna compreso, a suo carico.
ECCO PERCHÉ la settimana scorsa non potevo non seguire – questa volta non su un televisore a tubo catodico, ma da un iPhone 7 tramite la app di YouTube – la diretta dell’udienza sulla concessione della libertà condizionale a Simpson, che 10 anni fa era stato condannato per una rapina a mano armata (aveva rubato delle maglie e altri trofei a un collezionista, dicendo di esserne il legittimo proprietario). A 22 anni di distanza non è cambiato solo il medium di tramissione della diretta: siamo cambiati tutti noi. Io adesso sono un signore di mezza età che tiene famiglia e non si capacita di non vedere più nello specchio il ragazzo che nel 1995 guardava la Cnn e sognava di fare l’inviato. Mentre Simpson – allora un 47enne con i capelli neri e il fisico da atleta – oggi è il fantasma, gonfio e con i capelli radi e bianchi e gli occhi quasi introvabili nel faccione, dell’uomo di un tempo. Anche la tv non è più la stessa: i “rulli” della Fox americana (avevo scelto la diretta sulla stazione locale di Phoenix, con pubblicità di resort nel deserto e casino indiani) facevano scorrere le altre notizie del giorno, perché ormai il multitasking è la nostra religione. La Fox è sempre la Fox, in America, ad altissimo contenuto trumpiano. E non poteva mancare il collegamento con il loro commentatore di vicende giudiziarie: non un osservatore disinteressato, ma il poliziotto razzista, Mark Fuhrman, che aveva fatto deragliare l’edificio probatorio costruito dall’accusa quando emersero nastri registrati nei quali si vantava con linguaggio discriminatorio di pestare neri e inventare prove fasulle contro di loro (Fuhrman nel 1995 aveva giurato il falso e alla fine invocò il quinto emendamento della Costituzione per evitare il carcere; la settimana scorsa criticava Simpson chiamandolo bugiardo).
LA DIRETTA È DURATA DUE ORE, con la commissione sulla libertà condizionale in primo piano (uno dei commissari aveva un cravattone della sua squadra di football del cuore: scelta bizzarra vista la vecchia professione di Simpson) e qualche inquadratura sull’ex campione. Non so se tra qualche anno ricorderò la voce roca con cui Simpson ha ringraziato per la concessione della libertà condizionale (dal 1° ottobre). Però non dimenticherò il signore con i baffi – uguale a 22 anni fa – con cui la Fox si è collegata alla fine del programma: Fred Goldman, il papà di Ron, massacrato a 25 anni con l’ex moglie
di Simpson. Che – con ammirevole calma nonostante il dolore infinito che gli si leggeva negli occhi – ha definito Simpson «un criminale, uno che picchiava la moglie, un assassino». E ha fatto una pausa, per dare più enfasi o forse per il nodo alla gola. A quel punto ho chiuso la app di YouTube, ho messo in carica il telefono, e sono uscito di casa.