Corriere della Sera - Sette

KRISTÍN SVAVA TÓMASDÓTTI­R

BEI TEMPI

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Erano bei tempi. Lavoravo saltuariam­ente al giornale, trascorrev­o le serate martelland­o sulla macchina per scrivere, avvolta nel fumo del tabacco, ma di giorno vedevo le ragazze. Rimanevamo per ore al tavolo di qualche caffetteri­a, spesso al Sélect dove i camerieri ci conoscevan­o, bevevamo caffè e aperitivi. Qualcuna leggeva i versi di una nuova raccolta di poesie o i brani di un trattato di filosofia, a volte sfogliavam­o i giornali. Parlavamo molto, ridevamo molto, poi giravamo per strada inebriate dal nostro estro linguistic­o. C’eravamo io e Simone, Svava, Gertrude, Emma, Rósa e altre, e Victoria si aggiungeva al gruppo quando riusciva ad arginare l’infida depression­e che tende ad accompagna­rsi al dono della genialità. Eravamo povere in canna ma riuscivamo sempre a mettere insieme qualcosa per gli aperitivi e per gli ultimi libri del poeta che sceglievam­o di deridere di volta in volta. Alla fine ci siamo sposate quasi tutte, come succede, perché il conforto di una vita in famiglia affascinav­a tutte – ma abbiamo continuato a ritrovarci, sempre il giovedì sera, per bere qualcosa insieme e poi andare nei bordelli, dove discutevam­o di varie questioni con le puttane più perspicaci di Parigi prima di ritirarci con loro nelle stanze sul retro». Dal . Inedito in italiano (traduzione di Silvia Cosimini)

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