MANO LIBERA
Serve un medico a Bolzano! Che parli tedesco o che parli italiano
«SPRACHGRUPPENZU-GEHÖRIGKEITSERKLÄRUNG» .
Già la definizione in tedesco (36 lettere: tre in più dell’impossibile “supercalifragilistichespiralidoso”) ha spaventato per decenni gli altoatesini di lingua italiana obbligati alla “dichiarazione d’appartenenza linguistica”. Quella che consentiva all’amministrazione provinciale autonoma di ripartire poi le quote di posti pubblici tra italiani, tedeschi e ladini.
Gli archivi conservano ritagli incredibili: qui la bocciatura di un formidabile otorino italiano perché il posto toccava a un tedesco,
lì la bocciatura di un bravissimo cardiologo tedesco perché il posto toccava a un italiano. Follie. Avrà dunque sorriso da lassù Alex Langer quando, giorni fa, la Provincia si è rassegnata ad assumere «in deroga» una cinquantina di medici italiani a Bolzano e un’altra decina a Brunico (dove i candidati erano al 100% italiani) perché non c’erano abbastanza dottori di lingua tedesca in grado di far fronte alle esigenze del sistema sanitario locale. Scelta analoga per decine di infermieri. «Puro buon senso», sorride Arnold Tribus, storico direttore del quotidiano Tageszeitung. «La gente era esasperata per alcune cose che proprio non funzionavano: meglio un internista italiano che un internista inesistente». Certo, chi non sa il tedesco deve sgobbare e studiare per superare entro due anni l’esame per il patentino, pena la scadenza automatica del contratto. La svolta, però, è epocale.
Il palazzo della Provincia autonoma di Bolzano. Gli altoatesini di lingua tedesca sono il 69,41%, italiana il 26,06, ladina il 4,53%
LANGER, SCRITTORE, GIORNALISTA,
ambientalista, fondatore e anima dei Verdi-Grünen italiani ed europei che prima di gettare la spugna vent’anni fa appeso a un albicocco sui colli fiorentini, colmo di delusione e di amarezza, fu infatti il primo obiettore a rifiutarsi di dichiarare la propria appartenenza etnica. Quelle regole così rigide sulle quote, lui che si sentiva europeo, non le poteva sopportare. Il capo carismatico dei sudtirolesi Silvius Magnago, però, non cambiò mai idea: «La proporzionale è stata una sacrosanta riparazione ai torti che ci aveva fatto il fascismo. Può darsi che alcuni meccanismi troppo rigidi vadano ritoccati. Può darsi. Ma noi dovevamo risanare una situazione compromessa, ripristinando un rapporto equilibrato, nella società, tra i tedeschi e gli italiani».
DIFFICILE DARGLI TORTO.
Come riassumono Luisa Righi e Stefan Wallisch nel libro I perché dell’Alto Adige. Capire una terra particolare, gli altoatesini di lingua tedesca sono oggi il 69,41%, italiana il 26,06%, ladina il 4,53%, non tutti sono bilingue e «alcuni hanno grosse difficoltà a esprimersi nell’altra lingua. In moltissime famiglie si parla solo una lingua e i bambini apprendono la seconda a scuola». Ma ognuno ha diritto giustamente a «usare la propria madrelingua in luoghi pubblici quali uffici, ospedali, tribunale o questura». Bene: anche se rappresentavano i due terzi della popolazione, nel 1972 i sudtirolesi di lingua tedesca avevano solo una piccola minoranza
(il 9%) degli impieghi pubblici e una fetta ancora più piccola (il 5%) delle case popolari edificate dopo il 1935. Fu perciò un atto di giustizia, e va riconosciuto, tentare di ribaltare una situazione spesso prepotente a favore degli italiani. Le ultime assunzioni “fuori quota” dicono che l’obiettivo è stato evidentemente in gran parte raggiunto. E, al di là delle pretestuose polemiche di Eva Klotz, è una buona notizia anche per i sudtirolesi tedeschi.