A LOS ALAMOS 72 ANNI DOPOLE BOMBE
Di qui, nel 1945, uscirono gli ordigni atomici: al progetto lavorava anche Enrico Fermi. Oggi i suoi eredi italiani sono una quindicina. E studiano energie alternative e vaccini per l’Hiv
FINO AL 1957 LOS ALAMOS
« era una città chiusa. Questo era il cancello per entrarci: ci vivevano solo gli addetti al laboratorio e le famiglie». Oggi, invece, posso entrarci anche io. Siamo davanti alla guardiola di Los Alamos, un luogo diventato storico: di qui sono uscite le due bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki, rispettivamente il 6 e 9 agosto 1945. A parlare con me sono Elena Giorgi e Cristiano Nisoli, due scienziati italiani. Da dieci anni vivono e lavorano qui, in questa sperduta cittadina del New Mexico. Lei matematica e biologa, lui fisico, entrambi sulla quarantina, molto simpatici. Saranno loro a farmi da guida a Los Alamos, 72 anni dopo le bombe.
«OGNI ANNO, PER L’ANNIVERSARIO,
vengono qui a protestare contro le armi nucleari un po’ di pacifisti: molti sono ex hippy reduci degli anni Sessanta», spiega Nisoli. «Ma qui a Los Alamos facciamo ricerca di base su molti altri problemi, non di tipo militare: energie alternative, global warming, nanotecnologie per la salute. Ma lo sanno in pochi». Lo sanno in pochi, in realtà, anche perché parlare con gli scienziati del Los Alamos Natio
nal Laboratory (Lanl) è difficilissimo. Io ci ho impiegato cinque settimane di trattative: ho dovuto telefonare e spedire email decine di volte, inviare varie copie del passaporto e della green card (il permesso di residenza negli Usa), e persino mandare il mio curriculum dagli Anni 90! Poi, prima dell’ok definitivo, l’ufficio competente mi
ha chiesto di confermare che non avrei violato le leggi americane sull’esportazione di materiale nucleare o sul traffico internazionale di armi. E comunque, anche dopo avere assicurato di non voler carpire segreti da passare a nemici qualsivoglia, i laboratori veri e propri restano top secret. Nessuno può entrarci. Proprio come ai tempi di Enrico Fermi, l’italiano Nobel per la Fisica che lavorò qui dal 1944 al 1945 sul progetto dell’atomica. Oggi, mentre la Corea del Nord lancia missili di prova e prepara il sesto test nucleare, il mondo sembra di nuovo a rischio di conflitti atomici. Cosa fanno a Los Alamos? Chi sono i nuovi scienziati italiani?
LA PRIMA MISSIONE DEL LABORATORIO
resta mantenere efficiente l’arsenale nucleare Usa, come deterrente. Gli italiani sono una quindicina, ammessi dopo una dura selezione nella Mecca della fisica. Ma com’è la vita qui? «Se cerchi una vita sociale, diventi infelice: i giovani si trovano male, perché non c’è una piazza, un bar, dove bere un caffè con gli amici la sera. I pochi locali chiudono alle otto», racconta Giorgi, laureata a Pisa, con due master e un dottorato americani, due figli. «Ma se ami stare all’aria aperta, questo è un posto ideale», si inserisce il collega Nisoli. «Mi muovo una o anche due ore al giorno: corro, vado in bici, scio e arrampico in montagna, come la maggioranza dei miei colleghi. E Los Alamos, per me, è uno spazio quasi metafisico». Il paesaggio, in effetti, è surreale e poetico: ha ispirato pittori come Georgia O’Keeffe e scrittori come D.H. Lawrence a trasferirsi nel New Mexico, uno degli stati meno popolati e più estesi degli Usa, chiamato non a caso “la terra incantata”. Il laboratorio è stato costruito qui perché isolato da tutto, abbarbicato com’è su canyon spettacolari. Anche Elena e Cristiano coltivano una vena artistica. Al lavoro ricercano un vaccino contro il virus Hiv, la causa dell’Aids, ma fuori lei scrive gialli a sfondo scientifico e lui coltiva una passione per i capolavori antichi, che gli ha permesso anche di inventare nuovi materiali. «Il protagonista dei miei gialli», racconta lei, «è un detective con un Dna speciale che potenzia il suo olfatto e la sua vista. Ma ha anche un carattere piuttosto sciovinista. Un tipo d’uomo, cioè, con cui ho sempre avuto a che fare, fin dai tempi dell’università italiana. Non ho voluto una donna come eroina delle mie storie: le super
women non le trovo realistiche. Anche qui in America, dove c’è molta attenzione alla parità, spesso sono la
sola scienziata alle riunioni». Eppure c’è una donna, l’immunologa Bette Korber, a capo del suo gruppo di lavoro. «L’approccio è interdisciplinare, fra biologia, matematica e fisica: il virus Hiv cambia da persona a persona. Ci vorrebbe un vaccino diverso per ognuno ma è impossibile. Noi riassumiamo con un algoritmo le caratteristiche di mezzo milione di virus identificati nella nostra banca dati, ottenendo due o tre virus utili per creare un vaccino “mosaico” efficace per tutti». Il primo prodotto inventato in questo modo da Korber nel 2006 è ora nella prima fase di sperimentazione. E i primi risultati sono molto promettenti.
IL CONCETTO DI MOSAICO
ricorre anche nella ricerca di Nisoli. «La mia educazione da liceo classico italiano mi aiuta», sottolinea lo scienziato, laureato a Milano e con un dottorato Usa, tre figlie. «Proprio da una visita ai mosaici di Ravenna mi è venuta l’idea dei nuovi materiali per cui sono conosciuto. Osservando i disegni di Sant’Apollinare in classe ho pensato a una geometria alternativa a quella fino ad allora usata per creare nanomagneti artificiali». Un’azienda texana di Austin pensa di poter usare questi nuovi materiali per la refrigerazione magnetica. «Ma la più interessante, per me, fra le loro applicazioni», continua Nisoli, «è che consentono un nuovo modo di programmare i computer, oltre il paradigma di Turing, quello tuttora usato per esempio in un iPhone. L’idea è far funzionare i computer come funziona il cervello umano, molto più velocemente di adesso. È la nuova frontiera della computazione neuro-morfica, basata sulla memoria».
L’EMOZIONE DI LOS ALAMOS STA
anche nei suoi luoghi storici. Come il Fuller Lodge, dove concludiamo la nostra visita. È la mensa dove mangiava Enrico Fermi, cinquanta e più anni fa. «Per me lui è sempre stato fonte d’ispirazione», sospira Nisoli. «Era uno scienziato a tutto tondo e orientato al risultato, un grande teorico e insieme uno sperimentatore». E i suoi eredi Giorgi e Nisoli, penso io congedandomi, fanno onore all’Italia anche in tempo di pace.