Avevate considerato il triangolo Hemingway, Fitzgerald e Zelda?
UNA VOLTA LE COSE ERANO SEM
PLICI: o stavi con Ernest Hemingway o con Francis Scott Fitzgerald. E non era solo una questione di gusti letterari, erano due diverse scuole di pensiero e di vita, due visioni del mondo. Io, tanto per complicarmi l’esistenza, stavo sia con Hemingway sia con Fitzgerald e, tra me e me, mi dilaniavo. Su Scott Fitzgerald sono stati pubblicati almeno cento libri e più di diecimila saggi universitari dedicati all’uomo e allo scrittore, «alle sue opere e alla moglie folle». E chissà quanti altri volumi sarebbero stati scritti su di lui se non fosse morto alcolizzato a quarantaquattro anni. Ora John Grisham ha scritto il centounesimo, o giù di lì, libro sullo scrittore ( Il caso Fitzgerald), che è un romanzo d’azione (ma anche un gesto di devozione, un omaggio affettuoso) in cui una banda di balordi ruba, a Princeton, i manoscritti di Di qua dal paradiso, Belli e dannati, Il grande Gatsby, Tenera è la notte e Gli ultimi fuochi. A spingerli non è l’amore per Fitzgerald, ma la concreta possibilità di ricavare diversi milioni di dollari dalla vendita dei cimeli a un collezionista senza scrupoli. Il colpo è raccontato da Grisham con maestria secondo l’infallibile e adrenalico copione delle rapine a orologeria. Poi lo scenario cambia e ci troviamo in un elegante posto di mare in Florida dove trascorre il tempo, tra pettegolezzi, drink e stesure di opere, una colonia variopinta di scrittori. Grisham ne approfitta per fare un po’ di antropologia sulla figura del letterato: «Certi scrittori sono affabulatori esperti, con un arsenale inesauribile di aneddoti, battute e freddure. Altri sono anime asociali e introverse, che si affannano nei loro mondi solitari e faticano a stare in mezzo agli altri».
Tanto per fare qualche esempio: Tom Wolfe, Andrea Camilleri, Mario Soldati, Mimì Rea, Saul Bellow e Gaetano Savatteri apparterebbero al primo gruppo; Italo Calvino, J.D. Salinger, Anna Maria Ortese, Cornell Woolrich, Carlo Emilio Gadda e Elena Ferrante militerebbero nel secondo gruppo. L’ultimo romanzo di Grisham è senza dubbio un giallo, però è pure una dichiarazione d’amore alla letteratura. A un certo punto c’è anche una specie di biblioteca ideale dell’autore. Ne fanno parte Comma 22 di Heller,
Il nudo e il morto di Mailer, Corri, Coniglio di Updike, Uomo Invisibile di Ellison, L’uomo che andava al cinema
di Percy, Goodbye, Columbus di Roth, Le confessioni di Nat Turner di Styron, Il falco maltese di Hammett, A sangue freddo di Capote e Il giovane Holden di Salinger. Direte che la lista è molto americana, ma è Grisham che è molto americano. E lo dimostra dedicando un cameo al libro e allo scrittore più amati dagli americani della sua generazione (e non solo): «Provo a immaginare come si sentisse J.D. Salinger nel 1951, quando uscì questo, il suo primo romanzo. Aveva pubblicato qualche racconto, un paio sul New Yorker, ma non era famoso». Quel libro, Il giovane Holden, vende ancora oggi un milione di copie l’anno ed è tradotto in sessantacinque lingue. È quello di Holden Caulfield il grande romanzo americano che tutti gli scrittori statunitensi hanno sognato di scrivere. Salinger l’ha fatto.
A IMPREZIOSIRE Il caso Fitzgerald c’è uno scoop. Accanto alla storia gialla, corre una storia d’amore, anzi la storia del tradimento di un amico. I personaggi implicati sono Hemingway e Francis e Zelda Scott Fitzgerald. Non è una storia vera, ma stringe il cuore come se lo fosse. Leggete questo romanzo perché Grisham onora come sempre il suo mestiere. Stavolta fa anche qualcosa di più.