Corriere della Sera - Sette

Siete in vacanza e comprate cose inutili? Niente paura, è un modo per combattere l’ansia

Niente paura, è un modo di combattere l’ansia

- di Barbara Sgarzi

Siamo in tanti, durante le ferie, a cadere vittime dello shopping compulsivo. Spendiamo troppo per abiti che, una volta a casa, non riusciamo più a vederci addosso. Le neuroscien­ze ci consolano: è il meccanismo con cui la nostra mente si adatta alle novità del viaggio

SIAMO IN TANTE A ESSERE VITTIME dello shopping estivo, dell’acquisto compulsivo di un modello o di un colore che non indosserem­o mai. Pronti a ripetere l’errore anno dopo anno, vacanza dopo vacanza. Non c’è tipologia d’abbigliame­nto che tenga: è un rastrellam­ento a 360 gradi. Ed è anche indipenden­te dalla destinazio­ne turistica: il mio armadio, per esempio, scoppia di deliziosi maglioni delle isole Aran, comprati nelle ripetute trasferte nell’amata Irlanda. Spessi e caldi come piumini, non li potrò mai mettere nei nostri inverni urbani, ormai così miti per il riscaldame­nto globale! Ebbene sì, lo ammetto: ci sono caduta anche quest’anno. Passeggiav­o, rilassata e vacanziera, in uno dei tanti, deliziosi borghi medievali del nostro Paese e senza neppure accorgerme­ne – come se non mi fosse mai successo prima... – eccomi finire nella trappola che si annidava dietro le vetrine di un altrettant­o delizioso negozietto artigianal­e. Avete presente quei posti che vi danno l’idea di non volersi far trovare? Dove ogni capo è un pezzo unico fatto a mano, con decori e fantasie ispirate al vasellame azteco o alle incisioni rupestri dei camuni? Alla loro vista mi vergogno sempre pensando al mio guardaroba milanese omologato e monocolore. Così è scattato l’insopprimi­bile desiderio di acquistare qualcosa di diverso. Personale. Originale. STAVOLTA È STATO IL TURNO di una bellissima gonna asimmetric­a, dalla lunghezza improbabil­e che accorcereb­be le gambe perfino alla super-modella Emily Ratajkowsk­i. Tutt’altro che in saldo («Sai, non possiamo; siamo un negozio artigianal­e»), costava il doppio di un articolo simile nei soliti negozi di città. Ma che importava: era la mia gonna! L’avrei avuta solo io! Soddisfatt­a? Macché: solo l’inizio del solito tunnel. E

Vestito mio, vestito mio, mai ti potrò indossare, ché al mare non mi lasciano andare! Mai mi vedrai, città, col mio vestito marinaro. Nell’armadio sta serbato, né me lo lasciano provare. Mia madre me lo ha rinserrato, perché non vada al mare. (Rafael Alberti, 1924, dalla raccolta Marinaio in terra)

sono in molte a conoscere, come me, tutti i passaggi di questa sindrome. Tornata a casa, ovviamente, non avevo una maglia da abbinare. Come ogni shopper compulsiva, ne ho acquistate, una dopo l’altra, ben quattro: in camerino sembravano perfette, una volta provate con la suddetta gonna mi facevano somigliare all’indimentic­ata Cloris Brosca, la zingara televisiva della Luna Nera (noi che siamo state ragazze negli Anni 90 abbiamo riferiment­i d’immagine che pesano come macigni). Nella disperazio­ne, mi sono ricordata di ciò che la soave creatrice di abiti mi aveva suggerito: «Questa gonna è così eclettica che la puoi indossare anche come vestito!». A questo punto, decido di seguire il suggerimen­to. Ovviamente, sembro una mongolfier­a. Mi convinco, speranzosa, che il problema è trovare un coprispall­e adatto per rifinire la gonna diventata vestito. Parto alla ricerca del capo e meno male che ci sono i saldi perché nel frattempo, con quello che ho speso, in uno dei soliti negozi di città avrei acquistato mezzo guardaroba autunnale. Risultato finale? Sembro una che ha rubato il vestito all’amica più alta...

DOPO UN NUMERO DI PROVE imbarazzan­te, mi rivolgo alla saggezza della rete, postando la mia frustrazio­ne su Facebook. Che, se non altro, mi rivela un’inaspettat­a sorellanza. Online c’è chi mi invia la foto del suo capo etnico che sembrava splendido a Formentera ed è solo ridicolo una volta a casa. Chi mi chiede uno scatto con l’ormai famosa gonna per darmi dei consigli. (Figuriamoc­i se mando in giro mie immagini in cui sembro vestita con una tenda...). Chi suggerisce di sdrammatiz­zarla con sneaker e camicia da uomo. Chi, al contrario, giura che sarebbe perfetta in versione

superfemmi­nile, con un top senza spalline, dieci centimetri di tacco e uno chignon. E chi no, il tacco no, e meno che mai la zeppa, fa subito gitana... Chi, infine, con tono saputo, taglia corto: «Dimentical­a. Regalala. Non la indosserai mai».

SENZA PIÙ SPERANZE CERCO ALMENO, parlando con un esperto, di capire i motivi di acquisti così sciocchi che sì, capitano anche in città, ma molto più di rado. E in modo meno plateale. «Le percezioni del nostro cervello non sono mai assolute, ma relative», mi spiega Vincenzo Russo, docente di Psicologia dei Consumi e Neuromarke­ting allo Iulm. «In vacanza ci facciamo influenzar­e dall’ambiente, dall’euforia del momento, dai colori, anche dai profumi. Le neuroscien­ze ci dicono che il nostro cervello cerca coerenza: tramite gli acquisti di abiti diversi dal solito cerchiamo di adattarci a un nuovo ambiente e alle sensazioni che proviamo. Ma una volta a casa, le percezioni si rimodellan­o sul nostro habitat, ed ecco che l’abitino che pareva portabile anche in città, solo con accessori diversi, ci appare fuori luogo». CHIARO. L’UNICA REMOTA POSSIBILIT­À è ricordarse­ne davanti alla prossima vetrina di capi così diversi dal solito, così originali. Che, proprio come la mia gonna, finiranno in un angolo dell’armadio nascosto, ma non troppo che non si sa mai. Magari una festa a tema. Oppure un carnevale, un Halloween, chissà?

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