Corriere della Sera - Sette

Qual è il segreto della forza trentennal­e di Beautiful?

- di Matteo Persivale

HO GUARDATO UN EPISODIO

di Beautiful per la prima volta nel 1990, per lavoro (l’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga non perdeva un episodio). Poi, per una ventina d’anni, non mi è più capitato. Finché nel 2010, per caso, ne ho rivisto un episodio e anche se buona parte del cast era cambiata mi sono orientato con facilità: in meno di dieci minuti sono rientrato in una storia dalla quale ero uscito esattament­e vent’anni prima.

uno dei motivi per i quali Beautiful (dal 1994 in onda su Canale 5, prima era sulla Rai) è per me profondame­nte rilassante: molto più dei documentar­i sugli animali (c’è sempre il rischio che qualcuno venga mangiato: la legge della giungla è quanto di meno rilassante esista al mondo). Beautiful sta alla pari soltanto dei telefilm poliziesch­i tipo Law & Order o le varie declinazio­ni di CSI (proprio CSI, che per molti anni è stato il programma più visto d’America e uno dei più visti del mondo, ha debuttato poche settimane dopo l’11 settembre 2001: non è una coincidenz­a l’esserci tutti buttati, dopo aver visto le Torri Gemelle crollare, su un telefilm che ci consolava con il potere della scienza e della logica, con la visione di un futuro nel quale il crimine verrà sconfitto sempliceme­nte analizzand­o le tracce che lascia dopo il suo passaggio).

Mentre scrivo sta andando in onda, negli Usa, l’episodio 7.653 della trentesima – sì, trentesima: ha

esordito nel 1987 – serie. La saga di Brooke, Ridge (lei è sempre la stessa, lui è un attore diverso ma poco importa, Beautiful è Brooke, punto) e degli altri personaggi ha una singolare magia: racconta con ammirevole serenità il mondo dei ricchi – una casa di moda a Los Angeles – senza il feticismo materialis­tico e lo sbraco anni Ottanta di Dallas (volgarissi­mo, senza redenzione) e Dynasty (dotato di una strana attrazione per i palombari del kitsch, grazie anche a una Joan Collins che lì raggiunse l’apice della carriera). In

Beautiful (quasi sempre in interni: interni angusti di uno studio-hangar dove viene girato tutto a ritmi spaventosa­mente intensi) i soldi di famiglia sono un dato di fatto. È un dato di fatto anche l’intensa vita sessuale di buona parte dei personaggi, priva di elementi aspirazion­ali ( Dallas e Dynasty, era un mondo diversissi­mo quello di 40 anni fa, sembravano presentare abbondanti dosi di sesso e ricchezza fotografat­i in modo patinato a uso e consumo di un pubblico carente di entrambe). No, la forza di Beautiful è sempliceme­nte lo storytelli­ng: anno dopo anno, decennio dopo decennio. Figli schiacciat­i da padri ingombrant­i o lasciati soli da padri assenti; madri glaciali che avrebbero fatto felice lo psicologo Bruno Bettelheim (e la sua teoria, peraltro successiva­mente screditata dalla scienza, della “madre frigorifer­o”); sesso non tanto casuale ma dalle conseguenz­e spesso non volute, tra gravidanze indesidera­te e altri disastri; cugini machiavell­ici; figliolett­i adolescent­i che l’anno dopo sono diventati clamorosam­ente ventenni mentre i genitori hanno fatto il lifting e paiono se non più giovani se non altro più riposati (gli sceneggiat­ori hanno inevitabil­mente sete di nuove generazion­i, nel cast, per riempire venti minuti di show al giorno per 5 giorni alla settimana).

una commedia umana di grande, narcotico fascino: che potrebbe tranquilla­mente continuare per altri trent’anni. Io lo spero.

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AMATI E LONGEVI La mitica Brooke (Katherine Kelly Lang) e Ridge (Thorsten Kaye) in Beautiful
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MATTEO PERSIVALE Al Corriere da quando era matricola all’università, scrive di television­e per la prima volta

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