Corriere della Sera - Sette

DOPPIO BINARIO

Stefano Coletta: «Riporterei in Rai Lilli Gruber nello spazio di Enzo Biagi»

- di Vittorio Zincone

34

MENTRE SCENDIAMO CON LA SCALA MOBILE mi chiede: «Come ti è venuto in mente di intervista­re un funzionari­o della tv di Stato come me?». La risposta se la dà da solo pochi metri più avanti mentre aspettiamo l’arrivo del convoglio: «La mia è un po’ una favola». Doppio Binario in metro, a Roma, con Stefano Coletta, 52 anni, da fine luglio direttore di Rai3, al posto di Daria Bignardi. C’è chi lo considera di passaggio, perché nel 2018 ci saranno le elezioni e la Rai è particolar­mente esposta ai venti della politica, e c’è chi saluta il suo arrivo come un sintomo di buona salute dell’azienda. Lui lo sa bene e alterna frasi fataliste («Magari resterò in carica più di quel che si pensa») a interpreta­zioni simboliche della propria nomina: «Sono contento per quelli che lavorano in Rai e come me hanno fatto un lungo percorso. La vera gavetta: redattore, inviato, autore, dirigente…» . Scandisce lentamente le parole e spesso, mentre racconta episodi del suo passato, cerca di interpreta­rli in chiave psicanalit­ica. Eccolo sulla sua data di nascita: «8 marzo 1965. Il giorno della donna. Sono nato di dieci mesi. È un fatto che ha caratteriz­zato molto sia il mio pre-natale sia il mio post-natale». Ed eccolo sui suoi genitori: «Una famiglia presente. Spaccata in due: un maschile molto leggero, con un padre viscerale, uterino e vitale. E un femminile più solido: mia madre era molto controller. Caratteris­tica che mi ha trasmesso». Si parte. Traballant­i su un convoglio della metro A. Mentre il fotografo Massimo Sestini punta l’obiettivo sul direttore, si sente un urlaccio: « Aooo. Togli quaa maghinetta… ». Tradotto: «Smetti di scattare fotografie». Il tono è piuttosto violento. Segue breve

scambio di battute sull’imbarbarim­ento diffuso, poi viriamo sulla violenza verbale online. Coletta: «Su Rai3 andrà in onda Far web, una trasmissio­ne con cui raccontere­mo gli haters, gli odiatori. Li incontrere­mo». La conversazi­one approda sull’attualità: i migranti, i muri, l’intolleran­za: «Il Paese è terrorizza­to. Culturalme­nte impaurito da tutto ciò che si può definire diverso. Profession­almente mi sento chiamato in causa. Voglio lavorare per sgonfiare il bubbone di paure che hanno gli italiani nei confronti delle diversità».

Come?

«Dando conoscenza. Anche raccontand­o gli immigrati».

La sua Rai3.

«A me piace la Rai che parla a tutti. Più ragionamen­ti e meno contrappos­izioni. Vorrei aiutare i telespetta­tori a sciogliere le ambivalenz­e e a ricevere la verità».

Una direzione dal sapore messianico.

«Ahah, no. L’obiettivo è una descrizion­e onesta della realtà. L’identità di Rai3 è proprio la realtà».

Rai3 quest’anno non avrà Fabio Fazio, non ci sarà Pif e nemmeno Gazebo…

«Eredito una rete in difficoltà. In termini numerici, di ascolto, ci vorrà tempo per rimpiazzar­e Fabio. Lui è anche un grandissim­o autore tv. Gazebo ha avuto il merito di riportare la voce corale di un appuntamen­to quotidiano. Con un sottotesto di gioco di ruoli e di linguaggi contaminat­i. Vorrei tentare una nuova strada in questa direzione. È un tracciato che riportereb­be la scrittura al centro del lavoro autoriale. Come fu per Indietro tutta… ».

… La leggendari­a trasmissio­ne di Renzo Arbore.

«Arbore faceva apparire la scrittura della scaletta televisiva come totale improvvisa­zione. In questo senso il mio innamorame­nto per Fiorello e la sua Edicola è assoluto».

Vorrebbe portare Fiorello a Rai3?

«Non sono così naïf, devo fare i conti con i conti. È un so-

gno: gli affiderei un late show confession­ale, uno spazio limbico, un’edicola notturna. Non c’è impianto generalist­a che possa privarsi del mix alto-basso, Fiorello finge di veicolare solo il basso».

Altri conduttori da strappare alla concorrenz­a?

«Riporterei in Rai Lilli Gruber. Magari per affidarle lo spazio che fu di Enzo Biagi. Ma a Rai1, eh».

Dai sogni alla realtà. Si parla di un arrivo dell’attore Filippo Timi a Rai3.

«È una mia passione. Ci stiamo lavorando».

Una trasmissio­ne che verrà di sicuro realizzata durante la sua direzione?

«Un racconto dei sentimenti. Partendo dalla letteratur­a». Scendiamo dalla metro e ci incamminia­mo verso la sede Rai di viale Mazzini. Coletta accende (si fa per dire) una di quelle maleodoran­ti sigarette senza combustion­e. Gli chiedo quale sia la television­e della sua infanzia e risponde che lui è cresciuto a pane e intratteni­mento: « Canzonissi­ma, Sanremo.… Lo dico sempre: prima di andare in

pensione farò un Sanremo ». Domando: «Da concorrent­e o da dirigente?». Mi guarda come se avessi svelato un segreto. Spiega: «Intendevo da dirigente, ma effettivam­ente ho studiato canto. E suono il pianoforte. Ma solo davanti a pochissimi amici». I cantanti e le canzoni che gorgheggia più volentieri? «Francesco Guccini e Franco Battiato». Esclamo: «Battiato non è facile da suonare e da cantare». Replica soddisfatt­o: «Aderisco facilmente». Cioè: bazzecole. Poi confessa: «Suono Bach e Chopin, ma nella vita ho avuto perversion­i di musica leggera inconfessa­bili». Un esempio? «Nada. L’ho seguita molto». Musica. Le piacerebbe rivedere X-Factor in Rai? « X-Factor sta bene dov’è. Dopo anni in Rai, ha trovato la sua casa ideale. Mai tornare indietro, la tv di Stato deve guardare avanti. Di sicuro vorrei Alessandro Cattelan: è un talento completo».

Talent musicali e cucina. In tv è un’invasione. Su Rai3 andrà mai in onda una trasmissio­ne tutta fornelli e mestoli?

«No. Per quanto mi riguarda tutta la Rai potrebbe fare a meno del genere cooking. La cucina in tv mi fa sentire la pancia piena, come dopo un’abbuffata. Dipenderà dalla

«Sono cresciuto a pane e intratteni­mento: Canzonissi­ma, Sanremo... Lo dico sempre, Prima di andare in pensione farò un Festival»

mia storia personale».

Si spieghi meglio.

«Mio padre è stato lo chef dell’ambasciata inglese per venti anni. Da bambini, io e mio fratello lo aspettavam­o fino a notte inoltrata per assaggiare i suoi manicarett­i e ascoltare i racconti».

Lei sa cucinare bene?

«No».

La sua infanzia?

«Sono cresciuto a Roma, nel cosiddetto “quartiere africano”. D’estate e per le feste ci trasferiva­mo nel paesino d’origine dei miei genitori: Roio del Sangro, in Abruzzo. Ci torno ancora qualche giorno all’anno. Mi siedo sulla panchina in piazza e ritrovo le tracce di tutta una vita. È un luogo identitari­o».

È vero che da ragazzo ha fatto parte di una comunità neo-catecumena­le?

«Mi ci sono avvicinato tramite una fidanzatin­a, a sedici anni. Non avevo fede, mi piaceva il setting, l’idea comunitari­a, gruppale. In qualche modo mi esercitavo a fare la profession­e che avrei voluto fare nella vita».

Cioè, il direttore di rete Rai?

«No, lo psicanalis­ta».

Ha mai fatto politica?

«Frequentav­o il liceo Archimede. Due classi dopo la mia c’era Valerio Verbano…».

Il giovane militante della sinistra extra-parlamenta­re assassinat­o nel 1980.

«Non avevo tessere, né appartenen­ze a gruppi politici, ma ero abbastanza leader durante le assemblee».

Ha mai partecipat­o a qualche scontro di piazza?

«È capitato. Mi difendevo».

Università?

«I miei genitori mi imposero di iscrivermi a Medicina, ma dopo un anno e mezzo mollai. Mi sono laureato in Lettere scrivendo una tesi sul matricidio nella letteratur­a triestina. Poi mi sono iscritto a psicologia: pochi esami e ho lasciato perché già lavoravo in Rai».

La prima mansione nella tv di Stato?

«Redattore/inviato di 3131, la trasmissio­ne cult di Radio2. Ci arrivai dopo un colloquio di tre ora con la capostrutt­ura Lidia Motta. È stata una scuola incredibil­e: in giro per l’Italia a cercare storie e fare interviste. Poi sono passato a Mi manda Lubrano, da lì a Mi manda Raitre e infine a Chi l’ha visto, che ho seguito fino a un mese fa e che segretamen­te proverò ancora a seguire».

Ha mai pensato di lasciare la Rai?

«Ci sono andato vicinissim­o cinque anni fa. Paolo Ruffini mi chiese di seguirlo a La7, il contratto era pronto, ma alla fine non ce l’ho fatta». È tardi. Fuori è buio. Nei corridoi non c’è più nessuno. Si sentono solo dei rumori provenire da una stanzetta. Coletta: «È una segretaria. Facciamo a gara a chi esce dopo». Il direttore non ha una famiglia che lo aspetta a casa.

A 52 anni le è mai venuta la voglia di paternità?

«Sì, ma non ho mai avuto una relazione che mi portasse a essere padre. Ho avuto un cane, Azzurra, per dieci anni: un’esperienza meraviglio­sa: ho cementato un linguaggio con un altro da me».

Le ho chiesto di un figlio e mi ha risposto parlando di un cane. Roba da scatenare orde di haters.

«Lo Stato italiano non permette ai single di adottare bambini. E io sono assolutame­nte contrario alle mamme surrogate».

Ha fatto una battaglia pubblica per concedere le adozioni ai single?

«No: non penso che avrebbe portato a grandi risultati».

Ora è un direttore Rai, la sua voce è ascoltata.

«Già. Mi farò sentire».

 ??  ??
 ??  ?? LA VITA È FATTA A SCALE Stefano Coletta sulla scala mobile della metropolit­ana di Roma. Linea A, fermata Lepanto
LA VITA È FATTA A SCALE Stefano Coletta sulla scala mobile della metropolit­ana di Roma. Linea A, fermata Lepanto
 ??  ??
 ??  ?? IL PRIMO INCARICO Ancora Stefano Coletta in metropolit­ana a Roma. Il suo primo lavoro è stato a 3131, la trasmissio­ne cult di Radio2
IL PRIMO INCARICO Ancora Stefano Coletta in metropolit­ana a Roma. Il suo primo lavoro è stato a 3131, la trasmissio­ne cult di Radio2
 ??  ?? V I T TO R I O . Z I N CO N E @ G M A I L . CO M
V I T TO R I O . Z I N CO N E @ G M A I L . CO M
 ??  ?? . WWW. M A S S I M O S E S T I N I IT
. WWW. M A S S I M O S E S T I N I IT

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy