NUOVA ACCOGLIENZA
Tabiano è un centro termale tra i più noti d’Italia. Oggi lotta contro la crisi e fa i conti con l’immigrazione. Una rivoluzione che ha stravolto questo piccolo mondo antico emiliano e coinvolge anche la vicina Salsomaggiore. Siamo andati negli alberghi c
46 Terme, migranti e malinconie
TABIANO TERME
In una afosa mattinata di fine agosto Tabiano Terme si presenta come un paradosso. Ha qualcosa di grazioso e spettrale insieme. Il silenzio è rotto dal canto dei grilli e da poche automobili di passaggio. Sulla via principale ci sono alberghi, tre e quattro stelle, uno dietro l’altro. Hanno giardini curati e fioriti, insegne che propongono “Pensione completa, piscina riscaldata, solarium”. Si chiamano Impero, Ducale, Quisisana: nomi certificato di un passato glorioso. Le tante stanze con le tapparelle abbassate e le poche macchine nei parcheggi, invece, rivelano un presente incerto. Tabiano è un paese di 500 anime, frazione di Salsomaggiore, provincia di Parma. Un punto tra le colline morbide che portano all’Appennino. Terre di cibo buono, arie verdiane, benessere, ricordi. La città vanta un castello, ma è nota soprattutto per le acque termali sulfuree, tra le più efficaci che si conoscano. Un toccasana per le malattie della pelle e le vie respiratorie. Da tempo, però, la macchina termale del miracolo si è inceppata e Tabiano pare lo specchio dei problemi italiani dell’ulti-
mo decennio. La crisi economica, il declino di un certo turismo, la difficoltà di un certo welfare, l’asfissia fiscale delle piccole imprese. E, in ultimo, su tutto questo, l’immigrazione.
A PRIMA VISTA,
non si può dire che a Tabiano sia in corso un’emergenza, come in altre zone d’Italia. Tra le strade e i portici del paese si incontrano piccoli gruppi di ragazzi africani: chi chiacchiera sulle panchine del parco, chi va in bicicletta, chi passeggia. Qualcuno scambia parole e sorrisi con qualche abitante. La fotografia di una convivenza pacifica? Purtroppo, non è così. L’accoglienza dei migranti ha rotto gli equilibri di una comunità in cui quasi ogni famiglia possiede un al- bergo. Un posto «dove ci si conosce uno a uno, come i chicchi di riso», ci dice una giovane residente. Da due anni alcuni hotel, preoccupati dal calo continuo delle presenze, si sono riconvertiti in “Cas”: Centri di Accoglienza Straordinaria affidati a privati, scelti dalle prefetture attraverso bandi pubblici o chiamata diretta. I profughi si fermano qui in attesa che la loro richiesta di protezione internazionale venga valutata dalla commissione territoriale. Prima un albergo, poi due alberghi. Oggi sono quattro e ospitano 150 migranti. Anche Salsomaggiore, poco distante, accoglie una settantina di migranti, spartiti in due strutture. Questa cittadina di 16.000 abitanti è nota per il concorso di Miss Italia, ora trasferito altrove: oggi rimane solo qualche
adesivo sulle bacheche pubblicitarie. Le dinamiche sono le stesse, ma qui l’immigrazione è meno problematica. A Tabiano, l’albergatore che ha lottato per portare avanti, tra molte difficoltà, la tradizione del turismo termale, si sente tradito. I colleghi, a suo giudizio, hanno provocato un danno doppio. Hanno smesso di difendere un settore che è parte dell’identità di queste terre e hanno allontanato i turisti. Qui arrivano soprattutto famiglie e pensionati. Non gradiscono il bivacco, pur contenuto, dei migranti in paese. Anche se, a detta di tutti, «nessuno dei nuovi arrivati ha mai dato problemi».
TRA I PIONIERI DELL’ERA
dei Centri di Accoglienza Straordinaria c’è Corrado Finocchi, 71 anni, titolare dell’Hotel Villa Bianca. Una quarantina di camere, bel pergolato, proprio di fronte alle terme, da cui arrivano zaffate di zolfo. «Questo posto l’ho tirato su io 46 anni fa: è stato, ed è, la mia vita», ripete più volte durante il nostro incontro. «Negli ultimi dieci anni le presenze sono colate a picco. Avevo speso 100.000 euro per rimodernare l’albergo, renderlo appetibile a una clientela sempre più esigente», spiega. Nelle aree comuni il tempo sembra fermo agli anni d’oro: divanetti in velluto, giornali e riviste sui tavolini, sala da pranzo con tovaglie a scacchi. Un piccolo mondo antico dove è arrivata una grande novità: 24 ragazzi, quasi tutti ventenni, provenienti da Africa e Bangladesh. Alle pareti, le proposte di escursioni per famiglie sono state sostituite da regolamenti: in inglese, francese, arabo. L’atmosfera sembra serena. La mattina un mediatore culturale dà lezioni di italiano, in quella che era la sala delle prime colazioni. Il pomeriggio chi ha un lavoro ci va; chi non ce l’ha, lo cerca. La sera si rientra e c’è l’obbligo di firma. A aiutare Corrado in questa nuova fase ci sono i figli Gianni, 46 anni, e Davide, 31 anni. Facevano altro e mai avrebbero immaginato di lavorare nell’hotel di famiglia. «Sono laureato in legge, parlo le lingue. Ma ho capito che il mio contributo era importante», racconta Davide, stessi occhi vispi del padre. Una stanza al Villa Bianca costava 59 euro, pensione completa. Ora la famiglia Finocchi riceve dallo Stato 34 euro per ogni migrante. Una cifra che copre vitto, alloggio, spese mediche. «Da cui bisogna scalare 2 euro di pocket money che vanno al ragazzo», tengono a precisare. A chi li accusa di cavalcare un business che danneggia il settore rispondono: «Abbiamo una pressione fiscale del 70%, paghiamo 15.000 euro di tasse comunali. Come potevamo sopravvivere? Così sbarchiamo giusto il lunario. Navighiamo a vista, andiamo avanti finché le cose stanno così. Il sindaco vuole sostituire il sistema basato sui Centri di Accoglienza Straordinaria con il programma Sprar (gestito direttamente dagli enti locali). Vedremo.». Corrado trattiene una lacrima quando ricorda gli anni in cui l’albergo Villa Bianca «era tutto pieno». A suo giu-