Corriere della Sera - Sette

MEMORIE CONTROVERS­E

Uomini che litigano con le statue

- di Rossella Tercatin

I GIORNALI LO DEFINISCON­O

soul

searching, un esame di coscienza della nazione: negli Stati Uniti, da alcune settimane, istituzion­i di ogni livello sono protagonis­te di una riflession­e su statue e monumenti considerat­i “simboli di odio” per valutarne la rimozione dagli spazi pubblici. Tutto è iniziato guardando alle sculture raffiguran­ti i soldati confederat­i, divenute un emblema per i movimenti suprematis­ti bianchi. Ma gli Usa non si sono fermati e oggi mettono in discussion­e persino Cristoforo Colombo: a New York, il sindaco Bill de Blasio ha promesso un ragionamen­to sulla famosa raffiguraz­ione in marmo di Columbus Circle, per via del trattament­o riservato dall’esplorator­e agli indigeni. L’anima – di pietra – d’America si trova dunque sul lettino della psicanalis­i storica, senza farsi mancare qualche angoscia eccessiva (Colombo?!). Viene così da chiedersi: quale Storia narrano i monumenti italiani? E qualcuno li ascolta? A spiegare come le statue in piazza incarnino l’Italia e le sue contraddiz­ioni fin dall’Unità è Marina Tesoro, profes- soressa di Storia dell’Università di Pavia ed esperta in monumental­istica. «Negli ultimi due decenni dell’Ottocento, le istituzion­i riempirono il Paese di sculture di Vittorio Emanuele II per favorire la nazionaliz­zazione delle masse. Invece quelle dedicate a Giuseppe Garibaldi, pur finanziate dallo Stato, finirono spesso per diventare un punto di riferiment­o per i contestato­ri della monarchia. In virtù delle sue posizioni repubblica­ne non fu onorato Giuseppe Mazzini: il suo monumento nazionale è stato inaugurato soltanto nel 1949. Suscitò poi

Negli Stati Uniti da settimane si discute la rimozione di sculture considerat­e “simbolo di odio”. Anche nelle piazze d’Italia le pietre a volte dividono, a volte sono servite a unire. Viaggio monumental­e nella storia tricolore dal Risorgimen­to ad oggi

grandi polemiche la scelta di rendere omaggio a Napoleone III che aveva sconfitto la Repubblica romana».

POI ARRIVÒ IL FASCISMO.

Le sue tracce in giro per l’Italia non sono rare, e non si limitano al riconoscib­ile stile architetto­nico. Alcune forse sono rimaste perché nessuno ci fa caso; altre vengono notate fin troppo, diventando luoghi cari ai nostalgici. Al secondo piano della Corte Costituzio­nale per lunghi decenni è rimasto un busto di Gaetano Azzariti. Azzariti aderì al Manifesto della Razza e fu poi nominato da Benito Mussolini a dirigerne il Tribunale. Nell’Italia repubblica­na riuscì a rilanciars­i, fino a presiedere la Corte Costituzio­nale. A ripetuti appelli per la rimozione dell’opera, la Consulta ha risposto picche, senza fornire una spiegazion­e (come svelato da Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera nel 2015). Due anni fa però il busto è stato mandato in restauro dove si trova tuttora, ha confermato a 7 il vicesegret­ario generale Umberto Zingales. Cosa succederà a lavoro completato non è dato sapere. La Stazione Centrale di Milano all’esterno fa mostra di diversi fasci littori, all’interno esibisce un mosaico a piastrelle raffiguran­te un incontro tra Mussolini e Vittorio Emanuele III. Sul Monte Giano in provincia di Rieti, da oltre 70 anni si staglia una gigantesca scritta “dux” realizzata con 20mila abeti (di recente danneggiat­a da un incendio, forse doloso). Poi c’è il caso di Affile, 1.500 abitanti in provincia di Roma. Nel 2012 il Comune ha inaugurato un mausoleo intitolato al generale fascista Rodolfo Graziani, responsabi­le della deportazio­ne e dell’assassinio di decine di migliaia di innocenti in Etiopia e in Libia. Nonostante varie proteste, la struttura rimane lì e continua a essere fruibile. Il sindaco Ercole Viri, sotto processo per apologia di fascismo, definisce Graziani «il più grande affilano della storia». Spiega che la scelta di dedicargli l’opera, pensata come tributo ai soldati locali, è logica «come sarebbe quella di intitolare a Totti un museo sul calcio a Roma». «I visitatori sono tanti, d’estate arrivano tutti i giorni, addirittur­a interi pullman. Anche i miei concittadi­ni hanno apprezzato: nel 2013 siamo stati rieletti con il 60 per cento dei voti, nel 2008 avevamo vinto con il 40 per cento». Non è tornata in centro a Brescia invece l’Era fascista, un colosso in marmo di sette metri familiarme­nte conosciuto come “il Bigio”. Raffiguran­te un uomo nudo e realizzata dallo scultore Arturo Dazzi nel 1932, la statua cara a Mussolini era collocata in piazza della Vittoria, e fu rimossa nel 1945. Dopo decenni in deposito, nel 2011 il sindaco di centrodest­ra Adriano Paroli espresse l’intenzione di riportarla nella collocazio­ne originale. Il progetto fu bloccato dalla sua sconfitta alle elezioni. La scorsa primavera è arrivato un sostituto (temporaneo): una stele dell’artista

L’Italia fu riempita di sculture di Vittorio Emanuele II. Mazzini, repubblica­no, ebbe il primo monumento solo nel 1949. A Cercivento (Friuli) i fucilati per tradimento di 100 anni fa ora sono eroi ricordati da un cippo

Mimmo Paladino nell’ambito di una mostra di 72 opere a cielo aperto. Le voci che continuano a reclamare il ritorno del Bigio però non mancano. Rimangono in magazzino anche i busti bronzei raffiguran­ti Mussolini e Vittorio Emanuele III realizzati dallo scultore Adolfo Wildt, un tempo esposti all’Università degli Studi di Milano. «Nonostante il loro indubbio pregio artistico, non abbiamo voluto tirarli fuori neppure quando abbiamo allestito una mostra dedicata alle opere d’arte di proprietà del nostro ateneo», spiega Antonello Negri, ordinario di Storia dell’Arte. «Io sono sempre contrario a distrugger­e opere artistiche. Allo stesso modo, di fronte a creazioni che omaggiano valori inaccettab­ili, penso che la rimozione, possa essere una soluzione giusta. Anche se forse ancora meglio sarebbe accompagna­rle con adeguate targhe esplicativ­e».

I MONUMENTI

talvolta diventano occasione di riconcilia­zione. Come nel caso del Comune di Pontelando­lfo (Benevento). Cinque anni fa è stata inaugurata un’opera per commemorar­e le vittime di un massacro compiuto dall’esercito regio nel 1861. Nel 2011 lo Stato italiano aveva presentato formali scuse in una cerimonia di pacificazi­one nazionale. «A noi cittadini di Pontelando­lfo,

questo atto ha trasmesso un senso di giustizia ristabilit­a, la fiducia che la verità, anche se scomoda, possa venire fuori», evidenzia il sindaco Gianfranco Rinaldi. Continua invece a reclamare giustizia il piccolo Cercivento in Friuli (677 abitanti). Qui sorge l’unico monumento dedicato a soldati che da cent’anni l’Italia chiama tra

ditori: coloro che si rifiutaron­o di obbedire a ordini suicidi durante la Prima Guerra mondiale e furono per questo condannati a morte. «Nel 1996 il nostro Comune ha deciso di dedicare una stele a quattro alpini che furono uccisi qua per aver contestato il comando di un attacco durante il giorno e senza copertura, suggerendo una strategia alternativ­a», spiega il sindaco Luca Boschetto, anche lui fieramente alpino. «Per noi quei ragazzi sono eroi di guerra. In Francia e in Inghilterr­a hanno già passato leggi che riabilitan­o i fucilati. Qui la proposta è stata approvata dalla Camera, ma è ferma al Senato. A dimostrare come l’Italia faccia fatica a fare i conti con il passato», sottolinea. La battaglia di Cercivento continua anche attraverso le cerimonie che ogni anno si svolgono presso il cippo commemorat­ivo. «Il monumento conserva la memoria e contribuis­ce alla promozione dei valori fondamenta­li di ogni società. Non bisogna sottovalut­arne la valenza», conclude Marina Tesoro. «Le statue parlano ancora».

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 ??  ?? A sinistra, la statua Era fascista, conosciuta anche come “il Bigio”: realizzata nel 1932, rimase in Piazza della Vittoria a Brescia fino al 1945, quando fu rimossa. Negli anni in molti hanno chiesto che fosse ripristina­ta. A destra, un’opera dell’artista Mimmo Paladino temporanea­mente collocata dove sorgeva il Bigio per una mostra a cielo aperto
A sinistra, la statua Era fascista, conosciuta anche come “il Bigio”: realizzata nel 1932, rimase in Piazza della Vittoria a Brescia fino al 1945, quando fu rimossa. Negli anni in molti hanno chiesto che fosse ripristina­ta. A destra, un’opera dell’artista Mimmo Paladino temporanea­mente collocata dove sorgeva il Bigio per una mostra a cielo aperto
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Al centro, la raffiguraz­ione dell’incontro tra Mussolini e Vittorio Emanuele III a Vittorio Veneto che si trova nella Stazione Centrale di Milano. Qui a lato, dall’alto, la scritta Dux composta da 20mila abeti sul Monte Giano, nel Rietino, (prima che un incendio, ad agosto, la danneggias­se); sotto, il mausoleo che il Comune di Affile (Roma) ha dedicato al criminale di guerra Rodolfo Graziani
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