MANO LIBERA
Il razzismo contro noi italiani, invasori olivastri dell’Australia
SAM, IL PROTAGONISTA del film Sweet Country di Warwick Thornton, che racconta la storia d’un aborigeno australiano costretto nel 1929 a fuggire con la moglie incinta dal ranch in cui viveva perché perseguitato dal sovrintendente razzista, ha commosso gli italiani presenti al festival di Venezia. Già commossi due anni fa dalla sfilata sul red carpet del festival degli attori aborigeni, vestiti di paglia e di foglie, del film Tanna. Per non dire della commozione per Nullah e i bambini aborigeni del film Australia con Nicole Kidman e Hugh Jackman e così via. Peccato che nessuno ricordi che del razzismo in Oceania siamo stati vittime anche noi. Basti rileggere un formidabile reportage di Filippo Sacchi pubblicato nel luglio 1925. «Mi rincresce di dover dare l’allarme», raccontava sarcastico l’inviato del Corriere della Sera, ma «l’Italia sta preparandosi a invadere l’Australia. Lo so, nessuno da noi ne aveva mai avuto sentore. Eppure è un fatto ormai denunziato e incontestabile. Vengono i brividi a pensare che milioni di italiani si alzano tutte le mattine, si fanno la barba, prendono il caffellatte ed escono per i loro affari, senza nemmeno immaginare che il loro paese è sul punto nientemeno di occupare un continente». Spiegava che, nonostante i numeri fossero davvero ridotti, i giornali australiani erano pieni di titoloni de-
«Perché ai funerali italiani ci sono solo due portatori di bara?». «Perché i cestini della spazzatura hanno solo due maniglie!». (Vignetta pubblicata negli Anni 50 in Australia)
dicati ai nostri nonni che sbarcavano dopo viaggi massacranti (i trevisani della zona di Asolo arrivati a Sydney nell’aprile 1881 erano i sopravvissuti di un viaggio durato 368 giorni) ed erano visti come intrusi di una razza diversa. Inferiore, ovvio. «Cosa è questo improvviso intensificarsi del fiotto immigratorio?», aveva tuonato giorni prima il presidente al congresso dell’Australian Native Association, mister Ginn, «c’è forse qualche influenza in gioco? Qualche piano organizzato di penetrazione pacifica? Australiani, all’erta. Badate che la vostra apatia non prepari un terribile risveglio per i vostri figli. Noi non vogliamo che le condizioni sociali ed economiche dell’Australia siano minate da un inevitabile incrocio con gli stranieri». E aveva chiuso invocando «il divieto d’immigrazione per le razze non affini e non confacentesi». Come la nostra. Ma «perché tutto questo accanimento contro gli italiani? Ve lo spiego io: per mantenere l’Australia “bianca”», commentava Sacchi. «” Keep the Australia white”, è la vera parola d’ordine di questa crociata. Infatti noi non siamo bianchi, siamo “oliva”. “Olive-skinned influx!”, diciamo». E raccontava che un grande giornale di Melbourne aveva titolato proprio così l’annuncio di un’inchiesta del governo del Queensland sulla nostra immigrazione: «L’invasione delle pelli-oliva» . Tanto che al congresso delle donne «un’oratrice autorevole, nell’esortare le massaie australiane a non comperare frutta dai negozi italiani, anche se questi praticano prezzi più moderati, lamenta che dopo aver tanto fatto per difendere l’Australia “bianca” dalla minaccia degli asiatici, “emigranti oliva continuano a stabilirsi nel paese”». E potremmo andare avanti per pagine e pagine, ricordando come anche gli altri furono razzisti con noi, e molto a lungo. Dice tutto la vignetta degli Anni 50 che ripubblichiamo. Così ci vedevano. Così…