EPPUR SI MUOVE
Altro che camper. A spostare queste case sono rotelle di carrelli della spesa o ruote di biciclette. E ci sono anche sdraio motorizzate e tende-zaino. L’architettura si adatta al nomadismo del nostro tempo immaginando soluzioni abitative provvisorie e mob
CI SONO SPIRITI NOMADI che hanno però anche una fissa dimora. E spiriti così radicalmente nomadi da poter avere casa ovunque, meglio se su quattro ruote, purché non siano quelle classiche delle roulottes o dei camper, ma, per esempio, le rotelle di un carrello della spesa. O anche i pattini di una slitta. L’importante è che la casa si muova, o fluttui sull’acqua. Con le nuove tecnologie l’idea di lavorare e vivere da remoto, di essere qui ma anche altrove, in mezzo a comunità create dalla Rete e disseminate chissà dove, ha reso le persone più flessibili e meno ancorate a un luogo. Se poi è vero, come predica un monaco giapponese che, in fondo, per vivere bene bastano un tatami (la tipica stuoia), un paio di sandali e una ciotola di riso, l’idea di casa è qualcosa di cerebrale ( omnia mea mecum porto, tutto ciò
che è mio lo porto con me, secondo il sapiente Biante di Priene citato da Cicerone). Forse, per gli italiani così amanti del mattone (circa il 77,4% delle famiglie vive in case di proprietà), l’idea di spostarsi con la propria abitazione come fosse una valigia al seguito, può essere qualcosa di molto strano e d’improponibi- le. Ma negli Stati Uniti è alquanto frequente che le case vengano trasportate di peso da uno Stato all’altro, su camion. L’architetto spagnolo Manuel Domínguez, nella sua visione futuristica, ha immaginato una “città mobile” (della capienza di 5mila persone, lunga 560 metri) che avanza su carro cingolato percorrendo aree meno popolate, non tanto per sfruttare le risorse locali, ma per crearne di nuove in modo sostenibile, come vuole il nostro tempo. Quindi ecco questa megastruttura abitativa, evoluzione di quella Walking City già proposta nel 1964 dall’inglese Ron Herron. E a fine agosto, nel deserto del Nevada, si è assistito all’annuale oceanico raduno per Burning Man (falò catartico), dove dal nulla si crea una città accampamento.
Mobitecture. Architetture in movimento, un libro illustrato edito da Phaidon (a cura di Rebecca Roke), analizza questo fenomeno dell’abitare in modo provvisorio (che coincide con una diversa appropriazione dello spazio vitale sconfinante nel lusso della libertà) partendo dalla struttura più essenziale e collaudata dalle genti: la tenda, un modello secolare. E che ancor oggi caratterizza la vita dei beduini del deserto o di altre popolazioni nell’Asia centrale, la cui esistenza poggia su valori molto legati al territorio, alla transumanza e alle stagioni.
TENDE ANCHE COME PRIMO RIFUGIO nelle post-calamità. Ma, spesso, ciò che è temporaneo (appunto le tendopoli o le casette prefabbricate) rischia di diventare definitivo, come nel caso del Belice (sisma del 1968). Nel progetto dello studio inglese Field Candy la tenda assume vera e propria veste di casa essendo fatta di tessuto decorato con l’immagine di mattoni pieni. Per vivere immersi nella natura perfetta è quella creazione di Glam-
Era l’alba sui colli, e gli animali ridavano alla terra i calmi occhi. Io tornavo alla casa di mia madre. Il treno dondolava i miei sbadigli acerbi. E il primo vento era sull’erbe. Altissimo e confuso, il paradiso della mia vita non aveva ancora volto. Ma l’ospite alla terra, nuovo, già chiedeva l’amore, inginocchiato. Cadeva la preghiera nella chiusa casa entro odore di libri di scuola. Navigavano al vespero felici gridi di uccelli nel mio cielo d’ansia (Sandro Penna, Poesie e raccolte dell’Autore nel 1973. Dal Meridiano Mondadori, giugno 2017)
ping Technology, appesa a due alberi, e che riproduce un nido, ma anche quella stanza sulla vetta ( Starlight Room) di Raniero Campigotto che permette di vedere il cielo unico delle Dolomiti. Al mantice di una fisarmonica s’ispira invece l’israeliano David Schatz, che realizza una tenda-zaino adatta a soddisfare più esigenze. In questo modo l’uomo porta in spalla il proprio rifugio, così come fanno tartarughe e chiocciole. E se alla tendazaino si sostituisce invece il tetto di una casa, ecco che si materializza la visione di quella scultura realizzata dall’artista albanese Adrian Paci raffigurante un uomo nudo, piegato dal peso di ciò che trasporta sulla schiena. Simbolo di fatiche e sacrifici che le persone da sempre sopportano per ottenere o farsi una casa. O trovarne una quando si è lasciato o perso tutto, come nel caso delle grandi migrazioni di massa in corso.
A VOLTE, IL CONCETTO di architettura mobile (congiunta al principio del viaggio) investe anche gli hotel, facendoli diventare alberghi pop-up, quando occupano edifici in disuso nelle città (una proposta sfoderata da Emmy Polkamp – diplomata alla Design Academy di Eindhoven – per far fronte al reperimento di posti letto quando ci sono grandi eventi come festival o concerti). Anche i musei non sono più immobili come una volta, avvertendo la spinta centrifuga propria di questa nuova società che si muove su binari invisi- bili intrecciati da internet. Sei anni fa, il Guggenheim di New York e il Centre Pompidou di Parigi idearono strutture temporanee, leggere e trasportabili, per guadagnarsi nuovi pubblici portando con questi “laboratori” arte e cultura in quartieri periferici o nelle regioni più lontane, proponendosi come museum-community.
DEFINIRE MOBILE l’architettura è però un controsenso. Osservando le foto di queste pagine tratte dal libro della Phaidon, sarebbe più appropriato parlare di design abitativo, che può permettersi ogni genere di bizzarria estetica (come quelle case trainate da tuk-tuk o da sdraio motorizzate, o con una parte sottomarina per vedere il reef dell’isola di Pemba in Tanzania), oltre all’utilizzo dei più svariati materiali, dal cartone ai tessuti riciclati, alla gomma termoplastica. Questo tipo di casa trasportabile e smontabile viene sempre più considerata dagli urbanisti nell’ottica dell’housing sociale per
A VELE SPIEGATE A sinistra la tenda di Archinoma i cui moduli formano la struttura di un ottaedro. A destra, Pop-up Caravan dello studio olandese Tas-ka
tentare di arginare il problema dei senzatetto, in numero sempre crescente nelle città del mondo.
UN ASPETTO CHE DIVENTA talvolta anche oggetto del lavoro degli artisti. Dal 2001, il tedesco Winfried Baumann immagina soluzioni pratiche per gli homeless come quella sua carriola I-H Cruiser dotata di una brandina da srotolare. Gregory Kloehn, altro artista tedesco, affronta questo dramma iniettandovi una nota di calore. I materiali delle sue coloratissime minicasette su ruote provengono tutti dalle discari- che cittadine e sono assemblate riciclando sportelli, cancelletti, colonnine di balaustre e molto altro trovato in loco. La pratica artistica della coppia Lucy e Jorge Orta è protesa a risvegliare le coscienze sulle emergenze planetarie, come la preservazione delle risorse idriche, oltre all’azione a favore della coesione umana, occupandosi della presenza degli sfavoriti, dei fragilizzati dalla vita, di quelli che cercano un posto dove passare la notte. Fabbricando un rimorchio con dei letti a castello dove accoglierli. Il caravan Tripbuddy dell’inglese Bill
Abbiamo perduto il senso del monumentale, del pesante, dello statico e abbiamo arricchito la nostra sensibilità del gusto del leggero, del pratico, dell’effimero e del veloce Dal Manifesto dell’Architettura Futurista di Antonio Sant’Elia, 1914
Davis sembra uscito dalla mente di un Futurista o da un fumetto. È rosso fuoco, grassoccio ma, nonostante questo, aerodinamico. Quando il camper viene scoperchiato, si scopre la raffinatezza degli interni realizzati in pelle con il pavimentino in tek. Il designer australiano Gidget, per la sua roulotte rétro, unisce ecologia e comfort, montando pannelli solari e non rinunciando a un letto matrimoniale king size. E chi ha detto poi che una roulotte non possa avere anche delle verande che si aprono come due ali di farfalla, una volta posteggiato il mezzo? L’olandese De Markies veste appunto così la sua creazione, puntando sull’effetto sorpresa. A VOLTE TRASLOCARE è più che un incubo, selezionare gli oggetti da buttare e altri da tenere implica anche una certa complessa revisione del proprio vissuto, ma questo stress può essere risolto tenendo davvero solo l’essenziale dentro una casa-ruota con la quale percorrere il mondo, almeno questo suggerisce un elemento scenografico realizzato dal Tmb Design Bristol per il performer Acroujou. Una buona abitudine dei nordici è quella di fare delle belle saune e allora il finlandese Mika Sivho l’ha ricreata su quattro ruote (può far accomodare sei persone) con una bella legnaia.