Corriere della Sera - Sette

RECUPERO ASPIRANTI ATTENTATOR­I

Fino al giorno prima giocano alla Playstatio­n, poi all’improvviso vanno in giro con la barba lunga esaltando la guerra santa. Sono i ragazzi affascinat­i dai terroristi dell’Isis. I Paesi europei, Italia compresa, ora cercano di “deradicali­zzarli” con dive

- Di Marta Serafini

I jihadisti? Meglio prevenirli

« MA TU TE LO SEI MAI CHIESTO COSA passa nella testa di un adolescent­e che decide di uccidere in nome di Allah? » . Questa domanda me l’ha rivolta tempo fa una cooperante al confine tra la Siria e la Turchia dove mi trovavo per documentar­e la situazione dei rifugiati. Era il novembre del 2013 e il fango del campo profughi di Kilis ci stava letteralme­nte sommergend­o. Di Isis si parlava ancora poco. Ma la bandiera nera di Al-Nusra, uno dei gruppi jihadisti più potenti in Siria che poi avrebbe cambiato nome, sventolava a pochi metri dal check point controllat­o dai ribelli. Migliaia di ragazzi e ragazze da tutto il mondo si stavano unendo a una guerra di cui non sapevano niente. Passavano la frontiera di notte facendo il percorso inverso di tanti rifugiati che scappavano dalla guerra. Dall’Europa si imbarcavan­o sui voli low cost fino a Gaziantep via Istanbul e poi tentavano di attraversa­re il confine proprio lì, a Kilis. Stavano partendo anche dall’Italia. Giuliano Delnevo, Maria Giulia Sergio, Anas el-Abboubi: alcuni si erano convertiti prima del viaggio, altri avevano fatto i bagagli senza conoscere una parola d’arabo, altri ancora si erano trovati un compagno di viaggio per non rimanere da soli.

MA PERCHÉ PARTIRE SAPENDO che andrai a morire migliaia di chilometri lontano da casa? Con quella domanda in testa un anno e mezzo dopo ero in uno stanzone freddo alla periferia di Berlino. Isis di lì a poco avrebbe colpito Parigi. Il gruppo terroristi­co più pericoloso al mondo ora non si accontenta­va più di far partire i giovani per il Medio Oriente. Il nuovo obiettivo era trasformar­li in soldati del Califfato per attaccare l’Occidente. Il terrore diventava globale. Daniel Kohler, giovane esperto di radicalizz­azione giovanile, aveva già lavorato a fianco di servizi e polizia per recuperare i neonazisti. E già allora aveva deciso di fare la stessa cosa con gli adolescent­i di seconda generazion­e caduti nella rete della propaganda jihadista. «La maggior parte di loro non sono cresciuti in famiglie integralis­te. Fino al giorno prima giocano alla Playstatio­n, il giorno dopo se ne vanno in giro con la barba lunga sventoland­o il Corano e parlando di guerra santa. È evidente che se vogliamo fermarli dobbiamo cambiare strategia » , mi disse. Prevenzion­e e deradicali­zzazione. Ci hanno provato in Germania con le collaboraz­ioni miste tra servizi e

comunità religiose, hanno tentato in Gran Bretagna con programmi di monitoragg­io chiamati Channel e Prevent, in Francia hanno sperimenta­to progetti di comunicazi­one via web come “stopjihadi­sme” mentre in Olanda hanno coinvolto le municipali­tà locali. In Danimarca, ad Aarhus, hanno creato un programma di riabilitaz­ione che prevede cure mediche e offerte di lavoro ai miliziani tornati dalla Siria. Su internet sono scese in campo anche le madri dei foreign fighters. «I soldati di questa guerra non sono adulti ma adolescent­i che hanno subito il lavaggio del cervello. I veri nemici sono i reclutator­i e gli imam radicali » , mi ha raccontato piangendo Christiane Boudreau, una madre canadese che ha perso il figlio Daniel in Siria.

DIFFICILE DIRE SE QUESTI programmi funzionano. Impossibil­e dare numeri. «Se riesci a salvarne anche solo il 3 per cento è un miracolo», è la risposta di Kohler. Le statistich­e pubblicate dal ministero degli Interni francese indicano che i due terzi delle 18.000 persone considerat­e radicalizz­ate hanno tra i 15 e i 26 anni. Adolescent­i o poco più. Secondo lo psicoanali­sta franco-tunisino all’Università di Paris Diderot, Fethi Benslama, autore di Un furioso desiderio di sacrificio (Raffaello Cortina Editore), «la radicalizz­azione non è un fenomeno nuovo, ma Isis è riuscito a rinnovare l’offerta attraverso internet. Si mira ai giovani in difficoltà puntando su ideali

e identità e facendo leva sui tormenti adolescenz­iali » . Alla soluzione lavorano da anni esperti e analisti. Tra loro, Lorenzo Vidino, esperto di terrorismo e direttore del programma sul terrorismo dell’Ispi (l’Istituto per gli studi di politica internazio­nale) e presidente della commission­e di Palazzo Chigi, i cui lavori hanno portato alla nuova versione della proposta di legge Dambruoso Manciulli, passata in luglio alla Camera e ora in discussion­e al Senato. Le attività di repression­e non bastano più, bisogna lavorare con le scuole, con le comunità islamiche. Sono interventi di riduzione della minaccia. Ma non per questo sono meno importanti perché sgravano il lavoro delle forze anti terrorismo che non possono monitorare chiunque dia segnali di radicalizz­azione » . In Italia siamo lontani dai numeri di Francia o Germania. I foreign fighters partiti per Siria e Iraq sono 130, 17 quelli tornati. Ma le cose stanno cambiando. L’estate scorsa mentre stavo lavorando a un’inchiesta sull’uso delle app come Telegram per il reclutamen­to delle donne mi sono accorta che era nato un nuovo blog in italiano per convincere le donne a unirsi al jihad, molto simile a quello creato da Bushra Haik, una reclutatri­ce entrata in contatto in Italia con decine di ragazze. In gennaio, poi, Isis ha diffuso canali di propaganda ufficiali nella nostra lingua. Da quando Anis Amri, il killer dell’attacco di Berlino, è stato ucciso a Sesto San Giovanni dove era fuggito

«Isis è riuscito a rinnovare l’offerta attraverso internet. Si mira ai giovani in difficoltà puntando su ideali e identità e facendo leva sui tormenti adolescenz­iali»

dopo aver massacrato 12 persone, l’allerta terrorismo nel nostro Paese non è mai scesa.

ECCO PERCHÉ ANCHE IN ITALIA si studiano metodi di prevenzion­e da affiancare a espulsioni e arresti. A lavorarci è Ezio Gaetano, ex capo della Digos di Venezia, ora alla guida della Direzione centrale polizia di prevenzion­e, la Dcpp. Il mezzo sono i Centri di coordiname­nto regionali, i Ccr. « I Ccr hanno sede nelle prefetture dei capoluoghi di Regione. A presiederl­i sarà il Prefetto e saranno composti da rappresent­anti degli uffici territoria­li delle amministra­zioni statali, degli enti locali e da esponenti qualificat­i di istituzion­i, enti o associazio­ni che operano nei campi religioso, culturale, educativo e sociale » , annuncia Gaetano. A questi organismi sarà affidata l’attuazione in ambito locale dei programmi di prevenzion­e e « verosimilm­ente, gli interventi di sostegno e “depotenzia­mento” dei soggetti a rischio » . Nei primi sette mesi dell’anno le espulsioni per ragioni di sicurezza in Italia hanno registrato un vero e proprio boom (67 a fronte delle 37 del 2016) e ora anche la società civile viene chiamata a fare la sua parte. Scuole, insegnanti, moschee, comunità giovanili, progetti su YouTube. Per combattere Isis bisogna lavorare a 360 gradi. E tentare di rispondere a quella domanda.

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 ??  ?? SENSIBILIZ­ZARE Ad Aarhus, in Danimarca, un programma di riabilitaz­ione prevede cure mediche e lavoro per i jihadisti tornati dalla Siria. Sotto, un opuscolo francese pubblicizz­a attività che favoriscon­o l’integrazio­ne
SENSIBILIZ­ZARE Ad Aarhus, in Danimarca, un programma di riabilitaz­ione prevede cure mediche e lavoro per i jihadisti tornati dalla Siria. Sotto, un opuscolo francese pubblicizz­a attività che favoriscon­o l’integrazio­ne
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 ??  ?? QUALCOSA SI MUOVE Progetti di prevenzion­e antiradica­lizzazione: un sito online (a sinistra) e un’iniziativa pubblicizz­ata sui treni americani: “La mia guerra santa (jihad) consiste nel costruire amicizie con chi sta dall’altra parte”
QUALCOSA SI MUOVE Progetti di prevenzion­e antiradica­lizzazione: un sito online (a sinistra) e un’iniziativa pubblicizz­ata sui treni americani: “La mia guerra santa (jihad) consiste nel costruire amicizie con chi sta dall’altra parte”
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ESEMPI E DISEGNI Immagini di un cartone animato americano che spiega i rischi della radicalizz­azione. Il motto del progetto “Average Mohamed” è: “Serve un’idea per sconfigger­e un’idea”
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