VIDEOCRAZIA
Finalmente Cracco bacchetta i professionisti
IL FILOSOFO FABRIZIO TARDUCCI (meglio noto nell’ambiente musicale come Fabri Fibra) ha sintetizzato mirabilmente tutto il fenomeno degli chef-celebrità degli show televisivi: «Voglio vedervi ballare! / Sì chef! / Voglio vedervi sudare! / Sì chef! / E non chiamatemi chef! / Sì chef!». Da anni ormai vediamo aspiranti chef, cuochi dilettanti, sottocuochi, semplici passanti sottoposti ad angherie più o meno vere (di sicuro uno studio tv è meno bollente dei 50 gradi di una cucina di ristorante) in un numero sempre crescente di programmi, un successo che non accenna a rallentare. Ero a Londra – per caso – quando cominciò questa tendenza, 25 anni fa: lo chef-rockstar. Tutto grazie alla copertina di un domenicale (credo il magazine dell’Observer) con un ragazzo dai lunghi capelli ricci e lo sguardo intenso, una specie di via di mezzo tra il giovane Keith Richards, un bullo di periferia, e un modello. Era Marco Pierre White, allora il più giovane chef stellato, e aveva appena scritto un libro che avrebbe cambiato il modo in cui tutti noi persone normali guardiamo gli chef, non più signori pingui che avevano studiato in Francia e parlavano di pietanze come gli entomologi parlano delle farfalle ma rockstar dal brutto carattere e il fascino magnetico. Mi sembrava un po’ forzato allora (così come trovavo ridicola l’idea dello chef-santone dell’era dei miei genitori) e mi sembra un po’ forzato adesso; la cucina-spettacolo dei programmi con gli chef che insultano i dilettanti mi piace poco, sono un consumatore di video – di tutorial – nei quali gli chef mostrano come si cucina. Una formula come quella di Hell’s Kitchen Italia – in concorso ci sono professionisti, non dilettanti o aspiranti – mi sembra più interessante del gioco al massacro, per esempio, del classico MasterChef, e la formula giova anche a Carlo Cracco ormai stabilmente passato da un programma all’altro. La nuova stagione di Hell’s Kitchen Italia cominciata il 3 ottobre (Sky Uno e hellskitchen.sky.it) è condotta da Cracco che almeno questa volta prende a calci nel sedere persone che il cuoco lo fanno di mestiere e se sbagliano una salsa stanno facendo male il loro lavoro (il più scarso dilettante visto nei talent di cucina è più bravo di tutti noi, ricordiamolo: è difficilissimo far da mangiare sotto pressione, a quei livelli e a quei ritmi). Cracco è sempre Cracco: lo sguardo enigmatico (funzionava bene a MasterChef perché Barbieri era cattivello e Bastanich grondava disprezzo per chiunque e si vedeva, lodevolmente, che non gli piace stare in tv) e il tono di voce con la cadenza vicentina, cantilenante, che di sicuro non è per tutti i gusti (a me diverte). Però a Hell’s Kitchen Cracco fa lo show, bacchetta tutti, porta in studio Fabio Capello che ultimamente non vince tantissimo sul campo ma in tv ha ancora la mascella squadrata e il carisma dei bei tempi (e il mister ne approfitta per citare il filosofo argentino Batistuta sulla non esistenza della sfortuna).
NEL FRATTEMPO, è quasi un incidente, guardando con attenzione si può imparare anche qualcosa se interessa la cucina. Cracco (che nella vita è un uomo molto gentile, spero di non rovinargli l’immagine scrivendo queste parole) segue il copione: non trasuda l’ostilità ai limiti della sociopatia resa celebre da Gordon Ramsey nel Hell’s Kitchen originale, ma basta andare su YouTube per trovare Ramsey diciannovenne, terrorizzato apprendista, “sì chef”, “sì chef”. Il suo capo era Marco Pierre White, chef-rockstar e artista della cucina che adesso fa la réclame dei dadi (da cucina, non da gioco d’azzardo).