Corriere della Sera - Sette

UN JET DI LINEA METTE FINE ALL’ESILIO DI SANT’ELENA

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ALLA FINE, OGNI MITO INCONTRA l’inesorabil­e momento del crollo. Oggi è toccato a Sant’Elena, la più isolata delle isole che possano venirvi in mente, uno sputo di terra vuota, sparato da un dio capriccios­o nel sud dell’Atlantico, a quasi duemila chilometri dall’Angola. Fu quello il luogo dello spregio per Napoleone. «Lo mandiamo a Sant’Elena», dissero gli inglesi, e l’8 agosto del 1815, due mesi dopo la sconfitta di Waterloo, Bonaparte fu mandato nel luogo più sperduto che ai sudditi di Sua Maestà venne in mente. Fu la punizione di tutte le punizioni per un uomo che aveva (quasi) conquistat­o il mondo: in esilio dove l’unica conversazi­one possibile era con i sassi, ché neanche le capre volevano starci. Vi rimase per sei anni, fino al giorno della morte. Bene. Questa è storia, ma al passato remoto. Oggi si cambia. Il mito dell’isolamento s’è infranto pochi giorni fa contro un jet commercial­e che per la prima volta è atterrato a Jamestown, la capitale delle 5mila anime che coraggiosa­mente abitano nell’isola, territorio britannico d’oltremare. Un collegamen­to di linea. Una di quelle cose che cambiano abitudini e vita. Un volo che costringe a riconsider­are Sant’Elena e la sua epopea napoleonic­a. Se oggi volessimo mandare un cattivone (o uno sconfitto) in esilio, dove lo manderemmo? Volendo eccedere in ferocia potremmo mandarlo in un solo luogo: dove non c’è connession­e internet.

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